Non capii subito quello che stava succedendo, non potevo assolutamente immaginarlo. Sentii solo il mio respiro fermarsi, per un attimo che sembrò eterno e il cuore che iniziò a battere all'impazzata, quasi volesse saltare fuori dalla mia bocca. Sentii le mani di Micael che stringevano forte le mie spalle, scuotendo tutto il mio essere, chiamando il mio nome. Spalancai gli occhi, cercando di aprirli più di quanto mi fosse concesso, ma non riuscivo a scacciare dal mio campo visivo quelle immagini. Un caleidoscopico tornado di immagini pervase il mio intero essere, fluendo da chissà dove per colmare ogni anfratto libero del mio cuore.
Tristezza, amore, gioia, dolore, morte, vita, paura, angoscia, libertà, prigionia dell'essere.
Uomini, persone, donne, cose, animali, corpi, essenze, anime.
Dio, angeli, cielo, terra.
Vita. Morte.
Di nuovo vita.
Un eterno secondo in cui tutte quelle sensazioni, trasformate in immagini simili a fotografie sbiadite, mi travolsero. Micael. Non avevo più bisogno di chiedergli chi fosse. Non avevo più nulla da chiedergli. Dopo quel bacio sapevo tutto di lui, letteralmente. Non avevo più la necessità di conoscere il suo passato. Il suo passato, i suoi passati erano in quel momento proprio davanti i miei occhi.
Non ricordo quanto tempo trascorse dal momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie al momento in cui ripresi pienamente coscenza del mio essere. Un secondo,un minuto, un'ora o un giorno. Ricordo solo il suo volto spaventato e pietrificato dinanzi a me, quando le immagini della sua eternità iniziarono a sbiadire da davanti ai miei occhi.
"Sophia... Sophia, cosa c'è?" sentivo la sua voce lontana, quasi provenisse da un sogno.
Portai la mano al viso e mi sfiorai la guancia, poichè sentivo qualcosa di caldo e umido scendere lentamente dai miei occhi. Stavo piangendo. Forse ciò che avevo appena vissuto era troppo per il mio cuore. La verità. La verità di tutte le verità era alla mia portata, proprio vicino a me. Mi scuoteva le spalle, cercando di riportarmi alla realtà.
Nel momento in cui presi pienamente coscenza di me decisi di tacere. Avrei dovuto dirgli quello che avevo visto? E se avessi avuto una lunghissima e stranissima allucinazione? E se anche ciò che avevo visto era la verità, una volta che glielo avessi detto, nel momento in cui avessi confidato lui di essere a conoscenza del suo segreto lui sarebbe rimasto con me? E se fosse scappato via? No, non potevo permetterlo.
Io amavo quell'uomo, per qualche oscura ragione il mio essere era legato al suo in maniera imprescindibile. Non potevo permettere alla mia anima di perderlo, dopo che finalmente lo aveva trovato.
"Micael..." sussurrai.
"Oh Sophia, grazie al cielo. Cosa ti è successo?" mi chiese. La voce rotta dall'ansia e dalla preoccupazione.
"Non so. Forse una carenza d'ossigeno, o di zuccheri... per un attimo ho perduto conoscenza." mentii, cercando di non dargli modo di capire.
"Sei sicura? Eri come pietrificata e...e il tuo respiro..." la sua voce si faceva più sicura e calma. Questo mi rassicurò.
"Si Micael, davvero. Tutto bene. Adesso inizio a sentire freddo, puoi riaccompagnarmi a casa?" chiesi. Avevo bisogno di metabolizzare l'accaduto, avevo bisogno del mio letto, avevo bisogno di piangere.
"Certo. Vieni, ti faccio strada." disse, prendendo la mia mano. Quel contatto mi sembrò avere un valore diverso dopo ciò che era successo.
La luce della luna cercava di filtrare attraverso la fitta rete di rami che si districava sopra di noi. Ogni tanto un raggio di quella flebile luce illuminava la sua schiena. In quegli attimi fugaci mi sembrò di vederle. Le sue ali.
Micael mi riaccompagnò a casa e mi diede un bacio sulla fronte per augurarmi la buona notte. Ricambiai con un sorriso, stringendo forte la sua mano. Nel chiudere la porta, scrutando l'immagine di quell'uomo che non aveva più misteri per me, mi sembrò di notare nuovamente la colomba bianca appollaiata sullo steccato del recinto di casa. Cercai di non dar peso alla cosa e corsi di volata in camera mia, dove finalmente potei scoppiare in lacrime. Tastando il buio, con il viso sommerso dal pianto, arrivai al letto e lì mi accasciai. Cercai di fare ordine nella mia testa, spostando i pezzi del puzzle che avevo involontariamente e inconsciamente ricevuto da Micael, provando ad incastrarli al meglio. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Non piangevo per paura, non piangevo per i segreti di Micael, non piangevo perchè mi aveva nascosto quelle cose, non piangevo per me. Piangevo per la tristezza con cui erano intrise quelle immagini, per la solitudine che avevo sentito sulla pelle, per l'amarezza di alcune di quelle memorie. Si, memorie. Quelli dovevano essere i suoi ricordi. E se ciò che avevo visto era vero, non dovevo nemmeno chiedermi il motivo per cui avevo potuto vederli.
In un solo istante tutto ciò che conoscevo era cambiato, tutto ciò che credevo di sapere era diverso, nuovo, sorprendente e spaventoso allo stesso tempo, per un misero essere umano quale io ero. Il velo di Maya. Caduto. Un bacio soltanto e il velo che mi nascondeva il mondo e la sua vera essenza era andato in frantumi, sbriciolato dai ricordi di Micael. Cosa mi restava da fare? Cosa avrei dovuto fare, da quel momento in avanti? Forse avrei dovuto chinare il capo e silenziosamente tentare di ricostruire la barriera che divideva me e la vera essenza delle cose. Avrei dovuto raccogliere uno ad uno i frammenti del mio velo distrutto cercando di non dimenticarne nessuno, cercando di non tagliarmi.
Non potevo farlo.
Ero abbastanza forte e caparbia per continuare la mia esistenza con la consapevolezza della realtà.
Asciugai gli occhi e sospirai, fissando la parete della mia stanza. Poi, con naturalezza, parlai al silenzio che mi sovrastava.
"So che ci sei. So che sei qui accanto a me e che non è la prima volta. Non posso vederti, forse non potrò mai farlo. Non conosco neppure il tuo nome, ma vorrei ringraziarti per tutto ciò che fai e che hai fatto per me. Grazie, mio custode." non mi sentii una stupida, mentre dicevo quelle cose. Avevo la certezza che qualcuno mi ascoltasse. Avevo la certezza che il mio guardiano, custode, angelo o qualunque cosa fosse, in quel momento mi stesse ascoltando. Sentii un brivido lungo la schiena. Poi un nome sfiorò il mio cuore, come una piuma che si posa leggera sul manto innevato di una collina.
Arel.
Quella notte mi addormentai subito. Forse per le troppe lacrime versate, forse per la pesantezza della giornata, forse per la grandezza delle cose che avevo scoperto involontariamente; i miei occhi si chiusero e si riaprirono il mattino seguente, gonfi e arrossati. Anche mia madre lo notò, dato il modo in cui mi fissava a tavola durante la colazione, ma ovviamente non mi chiese nulla; si limitò a scuotere la testa con disapprovazione e continuò a bere il suo caffèlatte senza preoccuparsi minimamente di me e del motivo per cui i miei occhi erano in quello stato.
Ben altra fu la reazione di mio padre alla vista del mio viso.
"Sophia, tesoro, cos'hai? Cosa ti è successo?"
"Nulla papà, non preoccuparti. Ho solo dormito poco, tutto qui." risposi, continuando a fissare il capo chino di mia madre.
"A me quelli sembrano gli occhi di una ragazza che ha passato tutta la notte a piangere, anzichè dormire." incalzò.
"Davvero papà, non è nulla. Ero solo un po' triste quando sono andata a dormire. Tutto qui." gli sorrisi.
Nel guardare il suo viso preoccupato e impaziente di conoscere le motivazioni che mi avevano resa triste, iniziai a pensare a lui e a mia madre. E ai loro rispettivi guardiani. Che aspetto potevano avere? Che tipo di esseri proteggevano l'anima dei miei genitori? Sicuramente il guardiano di mio padre doveva essere dolce, gentile, affabile e generoso. Quello di mia madre con tutta probabilità era identico a lei: scontroso, gelido e incapace di comunicare con gli altri.
"No, i guardiani non sono lo specchio di coloro che proteggono... deve essersi rassegnato anche lui" bisbigliai con la tazza del caffè vicino le labbra. Mio padre mi sentì, ma fece finta di non averlo fatto. Con tutta probabilità aveva capito che mi riferivo a mia madre e preferì non commentare.
Terminata la colazione mi alzai e mi recai all'ingresso. Quella mattina sarei tornata nella radura a dipingere; era la mia cura contro la tristezza.
Mio padre mi seguì silenziosamente e mi prese la mano sinistra che stava per aprire la porta.
"Sophia, cosa ti è successo?" chise di nuovo.
"Nulla papà, credimi." gli sorrisi di nuovo. Da bambina mi diceva sempre che il mio sorriso era il rimedio migliore alla tristezza e al dolore del mondo. Inconsciamente assunsi un certo senso di responsabilità nei confronti di quell'affermazione affettuosa e da allora ogni volta che mio padre era triste, imbronciato, dispiaciuto, prontamente sul mio viso scattava un sorriso. "adesso vado a dipingere nella radura. Sarò di ritorno prima di pranzo."
"Se avessi litigato con tua madre me lo diresti, vero?" inarcò le sopracciglia e avvicinò il suo viso al mio.
Non risposi. Lo baciai sulla fronte e gli sorrisi di nuovo.
"Ci vediamo dopo, tesoro." mi urlò dal pianerottolo mentre mi avviavo a passi svelti verso la bicicletta. Quella mattina ero certa che avrei rivisto Micael.
Non sapevo come avrei reagito vedendolo, non ero sicura di fingere abbastanza bene, ma avevo la piena certezza che volevo vederlo a tutti i costi. E se lui era davvero ciò che avevo avuto modo di vedere, il mio desiderio sarebbe stato accontentato.
"Arcangelo... da non credersi..." sussurrai, prima di iniziare a pedalare a tutta forza in direzione della radura.