mercoledì 7 gennaio 2009

L'ottavo frammento - Frammenti di cuore, come spine nell'anima

Non capii subito quello che stava succedendo, non potevo assolutamente immaginarlo. Sentii solo il mio respiro fermarsi, per un attimo che sembrò eterno e il cuore che iniziò a battere all'impazzata, quasi volesse saltare fuori dalla mia bocca. Sentii le mani di Micael che stringevano forte le mie spalle, scuotendo tutto il mio essere, chiamando il mio nome. Spalancai gli occhi, cercando di aprirli più di quanto mi fosse concesso, ma non riuscivo a scacciare dal mio campo visivo quelle immagini. Un caleidoscopico tornado di immagini pervase il mio intero essere, fluendo da chissà dove per colmare ogni anfratto libero del mio cuore.
Tristezza, amore, gioia, dolore, morte, vita, paura, angoscia, libertà, prigionia dell'essere.
Uomini, persone, donne, cose, animali, corpi, essenze, anime.
Dio, angeli, cielo, terra.
Vita. Morte.
Di nuovo vita.

Un eterno secondo in cui tutte quelle sensazioni, trasformate in immagini simili a fotografie sbiadite, mi travolsero. Micael. Non avevo più bisogno di chiedergli chi fosse. Non avevo più nulla da chiedergli. Dopo quel bacio sapevo tutto di lui, letteralmente. Non avevo più la necessità di conoscere il suo passato. Il suo passato, i suoi passati erano in quel momento proprio davanti i miei occhi.
Non ricordo quanto tempo trascorse dal momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie al momento in cui ripresi pienamente coscenza del mio essere. Un secondo,un minuto, un'ora o un giorno. Ricordo solo il suo volto spaventato e pietrificato dinanzi a me, quando le immagini della sua eternità iniziarono a sbiadire da davanti ai miei occhi.
"Sophia... Sophia, cosa c'è?" sentivo la sua voce lontana, quasi provenisse da un sogno.
Portai la mano al viso e mi sfiorai la guancia, poichè sentivo qualcosa di caldo e umido scendere lentamente dai miei occhi. Stavo piangendo. Forse ciò che avevo appena vissuto era troppo per il mio cuore. La verità. La verità di tutte le verità era alla mia portata, proprio vicino a me. Mi scuoteva le spalle, cercando di riportarmi alla realtà.
Nel momento in cui presi pienamente coscenza di me decisi di tacere. Avrei dovuto dirgli quello che avevo visto? E se avessi avuto una lunghissima e stranissima allucinazione? E se anche ciò che avevo visto era la verità, una volta che glielo avessi detto, nel momento in cui avessi confidato lui di essere a conoscenza del suo segreto lui sarebbe rimasto con me? E se fosse scappato via? No, non potevo permetterlo.
Io amavo quell'uomo, per qualche oscura ragione il mio essere era legato al suo in maniera imprescindibile. Non potevo permettere alla mia anima di perderlo, dopo che finalmente lo aveva trovato.
"Micael..." sussurrai.
"Oh Sophia, grazie al cielo. Cosa ti è successo?" mi chiese. La voce rotta dall'ansia e dalla preoccupazione.
"Non so. Forse una carenza d'ossigeno, o di zuccheri... per un attimo ho perduto conoscenza." mentii, cercando di non dargli modo di capire.
"Sei sicura? Eri come pietrificata e...e il tuo respiro..." la sua voce si faceva più sicura e calma. Questo mi rassicurò.
"Si Micael, davvero. Tutto bene. Adesso inizio a sentire freddo, puoi riaccompagnarmi a casa?" chiesi. Avevo bisogno di metabolizzare l'accaduto, avevo bisogno del mio letto, avevo bisogno di piangere.
"Certo. Vieni, ti faccio strada." disse, prendendo la mia mano. Quel contatto mi sembrò avere un valore diverso dopo ciò che era successo.
La luce della luna cercava di filtrare attraverso la fitta rete di rami che si districava sopra di noi. Ogni tanto un raggio di quella flebile luce illuminava la sua schiena. In quegli attimi fugaci mi sembrò di vederle. Le sue ali.

Micael mi riaccompagnò a casa e mi diede un bacio sulla fronte per augurarmi la buona notte. Ricambiai con un sorriso, stringendo forte la sua mano. Nel chiudere la porta, scrutando l'immagine di quell'uomo che non aveva più misteri per me, mi sembrò di notare nuovamente la colomba bianca appollaiata sullo steccato del recinto di casa. Cercai di non dar peso alla cosa e corsi di volata in camera mia, dove finalmente potei scoppiare in lacrime. Tastando il buio, con il viso sommerso dal pianto, arrivai al letto e lì mi accasciai. Cercai di fare ordine nella mia testa, spostando i pezzi del puzzle che avevo involontariamente e inconsciamente ricevuto da Micael, provando ad incastrarli al meglio. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Non piangevo per paura, non piangevo per i segreti di Micael, non piangevo perchè mi aveva nascosto quelle cose, non piangevo per me. Piangevo per la tristezza con cui erano intrise quelle immagini, per la solitudine che avevo sentito sulla pelle, per l'amarezza di alcune di quelle memorie. Si, memorie. Quelli dovevano essere i suoi ricordi. E se ciò che avevo visto era vero, non dovevo nemmeno chiedermi il motivo per cui avevo potuto vederli.
In un solo istante tutto ciò che conoscevo era cambiato, tutto ciò che credevo di sapere era diverso, nuovo, sorprendente e spaventoso allo stesso tempo, per un misero essere umano quale io ero. Il velo di Maya. Caduto. Un bacio soltanto e il velo che mi nascondeva il mondo e la sua vera essenza era andato in frantumi, sbriciolato dai ricordi di Micael. Cosa mi restava da fare? Cosa avrei dovuto fare, da quel momento in avanti? Forse avrei dovuto chinare il capo e silenziosamente tentare di ricostruire la barriera che divideva me e la vera essenza delle cose. Avrei dovuto raccogliere uno ad uno i frammenti del mio velo distrutto cercando di non dimenticarne nessuno, cercando di non tagliarmi.
Non potevo farlo.
Ero abbastanza forte e caparbia per continuare la mia esistenza con la consapevolezza della realtà.
Asciugai gli occhi e sospirai, fissando la parete della mia stanza. Poi, con naturalezza, parlai al silenzio che mi sovrastava.
"So che ci sei. So che sei qui accanto a me e che non è la prima volta. Non posso vederti, forse non potrò mai farlo. Non conosco neppure il tuo nome, ma vorrei ringraziarti per tutto ciò che fai e che hai fatto per me. Grazie, mio custode." non mi sentii una stupida, mentre dicevo quelle cose. Avevo la certezza che qualcuno mi ascoltasse. Avevo la certezza che il mio guardiano, custode, angelo o qualunque cosa fosse, in quel momento mi stesse ascoltando. Sentii un brivido lungo la schiena. Poi un nome sfiorò il mio cuore, come una piuma che si posa leggera sul manto innevato di una collina.
Arel.
Quella notte mi addormentai subito. Forse per le troppe lacrime versate, forse per la pesantezza della giornata, forse per la grandezza delle cose che avevo scoperto involontariamente; i miei occhi si chiusero e si riaprirono il mattino seguente, gonfi e arrossati. Anche mia madre lo notò, dato il modo in cui mi fissava a tavola durante la colazione, ma ovviamente non mi chiese nulla; si limitò a scuotere la testa con disapprovazione e continuò a bere il suo caffèlatte senza preoccuparsi minimamente di me e del motivo per cui i miei occhi erano in quello stato.
Ben altra fu la reazione di mio padre alla vista del mio viso.
"Sophia, tesoro, cos'hai? Cosa ti è successo?"
"Nulla papà, non preoccuparti. Ho solo dormito poco, tutto qui." risposi, continuando a fissare il capo chino di mia madre.
"A me quelli sembrano gli occhi di una ragazza che ha passato tutta la notte a piangere, anzichè dormire." incalzò.
"Davvero papà, non è nulla. Ero solo un po' triste quando sono andata a dormire. Tutto qui." gli sorrisi.
Nel guardare il suo viso preoccupato e impaziente di conoscere le motivazioni che mi avevano resa triste, iniziai a pensare a lui e a mia madre. E ai loro rispettivi guardiani. Che aspetto potevano avere? Che tipo di esseri proteggevano l'anima dei miei genitori? Sicuramente il guardiano di mio padre doveva essere dolce, gentile, affabile e generoso. Quello di mia madre con tutta probabilità era identico a lei: scontroso, gelido e incapace di comunicare con gli altri.
"No, i guardiani non sono lo specchio di coloro che proteggono... deve essersi rassegnato anche lui" bisbigliai con la tazza del caffè vicino le labbra. Mio padre mi sentì, ma fece finta di non averlo fatto. Con tutta probabilità aveva capito che mi riferivo a mia madre e preferì non commentare.
Terminata la colazione mi alzai e mi recai all'ingresso. Quella mattina sarei tornata nella radura a dipingere; era la mia cura contro la tristezza.
Mio padre mi seguì silenziosamente e mi prese la mano sinistra che stava per aprire la porta.
"Sophia, cosa ti è successo?" chise di nuovo.
"Nulla papà, credimi." gli sorrisi di nuovo. Da bambina mi diceva sempre che il mio sorriso era il rimedio migliore alla tristezza e al dolore del mondo. Inconsciamente assunsi un certo senso di responsabilità nei confronti di quell'affermazione affettuosa e da allora ogni volta che mio padre era triste, imbronciato, dispiaciuto, prontamente sul mio viso scattava un sorriso. "adesso vado a dipingere nella radura. Sarò di ritorno prima di pranzo."
"Se avessi litigato con tua madre me lo diresti, vero?" inarcò le sopracciglia e avvicinò il suo viso al mio.
Non risposi. Lo baciai sulla fronte e gli sorrisi di nuovo.
"Ci vediamo dopo, tesoro." mi urlò dal pianerottolo mentre mi avviavo a passi svelti verso la bicicletta. Quella mattina ero certa che avrei rivisto Micael.
Non sapevo come avrei reagito vedendolo, non ero sicura di fingere abbastanza bene, ma avevo la piena certezza che volevo vederlo a tutti i costi. E se lui era davvero ciò che avevo avuto modo di vedere, il mio desiderio sarebbe stato accontentato.
"Arcangelo... da non credersi..." sussurrai, prima di iniziare a pedalare a tutta forza in direzione della radura.

lunedì 5 gennaio 2009

Il settimo frammento - Aria

Più ci addentravamo nel boschetto di aceri, più sentivo il mio cuore battere all'impazzata. Lui non proferiva parola, camminava silenziosamente senza lasciar mai la mia mano neppure per un secondo. La sua stretta era calda, morbida e la sua pelle era liscia come quella di un bambino. Ogni tanto si voltava verso di me elargendo quel dolcissimo sorriso che aveva lo strano potere di rendermi tranquilla e serena.
Mano a mano che ci allontanavamo dalla piazzetta e ci avvicinavamo al centro del boschetto sentivo il vociare della gente diventare più ovattato, come se tutto intorno a noi fosse avvolto dalla bambagia; il venticello serale tra i rami degli alberi e una civetta logorroica prendevano il predominio nell'aria.Fissavo la sua schiena, persa nei miei pensieri su di lui, e notai il suo abbigliamento per la prima volta. Difatti, nei nostri precedenti incontri, non mi ero mai soffermata a osservare gli abiti che indossava, quasi non ci fossero. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta nera che gli aderiva sul torace. Null'altro. Sarebbe stato simile ad un'ombra, se non avesse avuto quel viso meraviglioso e quello sguardo penetrante.D'un tratto si fermò buscamente, senza lasciarmi il tempo di capire; mi ritrovai letteralmente sulla sua schiena col viso."Scusami, non mi ero resa conto che ti eri fermato." dissi gesticolando senza senso, quasi a voler giustificare un gesto imbarazzante."Non devi scusarti, Sophia. E' colpa mia, mi sono fermato troppo bruscamente." sorrise. Mi tranquillizzai subito.Mi guardai intorno e finalmente mi accorsi di quale meraviglioso spettacolo poteva essere il boschetto di aceri a quell'ora di sera.Riportai il mio sguardo su Micael e lo vidi immobile, con gli occhi chiusi; aveva le braccia allargate a mezz'aria e inspirava a pieni polmoni. Era una scena bellissima che aveva un quacosa di misterioso e magico. Guardando più attentamente notai intorno a lui una leggera sfocatura dell'immagine, quasi come se stessi guardando attraverso il fuoco."Respira, Sophia. Assapora con tutto il tuo essere." mi disse, senza aprire gli occhi.Continuavo a fissarlo, stupita dei suoi gesti e delle sue parole. Cos'era che avrei dovuto assaporare? Non mi azzardai a chiedergli però spiegazioni, non avrei mai voluto rovinargli quel momento che sembrava tanto importante.Povai a fare ciò che mi aveva detto e chiusi gli occhi a mia volta, allargando le braccia come se avessi voluto stringere a me una sequoia gigante. Dopo aver fatto piccoli respiri per preparare i miei polmoni all'abbuffata successiva, inspirai il più profondamente possibile.Nulla.Espirai il più possibile, cercando di non lasciare tracce d'aria nel mio corpo, ed inspirai di nuovo.Spalancai gli occhi per la meraviglia. Micael mi guardava, sorridendomi soddisfatto."Allora, Sophia, cosa senti?" chiese curioso, anche se sapevo perfettamente che era già a conoscenza della risposta che gli avrei dato."Aria... per la prima volta in vita mia riesco a sentirla davvero." risposi."E dimmi, Sophia, com'è?" chiese.Non riuscivo a trovare le parole per descrivere ciò che sentivo, era una cosa completamente nuova, completamente sconosciuta. Ed era assurdo, era davvero una cosa assurda. Come poteva essere possibile? In fondo, in quel boschetto ci ero stata svariate volte e non avevo mai provato quello che stavo vivendo in quel momento."Non so spiegarmelo... non riesco a capire. Non mi ero mi resa conto di quanto l'aria potesse essere... vitale." chiusi gli occhi e inspirai di nuovo, più profondamente di poco prima. "E' come se fosse viva, dentro di me. Pervade ogni angolo del mio corpo, quasi non passasse dai polmoni. E? bellissimo." quella sensazione era meravigliosa.
"E ti piace, Sophia?" mi guardava con compiacimento e soddisfazione, quasi mi avesse spalancato le porte per un nuovo mondo a me fino ad allora sconosciuto.
"Si" risposi, senza aggiungere altro. Continuavo a fissarlo negli occhi, perdendomi dentro di loro, cullata da quell'aria così magica che prima di allora non avevo mai respirato.
Lui sedette a terra e iniziò ad accarezzare il suolo, dolcemente, come se volesse trasmettergli una quantità immensa di amore. Lentamente, continuando a respirare profondamente, mi avvicinai a lui e indicai il suolo accanto a lui. Mi sorrise, acconsentendo alla mia muta richiesta. Trattenni il vestito e mi accomodai accanto a lui, silenziosamente,senza mai staccare gli occhi dal suo viso.
I rumori della notte erano un dolcissimo sottofondo musicale, per quel momento. Il vento, leggero, parlava agli alberi soffiando tra i loro rami.
"Allora, Sophia, cosa vuoi sapere?" mi chiese d'un tratto, prendendomi alla sprovvista.
"Come fai a sapere che ho delle domande da porti?" risposi, cercando di prendere tempo.
"Chiunque ne avrebbe, Sophia. Quello che sta succedendo tra noi è strano, inaspettato anche per me, quindi presumo che chiunque al tuo posto avrebbe domande da porre allo sconosciuto di cui si è innamorata." sorrise. Mi sciolsi, letteralmente.
"E tu, Micael? Non hai domande da pormi?"
"Quello che conosco mi basta." rispose, secco ma dolce.
"Allora basta anche a me."
"No, non ti basta. O almeno, non basterà a coloro che ti porranno delle domande su di me nell'immediato futuro. Quindi, chiedi pure. Risponderò a tutto ciò che mi chiederai."
In effetti, quello che mi diceva aveva un senso. Anche quella stessa sera non ero riuscita a rispondere alle domande di Marie, che figura avrei fatto agli occhi di mio padre se fosse stato lui a pormi delle domande su Micael.
Ovviamente non mi preoccupavo di mia madre, lei non mi avrebbe mai fatto delle domande su di lui, per nessuna ragione al mondo si sarebbe interessata alla mia vita sentimentale.
"Bene, mi hai convinta. Allora, vediamo... dove vivi?"
Mi guardò sospettosamente, prima di rispondere. "Diciamo che mi sposto molto, non amo fermarmi a lungo nello stesso luogo."
"Vuoi dire che un giorno o l'altro potresti andar via anche da qui?" chiesi timorosamente.
"Voglio dire che, come già ti ho detto tempo fa, io sono ovunque. Non ho bisogno di un luogo preciso in cui stare."
"Stai eludendo la mia domanda, Micael."
"In che senso?""Scusa, ma una casa dovrai pure averla, no?" incalzai.
"Per il momento vivo da Gabriel. In futuro, chissà."
"E dove vive Gabriel?" continuai.
"Fuori paese. Ha una piccola villetta vicino al fiume." rispose convinto.
La risposta fu sufficiente per poter passare alla domanda successiva, ma non ci fu bisogno di chiedere nulla, poichè fu lui stesso ad un tratto ad iniziare a parlare.
"Se la prossima domanda è relativa al mio lavoro, diciamo che aiuto gli altri."
"Sei un medico?" in che altro senso poteva aiutrare gli altri, se non curando le persone.
"Non curo mali fisici." disse. Alzò una mano e indicò prima il mio cuore e poi la mia fronte. "Io dono sollievo qui e qui."
Era vero. Quello che diceva era vero. Lo aveva fatto anche con me, quella mattina in piazza. Inoltre, ogni volta che ero con lui mi sentivo bene, serena, tranquilla, come se nulla al mondo potesse scalfire la mia persona.
"Come mai sei interessato a me?" chiesi, prendendolo visibilmente alla sprovvista.
"PErchè mi poni questa domanda?"
"Perchè non riesco a credere che uno come te possa essere interessato a me. Tutto qui."
"Sophia, io non sono interessato a te. Io sono innamorato di te." inspirò profondamente. "Sai, io non ho mai avuto modo di innamorarmi di nessuno. A dir la verità, non ho mai potuto permettere al mio cuore di battere per una sola persona. Eppure..."
"Eppure?" chiesi ansiosa di conoscere il resto della risposta. Lui si alzò in piedi e si avvicinò ad un albero poco distante, alzando lo sguardo verso il cielo attraverso i rami.
"Eppure tu mi hai rapito. Forse non dovrei dirtelo, anzi sicuramente non dovrei farlo, ma... ti ho osservata a lungo, prima di presentarmi a te quel giorno nella radura. La prima volta che ti vidi eri assorta nei tuoi pensieri, mentre passeggiavi in paese. Mi colpì il modo in cui, pur essendo completamente persa nel tuo modo, sorridevi ai passanti, accarezzavi gli animali, osservavi la natura che ti circondava. Non avrei mai voluto seguirti, ma inconsapevolmente mi ritrovai a passeggiare silenziosamente dietro di te. Poi, d'un tratto, una voce nella mia mente ha esclamato - è lei - e da allora non ho fatto altro che osservare ogni tuo giorno con discrezione. Non avrei mai dovuto permettermi di rivolgerti la parola, quel giorno, ma ormai non si torna indietro." sospirò.
Il suo racconto mi aveva rapita completamente, mentre parlava, mentre descriveva quelle immagini, vedevo il suo racconto scorrere davanti ai miei occhi come delle fotografie.
"Sei arrabbiata, Sophia?" chiese preoccupato. Era affascinante il modo in cui le sue emozioni dipingessero con chiarezza il suo volto. Era come se per lui fosse impossibile mascherare i propri sentimenti.
"No, nella maniera più assoluta. Solo che continuo a non capire cosa di me ti possa interessare."
"Mettiamola così, Sophia. E' il destino. A quello nessuno può sfuggire, non credi?" sorrise. E di nuovo, mi sciolsi.
"Va bene, mettiamola così." risposi, anche se qualcosa in quel momento mi disse che la risposta mi era stata sottratta con una dolcissima forza.
Lui si riavvicinò a me e riprese il suo posto a terra, delicatamente. Altrettanto delicatamente chinò il capo di lato e lo avvicinò alla mia spalla. Sollevando gli occhi mi chiese il permesso di poter poggiare su di essa la testa e sorridendo acconsentii.
Da quella distanza sentivo chiaramente il suo respiro. Lento. Regolare. Sembrava un canto silenzioso dal quale mi lasciai cullare, chiudendo gli occhi.
"E' la prima volta, dacchè ho memoria, che provo sensazioni così forti Sophia." sussurrò.
"E ti spaventa?" chiesi, diretta.
"No. Non mi spaventa. Ma so che non dovrei lasciare che queste prendano possesso di me." il modo in cui pronunciò quelle parole mi mise in guardia.
"Perchè?"
"Questo, purtroppo, non posso dirtelo." tacqui. Se non poteva farlo, non volevo metterlo in condizione di doverlo fare. Quindi decisi di fingere che l'ultima parte della nostra conversazione non avesse mai avuto luogo. Non volevo che dei segreti rovinassero la storia che stava per nascere, ma non volevo metterlo in difficoltà. Qundi fingere era un compromesso decisamente conveniente. Ma lui continuò.
"A volte, il destino, gioca brutti scherzi. Non credi?" perchè continuava a fare il misterioso? A quel punto pensai che volesse essere spronato a parlare, ma decisi di mantenere la linea che mi ero prefissata di seguire, quindi non risposi. Ancora con gli occhi chiusi, sentii la sua testa che si sollevava dalla mia spalla. Mi voltai e vidi che mi stava osservando.
Una forza invisibile mi spinse a fare ciò che mai mi sarei aspettata da me stessa.
Sollevai la mano destra e gli accarezzai il viso, morbido, liscio, caldissimo. Avvicinai il mio viso al suo, lentamente, temendo una sua reazione. Inumidii le mie labbra con la lingua e poi le socchiusi, pronta ad accogliere le sue sul mio viso. Chiusi gli occhi e feci l'ultimo passo, portando la mano dietro la sua nuca e spingendolo dolcemente verso di me. Lui lasciò che lo facessi. Sentii il suo respiro sul mio viso. Sentii la sua mano che prese posto dietro la mia nuca, scostando i capelli. Sentii l'aria intorno a noi che si levò forte, d'un tratto, tramutandosi in una raffica di vento. Sentii le sue labbra che sfioravano le mie, con dolcezza. Sentii il suo bacio che iniziò a pervadere il mio corpo, come una scarica elettrica.
E vidi.

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...