Quando tornai a casa, quella mattina, mia madre non mi rivolse la parola neppure una volta, come se il mio stato d'animo non la sfiorasse minimamente. Mio padre, invece, non fece che fissarmi tutto il tempo, con sguardo carico di tristezza mista a compassione. Sapevo che mi capiva, ma sapevo anche che lui non poteva fare assolutamente nulla per cambiare la situazione. Amava mia madre, ma ciò che sapevo con certezza assoluta era che oltre ad amarla ne era succube e dipendente. Non potevo biasimarlo. Non potevo avercela con lui. Non conoscevo approfonditamente ciò che avevano vissuto entrambi in passato e non pretendevo di capire le motivazioni che li avevano spinti ad essere ciò che erano.
Era la mia famiglia, dovevo accettarla così com'era. Ma prima o poi, mi ripetevo in continuazione, avrei affrontato mia madre a viso duro e le avrei detto tutto ciò che pensavo. Ma quello non era ancora il momento giusto, non ero ancora abbastanza forte e matura da poterlo fare.
I giorni trascorsero velocemente, dal mio incontro con Micael nella piazza del paese,e nella mia mente continuavano a riaffiorare le immagini di quella mattina. La sua elegante camminata tra i piccioni che non si scomodarono a volare via al suo passaggio, le sue dita che raccoglievano quella lacrima rimasta sul mio viso, i suoi profondissimi occhi che mi fissavano, la colomba bianca appollaiata sul rosone della chiesa che ci fissava impietrita.
C'era qualcosa in Micael che mi turbava al punto da togliermi il sonno, qualcosa che non riuscivo a spiegare in alcun modo. La cosa che però mi assillava più di tutte era il modo in cui era riuscito ad estrapolare dalla mia anima i pensieri più tristi e intimi su mia madre, con estrema semplicità. Nessuno prima di allora aveva saputo ascoltare le mie parole in quel modo tanto interessato quanto distaccato. Era come se il suo interessamento per me fosse spinto più dalla curiosità che da altro. Tra tutti i miei amici, per quanto pochi fossero, nessuno era mai stato in grado di mettermi nelle condizioni tali da aprire completamente il mio cuore; probabilmente questo era dovuto anche alla mia grande timidezza e riservatezza, ma il punto della questione non era affatto quello.
Un pomeriggio più tardi, mi recai al centro del paese a fare acquisti per la mia passione; mi ero accorta di avere terminato alcni colori, quali il blu e il rosso, essenziali per poter creare il mio colore preferito. Nessuno dei quadri che dipingevo poteva dirsi terminato se almeno un piccolo dettaglio non fosse stato colorato di viola.
Tutti i negozi più forniti si trovavano intorno alla piccola piazza antestante la chiesetta, essendo quello il luogo del paese più frequentato in assoluto; tra loro vi era anche il negozietto di belle arti del signor Pablo, un simpatico omino fuggito dalla Spagna e istallatosi definitivamente presso di noi. Per una donna, mi disse una volta, aveva lasciato la Spagna, ma non capii mai se da quella donna fuggiva o se la aveva seguita fin dove si trovava ora. Avrei sempre voluto chiederglielo, ma non ero una persona talmente tanto sfacciata da poterlo fare. In fondo, lui era soltanto l'omino spagnolo che mi vendeva i colori e i pennelli.La piazza era gremita, come sempre, di bambini che urlavano e si rincorrevano mentre le loro madri passavano il tempo tra una drogheria e un pettegolezzo. Prima di entrare nel negozio, mentre mi accingevo ad aprire la porta d'entrata, qualcosa mi spinse a voltarmi verso la chiesa e istintivamente alzai gli occhi verso il rosone. La vidi. Quella colomba bianca era lì, come quella mattina, e mi stava fissando. La cosa iniziò ad incutermi un certo timore e presa da questo entrai velocemente nel negozio, continuando a guardarmi indietro come per accertarmi che lo strano, candido uccello non mi seguisse.
"Buongiorno Sophia" esclamò il signor Pablo.
"Oh, buongiorno a lei... scusi la foga con cui sono entrata." risposi. Effettivamente ero entrata nel negozio con la grazia di un elefante.
"Non devi scusarti. Dimmi, cosa ti porta qui oggi?" chiese gentilmente.
"Io... avevo bisogno di alcune cose." balbettai. Non era l'imbarazzo a impedirmi di parlare ma l'ansia che quella dannata colomba mi stava mettendo addosso.
"Vediamo... cosa ti serve? aspetta aspetta, provo ad indovinare. Hai bisogno del ciano e del rosso carminio, vero?" domandò sogghignando.
"Sono così prevedibile?" risposi sorridendo cortesemente.
"No, assolutmente. Sono io che posso leggere nel pensiero!" rispose ridendo, mentre si recava nel retrobottega a prendere ciò che volevo.
In attesa del suo ritorno, mi avvicinai alla vetrina del negozio e buttai lo sguardo al rosone, per controllare. La colomba era sparita e la cosa mi rassicurò non poco.
Non era l'uccello in sè ad angosciarmi ma il modo in cui mi fissava. Quei suoi piccoli occhi immobili e fissi su di me. In fondo ero perfettamente in grado di capire che un uccello non avrebbe mai potuto farmi del male.
Poco dopo, il signor Pablo tornò con i miei colori e un pennello, che io non gi avevo chiesto.
"Questo è un piccolo omaggio per te, Sophia. Sentirai che piacere srà utilizzarlo. Le sue setole sono morbidissime ma tenaci." Mi piaceva ascoltarlo parlare. Non aveva perduto affatto il suo accento spagnolo, e adoravo quella cadenza.
"La ringrazio, signor Pablo. E' dvvero molto gentile." ringraziai con gentilezza e riconoscenza per il dono che mi aveva fatto e dopo aver pagato mi apprestai ad uscire per tornare a casa.
Una volta fuori dal negozio mi incamminai con passo lento, con il mio sacchetto tra le mani. Giravo il mio sguardo continuamente, prima a destra poi a sinistra; non stavo controllando però se a colomba fosse ancora lì a fissarmi. No, il mio pensiero in quel momento era diventato un altro. Speravo di vederlo. Pregavo di incontrarlo di nuovo. Non ne conoscevo il motivo, sapevo solo che provavo un irrefrenabile desiderio di parlare ancora un po' con lui. Micael. Il suo nome era diventato il sottofondo musicale della mia anima e la cosa non mi dispiaceva. Tutt'altro.
Oramai ero quasi arrivata a casa e di lui, neanche l'ombra. Purtroppo capii che dovevo rassegnarmi all'idea di non incontrarlo.
Quando stavo per accingermi ad infilare la chiave di casa nella serratura una folata di vento fortissimo mi scompose i capelli e i vestiti. Non sapevo perchè, ma sentii di dovermi voltare. Non lo feci subito, però. Attesi quel tanto che bastava per udire una voce familiare e desiderata alle mie spalle.
"Perdonami se ti ho fatta aspettare, Sophia."
Lui era lì, dietro di me.
Mentre mi voltavo, lasciai che una parte dei miei capelli cadesse davanti al mio viso, quasi per schermare il mio imbarazzo e la mia gioia dal suo sguardo.
"Perchè ti scusi? Non avevamo un appuntamento." risposi.
"Non mi stavi aspettando?" chiese garbatamente, con un piccolo ghigno abbozzato sul volto.
Dopo un attimo di esitazione risposi "si", malcelando tutto l'imbarazzo che stavo provando per quella risposta.
"Non sentirti imbarazzata, Sophia. Anche io desideravo incontrarti di nuovo."
"Buongiorno Sophia" esclamò il signor Pablo.
"Oh, buongiorno a lei... scusi la foga con cui sono entrata." risposi. Effettivamente ero entrata nel negozio con la grazia di un elefante.
"Non devi scusarti. Dimmi, cosa ti porta qui oggi?" chiese gentilmente.
"Io... avevo bisogno di alcune cose." balbettai. Non era l'imbarazzo a impedirmi di parlare ma l'ansia che quella dannata colomba mi stava mettendo addosso.
"Vediamo... cosa ti serve? aspetta aspetta, provo ad indovinare. Hai bisogno del ciano e del rosso carminio, vero?" domandò sogghignando.
"Sono così prevedibile?" risposi sorridendo cortesemente.
"No, assolutmente. Sono io che posso leggere nel pensiero!" rispose ridendo, mentre si recava nel retrobottega a prendere ciò che volevo.
In attesa del suo ritorno, mi avvicinai alla vetrina del negozio e buttai lo sguardo al rosone, per controllare. La colomba era sparita e la cosa mi rassicurò non poco.
Non era l'uccello in sè ad angosciarmi ma il modo in cui mi fissava. Quei suoi piccoli occhi immobili e fissi su di me. In fondo ero perfettamente in grado di capire che un uccello non avrebbe mai potuto farmi del male.
Poco dopo, il signor Pablo tornò con i miei colori e un pennello, che io non gi avevo chiesto.
"Questo è un piccolo omaggio per te, Sophia. Sentirai che piacere srà utilizzarlo. Le sue setole sono morbidissime ma tenaci." Mi piaceva ascoltarlo parlare. Non aveva perduto affatto il suo accento spagnolo, e adoravo quella cadenza.
"La ringrazio, signor Pablo. E' dvvero molto gentile." ringraziai con gentilezza e riconoscenza per il dono che mi aveva fatto e dopo aver pagato mi apprestai ad uscire per tornare a casa.
Una volta fuori dal negozio mi incamminai con passo lento, con il mio sacchetto tra le mani. Giravo il mio sguardo continuamente, prima a destra poi a sinistra; non stavo controllando però se a colomba fosse ancora lì a fissarmi. No, il mio pensiero in quel momento era diventato un altro. Speravo di vederlo. Pregavo di incontrarlo di nuovo. Non ne conoscevo il motivo, sapevo solo che provavo un irrefrenabile desiderio di parlare ancora un po' con lui. Micael. Il suo nome era diventato il sottofondo musicale della mia anima e la cosa non mi dispiaceva. Tutt'altro.
Oramai ero quasi arrivata a casa e di lui, neanche l'ombra. Purtroppo capii che dovevo rassegnarmi all'idea di non incontrarlo.
Quando stavo per accingermi ad infilare la chiave di casa nella serratura una folata di vento fortissimo mi scompose i capelli e i vestiti. Non sapevo perchè, ma sentii di dovermi voltare. Non lo feci subito, però. Attesi quel tanto che bastava per udire una voce familiare e desiderata alle mie spalle.
"Perdonami se ti ho fatta aspettare, Sophia."
Lui era lì, dietro di me.
Mentre mi voltavo, lasciai che una parte dei miei capelli cadesse davanti al mio viso, quasi per schermare il mio imbarazzo e la mia gioia dal suo sguardo.
"Perchè ti scusi? Non avevamo un appuntamento." risposi.
"Non mi stavi aspettando?" chiese garbatamente, con un piccolo ghigno abbozzato sul volto.
Dopo un attimo di esitazione risposi "si", malcelando tutto l'imbarazzo che stavo provando per quella risposta.
"Non sentirti imbarazzata, Sophia. Anche io desideravo incontrarti di nuovo."
La sua risposta mi riempì il cuore di gioia. Anche lui desiderava incontrarmi, non ero la sola a volerlo.
"Come facevi a sapere... no, nulla, lascia perdere." dissi.
"A cosa stai pensando, Sophia?"
"Beh... ecco... quando sei arrivato, tu hai detto perdonami se ti ho fatta aspettare. Come facevi a sapere che ti stavo aspettando? Come facevi a sapere che speravo di incontrarti?"
Si avvicinò lentamente a me e accarezzò i miei capelli, amorevolmente, delicatamente. Sentii dei brividi fortissimi percorrermi tutta la schiena. Inclinai leggermente la testa, quel tanto che bastava per sfiorare con la guancia la sua mano.
"Importa?" mi chiese, socchidendo gli occhi e abbozzando un sorriso.
"No, non importa." risposi arrendevolmente. In fondo era vero. Cosa importava? Lui era lì, davanti a me, e mi stava accarezzando i capelli. Avrei fermato il tempo se avessi potuto farlo. Sarei rimasta immobile a lasciare che lui mi accarezzasse i capelli in eterno. Un leggero soffio di vento portò al mio naso il suo profumo; aveva l'odore di erba bagnata dalla rugiada. Quel profumo non mi era mai sembrato tanto bello come allora.
"Torni subito dentro o vieni a fare una passeggiata con me?" mi chiese.
Purtroppo il tempo era volato ed oramai era sera inoltrata. Non potevo attardarmi ancora fuori, i miei genitori si sarebbero adirati. Era usanza, in famiglia, cenare tutti insieme e non potevo contravvenire alla regola.
"Credimi, vorrei tanto. Ma non posso farlo. I miei genitori mi aspettano." dissi.
"Va bene. Ci sarà l'occasione per farlo." sorrise. Avvicinò le sue labbra alla mia fronte e vi posò su un bacio delicatissimo. Quel gesto, tipico di mio padre che mi augurava la buonanotte, assunse tutt'altro valore fatto da lui.
Si allontanò di qualche passo, senza darmi le spalle e fece un cenno di resa con le spalle.
"Ciao, Micael." dissi.
Lui attese qualche istante e disse quello che il mio cuore voleva sentirsi dire in quel momento.
"Io sono innamorato, Sophia. Non so come hai fatto, non ne conosco la ragione. Ma sono innamorato di te." il suo sorriso mi parve ancora più grande e bello del solito.
"Lo stesso vale per me, Micael." aggiunsi io. L'imbarazzo mi fece voltare di scatto e infilai la chiave nella serratura. Prima di aprire la porta sentii nuovamente una forte folata di vento, dietro di me. Mi voltai. Lui non c'era più.
Varcai la soglia di casa e socchiusi la porta piano, scrutando il vialetto con attenzione per cercare di scorgere nuovamente la sua immagine. Lui era innamorato di me.
Io mi ero innamorata di lui.
La nostra storia, quella che avrebbe portato entrambi in luoghi sconosciuti e inaspettati, quella sera aveva avuto inizio.