Quella sera, dopo cena, mi recai subito nella mia stanza per poter metabolizzare al meglio ciò che era accaduto qualche ora prima davanti l'ingresso di casa mia. Ovviamente, come mi aspettavo, mia madre non fece nessuna piega quando ripiegai il tovagliolo sul tavolo e mi alzai augurando loro la buonanotte. Mio padre, al contrario, mi fece un cenno con il capo per ricambiare e mi sorrise dolcemente. Da brava figlia, avrei dovuto aiutare mia madre a rassettare la sala e la cucina, ma ero consapevole che mi avrebbe solo fatta sentire d'intralcio, quindi non le proposi nemmeno il mio aiuto.
Una volta il camera, mi apprestai ad uscire sul balcone per assaporare l'aria fresca della notte e lo splendore della luna piena; quella sfera dalla luce tenue facilitava il flusso dei miei pensieri come nient'altro riusciva a fare. Mi appoggiai con i gomiti sulla ringhiera in ferro e posai il capo tra le braccia, lasciando che i miei capelli fossero liberi di agitarsi al leggero venticello che si era alzato.
Il mio cuore, dacchè ero rientrata in casa, non aveva rallentato affatto il suo battito, anzi, più ripensavo alle sue parole, al suo sguardo profondo e intenso, alla sua pelle d'alabastro, ai suoi capelli e alle sue sottilissime labbra rosse più il ritmo aumentava. Ad un certo punto dovetti accasciarmi a terra, con le spalle contro la ringhiera e cercare di controllare il respiro, per potermi riprendere un minimo. Quel tanto che bastava per non svenire.
Possibile che quell'uomo mi facesse quell'effetto tanto singolare? Bello era bello, anche se il termine bello nel suo caso era estremamente riduttivo; aveva qualcosa di angelico, con quei lineamenti delicati, quella voce profonda e suadente, quella strana aura di quiete che gli aleggiava intorno. Ma non ero mai stata una ragazza così superficiale da basare tutto sull'aspetto esteriore, avevo sempre preferito approfondire la conoscenza con le persone, prima di potermi ritenere interessata.
Innamorata poi, proprio mai.
Innamorata. Quella parola mi sconvolgeva, anche perchè non mi ero mai, e dico mai, innamorata di qualcuno pur avendo io a quell'epoca già vent'anni.
Trascorsero diversi minuti prima che l'aria iniziasse a raffreddare il mio essere e quando ciò accadde non potei fare altro che levare lo sguardo al cielo per salutare la luna e rientrare nella mia calda e accogliente stanza.
Quella notte, fortunatamente, riuscii a dormire tranquillamente; non lo sognai. Ma pensai a lui ininterrottamente, anche mentre ero sopita. Ne ero certa.
Ogni anno, nel mio piccolo paese natale, si festeggiava l'arrivo della primavera. Quell'anno la festa era in ritardo, dato che la stagione dei fiori era arrivata con largo anticipo. Nella piazza della chiesa, vero centro nevralgico della vita paesana, venivano allestite bancarelle di ogni genere; dagli alimenti alle cianfrusaglie, dai gioielli ai giocattoli per bambini. Banchetti, a ridosso di camioncini, pieni di arachidi e nocciole tostate riempivano l'aria di un profumo che ben poco aveva a che fare con la primavera. Avevo sempre legato quei profumi all'inverno, profumi caldi e suadenti che intiepidiscono il cuore nelle fredde giornate di pioggia e neve. Eppure, anche quell'anno i camioncini erano lì, a ricordare a tutti che la festa della primavera aveva avuto inizio.Ricordo ancora che fin da bambina i miei genitori mi permettevano di andare, senza di loro, fino alla piazzetta per comperare bustoni interi di caramelle e mais tostato. Mio padre non amava molto i posti affollati e mia madre non mi avrebbe accompagnata per nessuna ragione al mondo, ma fortunatamente non mi avevano mai precluso la possibilità di gioire dei festeggiamenti.
La mia più cara amica di quel periodo, Marie, quella sera mi aspettava al solito posto per recarci insieme a fare un giro tra le bancarelle e chiaccherare in tutta tranquillità, magari sgranocchiando qualche snack o dello zucchero filato, che io adoravo. Il solito posto era il negozio del signor Pablo, quella sera aperto fino a tardi come tutte le altre attività presenti intorno la piazza.Quando la vidi mi sbracciai per farle notare la mia presenza tra la folla; mi sorrise e ricambiò iniziando a sbracciarsi a sua volta. Mi corse incontro e si gettò addosso a me, in cerca di un abbraccio.
"Scusa il ritardo, Marie, non mi ero resa conto dell'orario."
"Figurati, sono arrivata da pochissimo. Allora, cosa facciamo?" mi chiese, ansiosa di iniziare a girovagare tra le bancarelle.
"Beh, direi che la prima tappa obbligata è quella dello zucchero filato." risposi senza pensarci troppo.
"Hai vent'anni, non puoi più mangiare lo zucchero filato." rise lei.
"Ma taci, sei la prima a non veder l'ora di mangiarlo." la rimproverai scherzosamente.
"Si, è vero. Andiamo allora." disse, prendendomi la mano e trascinandomi al centro della muraglia umana che si era creata tra le bancarelle. Mi stupivo ogni anno di quanta gente era in grado di attrarre quella festa. Zucchero filato tra le mani, ci sedemmo su un muretto lontane dalla folla per poter chiaccherare senza dover urlare per poterci sentire.
"Allora, cos'hai Sophia?" mi chiese, strappando un bel pezzo di cotone zuccheroso dal bastoncino.
"Io, nulla, perchè?" risposi. Sapevo a cosa si riferiva, ma potevo anche sbagliarmi quindi attesi che la sua domanda fosse più esplicita.
"Allora, vediamo... non fai che sorridere, sei tutta mielosa, gli occhi a cuoricino e sei vestita come una bambolina di porcellana... c'è qualcuno di speciale che speri di incontrare, stasera?"
Mi resi conto di quanto la sua descrizione calzasse a pennello solo guardandomi riflessa in una vetrina accanto a noi.
"In realtà, si." fu la mia risposta, a cui seguì un suo spropositato urlo di gioia.
"Dimmi, dimmi... chi è? Lo conosco? E' carino? Quanti anni ha?" iniziò a tampinarmi di domande a raffica.
"Oddio, non so se lo conosci... io per prima non lo avevo mai visto qui intorno. Non è carino, è bellissimo... e onestamente non so quanti anni possa avere, non glielo ho ancora chiesto. PErò ne dimostra una trentina, non di più." dissi.
"Il nome, il nome. Voglio sapere il nome!" incalzò lei.
"Micael, si chiama Micael."
"Che bel nome." fu la sua risposta.
"Ha anche un tatuaggio, proprio qui, sulla mano. E lo mostra in tutta tranquillità. E' una piuma, bianca e argentata, ed è davvero bella." mentre parlavo, mi resi conto che l'immagine di Micael era impressa nei miei occhi come poche altre cose al mondo.
Continuò per tutta la sera a farmi domande su di lui, fino a che non mi resi conto di non essere in grado di rispondere a tutte. Da dove veniva? Qual'era il suo cognome? Dove viveva? Qual'era il suo lavoro?
Mi ero innamorata di un uomo di cui conoscevo solo il nome e l'aspetto. E il modo in cui era capace di farmi sentire in sua presenza; quando ero con lui mi sentivo serena, la tranquillità e la pacatezza entravano nelle fibre del mio corpo per prenderne pieno possesso. Ma allo stesso tempo mi sentivo indifesa, privata di qualsiasi barriera che potesse proteggere il mio cuore dalle intrusioni esterne.
"Ehi, Sopia. Ci sei?" mi chiese Marie, ridestandomi dal torpore in cui i miei pensieri mi avevano trascinata.
"Si, scusa. Pensavo." risposi, addentando lo zucchero filato.
"Beh, allora il tuo pensiero è una buona calamita."
"In che senso?" non capivo cosa stesse dicendo.
"Beh, ci sono due tizi dall'altro lato della strada che ci stanno fissando. E non so perchè, ma credo che uno dei due sia il tuo Micael." nel momento stesso in cui pronunciò il suo nome il mio cuore iniziò a palpitare senza sosta, consapevole che da lì a poco lo avrei rivisto. Cercai di voltarmi il più lentamente possibile, sperando che lui non si accorgesse che sapevo della sua presenza. Era davvero lui. E avanzava lentamente verso di noi, facendo slalom tra la folla con grazia ed eleganza.
Con lui c'era un altro uomo, altrettanto elegante e aggraziato. E altrettanto bello. Si somigliavano molto, pur essendo completamente diversi; non sapevo spiegarmi perchè, ma vendendoli camminare l'uno accanto all'altro mi sembravano la stessa persona. Appena mi sorrise, smisi di pensare all'uomo in sua compagnia.
"Buonasera, signorine." disse, rivolgendo un sorriso anche a Marie.
Lei si limitò a sorridere a sua volta, io non riuscii a fare neppure quello. Ero come impietrita.
"Sophia, lui è un mio caro amico. Si chiama Gabriel." mi disse dolcemente. Il modo in cui pronunciò quel nome mi sciolse letteralmente il cuore. Non aveva detto un semplice nome, aveva lasciato che la sua voce diventasse melodia mentre lo faceva.
"Piacere Gabriel. Sono Sophia. E lei è Marie, la mia migliore amica."
"Incantato, signorine. Micael aveva ragione. Sei un fiore raro, Sophia." la voce di Gabriel era come quella di Micael. Armoniosa, melodiosa, dolce, calda, suadente, profonda. E i suoi modi erano altrettanto garbati e gentili. L'unica differenza che riuscivo a notare tra i due, in quel momento, era la maggiore forza che Micael metteva in tutto ciò che faceva. I suoi movimenti, le sue parole, anche il suo respiro. Tutto in Micael era armonizzato da una certa forza. Una forza che aveva su di me uno stranissimo ascendente.
"Cosa ci fai qui, Micael?" chiesi, per spezzare lo strano silenzio che si era venuto a creare dopo l'affermazione di Gabriel.
"Io sono sempre e ovunque... non ho bisogno di essere qui o essere lì. Sono dove è necessario che io sia." rispose serio. Gabriel lo fissò con aria di rimprovero, mentre io e Marie non potemmo fare altro che ridere alla sua frase.
"Che risposta d'effetto, Micael." dissi sorridendogli. "Davvero, cosa ci fate qui?"
Fu Gabriel a rispondermi, Micael rimase immobile a fissarmi e a sorridere.
"Quello che fate voi, giovane nuova amica. Lasciamo che le preoccupazioni e le ansie quotidiane vengano cancellate dall'aria di festa e gioia che si respira qui." i suoi occhi erano magnetici, proprio come quelli di Micael. La loro somiglianza era sbalorditiva, tanto che non potei fare a meno di chieder loro che legame avessero.
"Micael, perdona la mia domanda forse troppo personale, ma voi due siete in qualche modo parenti?" chiesi, cercando di non invadere troppo la sua intimità.
Lui mi rispose con la solita dolcezza che utilizzava quando si rivolgeva a me e la cosa mi piaque come sempre.
"Più o meno, Sophia. Possiamo dire di si." Gabriel annuì a sua volta, sempre sorridendo.
Marie, ad un tratto, si alzò in piedi e si scusò dicendo che doveva tornare a casa; capii che lo faceva per lasciarmi sola con lui. La ringraziai con uno sguardo ed un sorriso mentre Gabriel si offrì di riaccompagnarla a casa, cosa che lei accettò di buon grado. Era impossibile non fidarsi di persone come loro, ma soprattutto era impossibile per chiunque contraddirle o negare il loro aiuto. Era come se possedessero entrambi uno strano e affascinante potere di persuasione.
"buon proseguimento di serata, Sophia. E' stato un piacere, per me, conoscerti. Spero ci sarà una nuova occasione per incontrarti" disse. I suoi modi erano talmente garbati da sembrare irreali. Nessuno si era mai rivolto a me in quel modo, a parte Micael.
"E' stato un piacere anche per me, Gabriel. Davvero." i miei modi, in confronto, sembravano terribilmente cafoni.
In un batter d'occhio, mi ritrovai da sola con lui.
"Hai voglia di fare una passeggiata, Sophia?" mi chiese senza distogliere il suo sguardo dal mio neppure per un istante.
Annuii, sorridendo. Lui per tutta risposta avvicinò la mano alla mia, con dolcezza, e ne accarezzò il dorso con la punta delle dita, quasi a testare la mia reazione al gesto che avrebbe fatto da lì a poco. Quando si sentì sicuro la strinse forte alla sua e mi fece strada tra la folla. Lasciavo che mi facesse strada, seguendo ad occhi chiusi la scia profumata che lasciava dietro di se inebriandomi di essa. Prima che potessi rendermene conto eravamo dall'altro lato della piazza, in direzione del boschetto di aceri che costeggiava il paese.
Ero felice. Quella sera ero più felice che mai.
Ma non potevo immaginare, in quel momento, che da lì a poco avrei avuto delle sorprese che avrebbero cambiato per sempre il mio modo di vedere le cose, il mio modo di vivere la vita.
Il mio modo di amare.