martedì 23 giugno 2009

La prima luna - Sopito

La giornata è trascorsa lenta, oggi. Troppo lenta. Interminabile, estenuante, monotona, monocromatica, vuota. Ci son stati momenti in cui avrei voluto legarmi un cappio al collo e farla finita.
Per fortuna, o per sfortuna dipende dall'angolazione con cui si osserva la faccenda, sono a casa adesso, anche se come al solito, giunto a questo punto della giornata, non so proprio cosa fare.
Potrei chiamare Ivan e Gabry. No, meglio di no, mi hanno sopportato già troppo in questo periodo e preferisco lasciarli liberi di godersi l'intimità di coppia. Già, l'intimità di coppia. Una delle cose che più mi manca di noi, Zoe.
Tornare a casa la sera, infilare la chiave nella serratura e non fare in tempo a girarla che tu avevi già aperto la porta con il tuo merviglioso sorriso stampato sul viso. Oppure con l'espressione crucciata, quella forzatamente infantile e dolce, perchè avevi appena combinato un guaio. Magari in cucina. O magari al computer e non sapevi cosa fare per sistemare la cosa. O magari semplicemente perchè per tutto il pomeriggio non eravamo riusciti a sentirci.
Abbracciarti forte, salutare la piccola Prue e chiederti i miei canonici 10 minuti di solitudine chiuso in bagno. Minuti che tu, ovviamente, non rispettavi mai; dopo nemmeno due minuti eri lì, dietro la porta a grattare come un gatto dispettoso e ansioso di ricevere la sua dose di coccole.
Oh Zoe, quanto mi mancano queste piccolezze, questi attimi di infinita dolcezza.
Ovviamente adesso c'è Hikari qui con me ma, anche se la sua esagitata espressione di affetto mi riempie il cuore e i rientri a casa, non è la stessa cosa.
Eccola che mi guarda incuriosita mentre mi faccio la doccia, mi osserva, mi scruta, presta attenzione ad ogni mio più piccolo movimento dalla sua postazione, proprio sotto il lavabo. Aspetta paziente che le dia da mangiare e stasera è stranamente troppo paziente. Di solito corre per tutta casa disperata, scodinzolando e abbaiando, mentre adesso è insolitamente tranquilla. Chissà, magari ha capito che con il suo modo di fare a volte mi urta non poco.
Esco dalla doccia e mi avvolgo nel morbido accappatoio rosso che lei mi regalò qualche Natale fa e inizio a fissare la mia immagine allo specchio. Le gocce d'acqua scivolano lentamente sul mio viso. Guardo più attentamente. Lacrime.
"No, di nuovo... " ultimamente piango spesso senza rendermene conto. Senza una causa scatenante, senza alcun motivo. Le lacrime scendon giù da sole, come se nulla fosse. Apro il rubinetto e mi lavo la faccia, con foga, con rabbia. Via, via, queste lacrime non le voglio più. Sono stanco di versarle. Ogni lacrima lascia sul vio viso un solco incancellabile. Non è sabbia, il vento non rimetterà tutto a posto, è carne. Il mio viso è carne. E questi solchi fanno male.

Mentre preparo la cena Hikari mantiene ancora una compostezza e una tranquillità a lei di norma sconosciute. Meglio così, riuscirò a dormire un po' meglio stanotte.
Un piatto di pasta, un bicchierino di Sambuca per digerire meglio e conciliare il sonno e passeggiata pre-dormita con la cagnolina stranamente docile e mansueta.
"Cos'hai stasera? non stai bene? Inizio un po' a preoccuparmi... domani se stai ancora così, andiamo di corsa dal veterinario." le dico mentre è intenta ad annusare ogni angolo del vialetto. Ormai le parlo come se fosse una figlia. Se qualcuno mi sentisse mentre lo faccio mi prenderebbe per pazzo.
Entriamo nell'area di sgambo del parco vicino casa, dove a quest'ora non c'è mai nessuno, e la lascio libera di scorazzare dove e come vuole. Un fulmine sull'erba. Corre, salta, si blocca e drizza le orecchie, poi riparte, scatta a destra, a sinistra. Vederla così vitale è una gioia immensa e mi tranquillizza molto. Forse è così mansueta senza una ragione particolare. O forse perchè la mia reazione di stamattina alle parole della vicina l'hanno spaventata. Ah, già, che stupido. Qullo era un sogno. Soltanto un sogno, purtroppo. Eppure era così reale, così tangibile, così... desiderato.
"Ehy, bestia, torniamo a casa." le urlo dolcemente. Bestia. La chiamo così, affettuosamente.
Alle mie parole si ferma di colpo e inizia a fissarmi. La esorto.
"Hikari, dai, è tardi. 'ndiamo!" parte a razzo, verso di me. Una scheggia nell'aria. Le metto il guinzaglio e le dò un leggero strattone. Si torna a casa.

Arrivati a destinazione Hikari corre subito verso le sue ciotole e inizia a bere, ignorando i croccantini che sono nell'altra accanto.
Sistemo il guinzaglio sul mobiletto all'ingresso e mi soffermo dinaanzi al quadro sul cavalletto.
"Devo darci del fissativo, il carboncino stà venendo tutto via." il mio dito indice accarezza i capelli di sanguigna sulla tela, seguendo il movimento che gli ho dato quando l'ho realizzato.
"Avrei dovuto fare in modo che sembrassero più morbidi... lei li ha più morbidi." non mi convince molto, quel quadro. Solitamente, se c'è anche un piccolissimo particolare che stona con l'idea che ho quando lo realizzo lo distruggo. Cutter alla mano e via di tagli sulla tela. Eppure, con questo non sono in grado di farlo, non ci riesco.
"Hikari, andiamo a dormire?"
La mia piccolina mi segue felice in camera e salta sul letto appena mi siedo e mi tolgo le scarpe. Mi spoglio, gettando i vestiti sul cumulo di abiti dall'altra parte della stanza e senza rendermene conto, con Hikari accanto, sono già sopito.

Mi giro e rigiro nel letto, cercando la posiione ideale. Fa caldo. Fa troppo caldo qui. Quasi quasi faccio come Hikari e mi trasferisco sotto il letto, sul pavimento. Almeno starei a contatto con qualcosa di freddo.
"Che c'è? Non riesci a dormire?"
Questa voce. Mi volto e apro gli occhi lentamente, molto lentamente. Il suo sorriso mi travolge come un uragano nel pieno della sua potenza.
"Zoe... " sussurro. "sto sognando, vero?" le chiedo, rassegnato.
"Ma cosa dici?" la sua voce calda riempie le mie vene, come ha sempre fatto. "Vieni qui e abbracciami. Anche se fa caldo." si volta dall'altra parte e mi porge la schiena. Amo quando ci abbracciamo così, accoccolati nel letto, l'uno accanto all'altra, l'uno dentro l'altra.
"Zoe, perchè non torni da me?" le sussurro, scostandole i lunghi e morbidi capelli rossastri dall'orecchio.
"Ma ti senti bene, Sasha?" ribatte con dolcezza. "Io sono qui. Adesso dormi, domani si lavora."
"Voglio fare l'amore, Zoe." la mia mano si allontana lentamente dalla nuca e inizia ad accarezzare i suoi fianchi. Si volta verso di me e fissa i miei occhi increduli.
"Cosa c'è?" mi chiede, accarezzandomi i capelli sulle tempie. "Cosa ti turba?"
"Nulla Zoe. Ti amo immensamente, lo sai vero?"
"Si, lo so. Anche io ti amo immensamente."
"Tanto, troppo, mai abbastanza Zoe."
"Tanto, troppo, mai abbastanza." mi ripete. Entro in lei, dolcemente, e dolcemente vi resto. Mi cullo nel suo calore. Mi lascio trasportare dalle vibrazioni della sua essenza più profonda. E' lei. E' com'è sempre stata.
Hikari, da sotto il letto, emette un gemito. Sta sognando.
E io? Sto sognando?

sabato 6 giugno 2009

Il primo sole - Risveglio

I miei occhi faticano ad aprirsi.
A nulla serve l'incessante e martellante suono della sveglia, i miei occhi non vogliono aprirsi e guardare per il trentesimo giorno quel soffitto bianco, vuoto, sconosciuto.
Hikari continua a leccare il mio braccio emettendo guaiti fastidiosi. Vuole scendere giù, vuole fare i bisogni che ha trattenuto per tutta la notte. Devo ammettere però che la sua lingua calda sul mio braccio è una sensazione piacevole, come poche riesco a provarne ultimamente.
Un mese.
E' trascorso soltanto un mese. O forse dovrei dire che è già trascorso un mese. Dove sei adesso? A cosa stai pensando? Cosa stanno guardando quei tuoi occhi meravigliosamente profondi?
I miei occhi chiusi stanno osservando una nostra foto insieme, ben impressa nella mia anima, scattata l'anno scorso, in montagna. I due uomini delle nevi, come ci avevi definiti tu, vestiti nello stesso identico modo, con lo stesso identico sorriso di chi si ama profondamente, intensamente, incontrollabilmente. Non è il bianco della neve intorno a noi ad illuminare le nostre figure. Non è il sole, forte e deciso sui nostri giubbotti neri e riflesso nei nostri occhiali da sole, a scaldare quell'immagine così bella.
Siamo noi stessi a brillare. Il tuo braccio, saldamente ancorato al mio. La tua spalla destra che sfiora la mia spalla sinistra, quasi a voler ricordare l'appartenenza dell'uno all'altra.
I nostri sorrisi, veri, vitali, innamorati.
I miei occhi chusi stanno osservando quell'immagine nell'enorme bagaglio dei ricordi. I tuoi, invece? Hanno ancora la possibilità di incrociare un nostro abbraccio, in quella che è stata la nostra casa oppure hai già tolto tutto ciò che poteva ritrarre il nostro amore?
E' passato un mese, soltanto un mese, già un mese. E io sono qui a chiedermi perché non abbiamo avuto la forza di ritentare. Perché non hai avuto la forza di ritentare. Perché non hai voluto ritentare.
La risposta, probabilmente, la conosciamo entrambi. La differenza tra noi è che io ho il coraggio di ammetterlo, pur facendomi male, pur causando nel mio animo un dolore difficilmente immaginabile da un essere umano.
Dove sei, amore mio? Cosa stai facendo ora?
E io, dove sono?
Cosa farò ora?
Sarò in grado di riprendere in mano le redini della mia vita?
Sarò in grado di ricostruire pezzo per pezzo il puzzle del mio cuore in frantumi?
Sarò capace di ricominciare da me stesso?
Ci ho provato, ci sto provando. Ho raccolto ogni pezzo di me dal terreno e lo sto pian piano rimettendo al posto che gli compete ma ogni volta sembra che io commetta qualche errore; tutto cade in terra di nuovo.
Apro gli occhi, finalmente, ma solo perché Hikari decide di saltarmi di peso addosso e iniziare a ringhiare. Poverina, non riesce più a trattenersi; la mia apatia non deve assolutamente ripercuotersi su questa cagnetta dolcissima, non sarebbe giusto far pagare a lei la mia totale mancanza di voglia di fare.
“Buongiorno amore di papà” le sussurro accarezzandole il muso. La sua risposta è un balzo sul pavimento e un abbaio di rimprovero. Non posso darle torto.
Mi alzo e infilo i jeans riversi sul pavimento, cerco la maglia che avevo indosso ieri sera ma in tutto questo caos non riesco a raccapezzarmi. Quella rosa, stropicciata e probabilmente sporca, andrà benissimo, dopotutto deevo solo portare il cane giù.
Hikari mi attende paziente alla porta d'ingresso, seduta diligentemente su due zampe e con la coda in costante e regolare movimento. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra...
“Andiamo, bestia!”

Nel chiudere dietro di me la porta di casa il mio sguardo cade sull'ultima tela che ho dipinto ancora appoggiata sul cavalletto. Sembra sorridermi. Non posso che ricambiare quel sorriso, anche se il mio sorriso è ormai velato da una profonda tristezza.

Questa passeggiata è durata troppo, forse è meglio tornare in casa e decidere cosa fare della giornata di oggi, la prima giornata libera da un bel po' di tempo. Ovviamente Hikari non vuole saperne di tornare su. Sulla strada del ritorno incontro la mia vicina di casa, gentilissima signora di mezz'età forse eccessivamente accondiscendente e sorridente. Mentre mi parla, non so ben di cosa, i suoi troppi sorrisi mi disturbano non poco ma purtroppo il mio dover essere gentile e cortese con tutti non mi permette di dirle ciò che vorrei. Un momento. Neel fiume di parole appena pronunciate mi è sembrato di sentire qualcosa di strano.

"Mi scusi signora, cosa ha detto?" chiedo garbatamente.

"Nulla, dicevo solo che la tua ragazza stamattina è stata così gentile da aiutarmi a portare su in casa la spesa. E' proprio una persona carina, così a modo. E poi è molto bella sai? Dovresti..." le sue parole non entrano più nelle mie orecchie. Il mio pensiero è fisso sulla frase che ha proninciato pochi secondi prima. La mia ragazza?

"Mi scusi signora, è sicura che sia stata proprio la mia ragazza?" le chiedo. Magari si sbglia.

"Certo che ne sono sicura. La conosco bene, io. Vivete qui da un mese ormai. E poi vi vedo sempre insieme!" ma cosa sta dicendo questa donna? Io vivo da solo, da un mese. O forse... forse è stato solo un incubo. Forse questo ultimo mese è stato solo frutto della mia immaginazione e adesso lei è lì, a casa che mi aspetta.

"Mi scusi signora, adesso devo scappare. Ci vediamo presto, intesi?" non le lascio il tempo di rispondere. Sono già di corsa, con Hikari al seguito, verso casa. Mi sembra di volare, la sensazione è quella di non toccare affatto l'asfalto. Lei è lì, lei è a casa. Le immagini di ciò che è intorno a me si distorgono, passano veloci nel mio campo visivo, nulla è nitido tranne che la mia meta. Casa. Salgo le scale in tutta fretta, la povera Hikari mi segue sfinita su per le rampe e senza emettere un solo gemito. Ha capito perchè corro, ha capito perchè ho tanta fretta, forse è felice anche lei.

"Zoe" urlo il suo nome mentre spalanco la porta di casa. Una luce accecante mi costringe a chiudere gli occhi. Li riapro subito, un solo istante. Quello che vedo è un soffitto bianco, asettico, ancora sconosciuto. Quello che sento è il suono incessante della sveglia. La lingua calda e umida di Hikari sul braccio. Una lacrima sulla mia guancia.

Risveglio.

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...