giovedì 11 marzo 2010

Il quarto sole - Rosso

Due occhi curiosi e affamati di vita. Guardare Hikari mentre passeggia felice per le strade della città mi rende davvero felice. E' una di quelle poche cose che riesce a farmi completamente dimenticare per un po' tutti i pensieri aridi e sterili che affollano la mia mente in questi ultimi mesi.
Postura fiera e goffa allo stesso tempo, zampette veloci e elegantemente ridicole, coda folta e scodinzolante. E due occhi enormi e profondi. La mia bimba è meravigliosa.
E stronza come poche.
Ogni gatto, ogni cane, ogni singolo piccione che osi tagliarle la strada diventa preda a cui abbaiare con forza e ostinazione. E i bambini. I bambini proprio non riesce a digerirli. Sarà il loro modo di fare invasivo e poco delicato, saranno le loro vocine stridule e a volte fastidiose... sarà che ultimamente la penso come lei.
E dire che ho sempre pensato di essere nato padre. Ho sempre desiderato avere dei figli, prima di quanto di solito un uomo possa desiderare legare la propria vita definitivamente ad un altro essere. Da quando Zoe mi ha lasciato è cambiato anche questo, anche se non so darne una motivazione precisa.
Arianna e Gabry dicono che secondo loro è un rigetto a tutti quelli che erano i miei desideri con Zoe... forse hanno ragione, forse no. Sono poche le cose di cui ho certezza, oramai.
Guardo l'orologio con la coda dell'occhio mentre cerco di non distogliere l'attenzione da Hikari che ha deciso di fare pipì proprio al centro della strada.
“Perchè devi scegliere sempre i posti più assurdi per liberarti? Bestia tonta... muoviti che siamo in ritardo” il suo sguardo colpevole, quando fa i bisogni, è una cosa che mi scioglie letteralmente il cuore.
In effetti siamo in ritardo di 5 minuti e io odio non essere puntuale, soprattutto se l'incontro in questione mi imbarazza già a priori.
Sono proprio stupido, non dovevo farmi convincere dai ragazzi a incontrare Serena. Non credo di essere pronto. Tra l'altro ho il terrore della reazione di Hikari all'incontro. E' gelosissima di me e quando non conosce qualcuno diventa una specie di demonio.
Carmen, la mia amica che è anche educatrice cinofila, dice che è così perchè soffre della sindrome dell'abbandono e per questo ha sviluppato un forte attaccamento nei miei confronti. Sarà... secondo me è solo perchè è femmina. E molto stronza.
Ma io l'amo da morire.
Oddio. Eccola lì. Seduta su quella panchina, con quell'aria assente e quel libro in mano, è proprio bella. E io mi sento ancora più stupido. Una come lei non potrebbe mai davvero interessarsi a uno come me. Adesso poi, dopo quello che ho passato. Ho smesso anche di curare il mio aspetto, oltre che il mio animo. Sono trasandato e sembro un barbone. E pensare che fino a qualche mese fa curavo ogni più piccolo dettaglio, dalla cintura alle mutande abbinate alla cravatta. Ma dove sono finito? Dov'è finita quella parte di me?
Ecco, mi ha visto. E Hikari ha visto lei. Dio ti prego fa che non abbai. Non abbaiare, non abbaiare. E tu non chiamarmi, aspetta che mi avvicini io,
“Ehi, stavo per perdere le speranze!” ecco, l'ha fatto, ha parlato per prima. Ma come, la bestia non dice nulla? Si limita a guardarla.
Porto le mani al petto senza rendermene conto. Una fitta. Sarà un dolore intercostale.
“Ciao Serena, scusami. Sai com'è, bisognini impellenti. E poi bisogna correre dietro ogni farfalla o mosca che passa.” mi avvicino lentamente e lascio a Hikari il tempo di capire che quella che ha davanti è una persona che conosco e di cui non deve avere paura. Anche se sembra eccessivamente tranquilla. Forse mi sono preoccupato inutilmente.
“E così lei è la bestiolina?!” No, non farlo. Si è gettata letteralmente addosso alla bestia stranamente calma. Eh?! Si sta facendo accarezzare senza problemi. Assurdo.
“Ma è dolcissima. Oh mio Dio è davvero bella” il suo sorriso è penetrante. Arrogante. Amabile. Un sorriso arrogante e amabile, che connubio insolitamente bello.
“Mi fa specie il suo comportamento, sai? Di solito con chi non conosce è aggressiva, inizialmente.”
“Beh, io sono l'eccezione che conferma la regola. Mi adora direi.” già, a vederla, la adora. Nemmeno con me Hikari ha avuto questo atteggiamento appena ci siamo conosciuti. Meglio così.
“Allora, dove vuoi andare?” le chiedo. Spero solo non voglia andare in n posto dove ci sia troppa gente, Hikari abbaierebbe tutto il tempo.
“Voglio fare il percorso che fate insieme di solito, non voglio deviare la vostra passeggiata.” ma perchè è così gentile con me? Mi spaventa quasi questo suo modo di fare.
“Ok, allora andiamo. Lasciamo che vada avanti la bestia, conosce la strada.” le porgo il guinzaglio “vuoi tenerlo tu?”
Dalla sua espressione sembra quasi che le abbia appena regalato un diamante. Le si sono illuminati gli occhi e tutto il volto di riflesso.
Prende la cima del guinzaglio con la mano destra e infila il braccio sinistro sotto il mio braccio.
Questo gesto mi lascia perplesso ma mi fa sorridere sotto i baffi e sospirare. Spero solo non se ne sia accorta, non vorrei pensasse che io la stia prendendo in giro.
Di nuovo la fitta al petto. Forse devo smettere di fumare.
“Ehi… la tua camicia!” esclama lei con gli occhi sgranati.
“Cos’ha? Non ti piace?” abbasso lo sguardo e non credo a quello che vedo. Una macchia rossa proprio al centro del petto. Sangue. Ma come diavolo…? La mia mentre ritorna alla sera prima e al sogno e alla festa delle streghe e al volto di Zoe e al risveglio. E al sangue.
Un dolore fortissimo mi costringe a piegarmi sulle ginocchia.
“Oddio. Cos’hai? Stai bene?” Serena si piega verso di me con uno scatto repentino e mi cinge le spalle.
“Si, si, tranquilla. Tutto ok. Mi sono solo spaventato per la macchia.” Hikari inizia a leccarmi il volto, preoccupata quanto Serena.
“Ma cos’è quella macchia? Sangue?” Leggo ansia nei suoi occhi.
“No, no. Ma che sangue. Deve essere il succo di frutta che ho bevuto prima al bar.” Ma sono idiota o cosa? Una bugia migliore non sapevo trovarla?
“Succo di frutta?” ripete lei incredula.
“Succo di frutta.” Le ripeto “Arancia rossa. Buonissimo, è il mio preferito” Mi rialzo e tiro fuori dalla borsa un fazzoletto di carta. Lo sistemo a mo’di bavaglino e sorrido a Serena.
“Ecco, così non si vede nulla. Anche se sono alquanto ridicolo.” Cerco di sdrammatizzare e fare l’idiota, magari la sua attenzione cadrà dal mio petto alla mia stupidaggine.
Lei sorride forzatamente e riprende a camminare. Io continuo a sentire male. Hikari continua a curiosare allegramente anche se ogni tanto si volta verso di me per vedere se sono ancora dietro di lei.

Silenziosamente siamo arrivati al parco e sempre silenziosamente abbiamo sciolto la bestia dalla sua “catena” per lasciarla correre felice. Non ci siamo scambiati neppure una parola dal momento in cui ha visto la macchia di sangue sulla mia camicia e io non me la sono sentita di intraprendere un qualsiasi discorso. Non so spiegarmene il motivo. E’ come quando, dopo un litigio con qualcuno, pur essendo io nella ragione non riesco a guardare l’altra persona negli occhi. Per imbarazzo, per orgoglio, per timidezza. Non saprei spiegare. Forse non mi piaccio quando litigo e discuto perché mi rendo conto di non essere molto in grado di controllare la rabbia e le parole in certi ambiti. O forse è semplicemente perché so di aver ferito, seppur in maniera marginale e involontaria, la persona con cui ho discusso. Fatto sta che la sensazione che provo in questo momento è proprio uguale al disagio post litigio.
Seduti a cavalcioni di una panchina non riusciamo a fare altro che fissare il silenzio negli occhi senza riuscire a buttarlo giù dal nostro incontro.
Lei giocherella con un rametto colto da terra e ogni tanto butta lo sguardo sulle mie mani che giocherellano con il guinzaglio della bimba.
“Perché non mi hai detto la verità prima?” per fortuna interrompe lei questo silenzio insopportabile, anche se lo fa con una domanda non propriamente semplice.
“Ma ti ho detto la verità. Cosa dovrei nasconderti?” non riesco a guardarla negli occhi. E’ troppo bella. E’ troppo dolce. E’ troppo incuriosita dal mio petto. “Piuttosto, cambiamo argomento. Parlami un po’ di te.” Ti prego, cambia argomento e smetti di tenermi il broncio.
“Parlarti di me. Cosa vuoi sapere, di me? Sono figlia unica, i miei genitori vivono fuori città e io sono qui per studio. Studio Discipline dello spettacolo e adoro il teatro. Mi piacciono le lunghe passeggiate all’aperto, adoro prendere il sole in una giornata di pioggia…” la sua ultima affermazione mi fa sorridere. Il sole in un giorno di pioggia.
“Perdonami, non volevo deriderti. E’ che non ha molto senso quello che dici… in merito al sole intendo.” Meglio scusarmi, altrimenti penserà che sono un grandissimo cafone.
Hikari torna come un razzo verso di noi e ci salta addosso prima di riprendere la sua corsa spericolata.
“E dire che mi sarei aspettata che uno scrittore potesse capire il senso di quello che ho detto.” Mi sfida sorridendo.
In effetti è una affermazione molto poetica, anche se non riesco comunque a trovare il senso della frase.
“Vedi… tutte le mattine mi alzo, apro la finestra e guardo il cielo. E guardo il cielo sorridendo. Anche se piove. E ripeto a me stessa: oggi è una bellissima giornata. E se sono in strada mi soffermo per lunghi attimi sotto la pioggia scrosciante e prendo il sole. Perché anche se piove, c’è. E’ lì, sopra le nuvole. E sopra quelle nuvole grigie, oscure, cariche di lacrime è davvero una bellissima giornata. Quindi cerco di catturare per me quel sole, noncurante del muro grigio che si frappone tra lui e me. E mi sembra di sentirlo sulla pelle, insieme alle gocce di pioggia. Anzi, sembra quasi che quelle gocce di pioggia siano cariche dei raggi del sole. Capisci ora quello che intendo?” mi guarda con un sorriso splendente. E mi sento completamente travolto dalle sue parole. Non avevo mai pensato prima a questa cosa. Non mi ero mai soffermato prima a pensare che in effetti, per quanto grigia possa essere una giornata, il sole è sempre lì. Dietro la coltre di nubi. Dietro la nebbia. Dietro i problemi. Dietro i pensieri negativi. Il sole è sempre lì.
“E’ davvero molto bello quello che dici. Ti ringrazio, mi hai fatto riflettere.” Le sussurro a bassa voce, quasi mi vergognassi di quello che sto dicendo.
“Sono contenta.” Si sporge verso di me e posa le sue labbra sulle mie, con delicatezza. Sento il suo bacio. Una piuma sulla pelle. Si scosta di poco, quel tanto che basta per sentire il suo respiro sul mio viso.
“Scusami, desideravo farlo da quando mi hai abbordata l’altro giorno.” Sussurra.
“No… figurati. Mi hai solo colto alla sprovvista.” Oddio, mi ha baciato. Volto di poco lo sguardo per cercare Hikari con la coda dell’occhio. E’ lì, immobile e ci fissa come fossimo due prede da studiare.
Dolore. Intenso dolore. Lacerante dolore. E questa volta parte dal petto per espandersi in tutto il corpo. Diamine. Non posso fare a meno di piegarmi di nuovo.
“Samuel!” cado dalla panchina e sento le zampe di Hikari correre verso di me. Cerco di rialzarmi di scatto. Barcollo un po’. Sono di nuovo in piedi. Lei strappa via il fazzoletto che ho ben bene sistemato sulla camicia. La macchia si è allargata.
“Samuel…” dice a bassa voce. “Che cosa…?” non riesce a terminare la frase. E anche se so cosa vuole sapere sto zitto. Cosa dovrei risponderle? Sai Serena, faccio dei sogni strani in cui la mia ex ha deciso di procurarmi ferite che per qualche strano motivo mi ritrovo anche dopo che mi sono svegliato? No, sarebbe assurda come cosa.
“Perché lo fai, Samuel?” mi fissa impietrita e vedo due lacrime solcarle il volto.
Perché lo faccio? Faccio cosa? Guardo di nuovo la camicia e poi guardo lei. E di nuovo la camicia e poi di nuovo lei. Cosa devo dirle? ODDIO. Forse crede che io mi faccia del male volontariamente.
“No, Serena. Non è come credi.” Cerco una plausibile spiegazione a quello che sta succedendo. Ma che spiegazione plausibile potrei mai darle? Cazzo, la mia camicia è inzuppata di sangue e io non riesco a fermarlo in nessun modo. Potrei dirle qualcosa di blasfemo, tipo che ho le stigmate. Dubito crederebbe.
“Samuel…” cazzo, smettila di ripetere il mio nome con quell’espressione e quel tono di voce. Non riesco a ragionare. Devo andare. Devo andare via.
“Hikari, vieni qui.” Rimetto il guinzaglio alla bimba e mi avvio verso l’uscita del parco. Alzo la mano senza voltarmi indietro, in segno di saluto.
L’ho spaventata, ovvio. Cosa vuoi che faccia adesso? Scapperà via e io non la rivedrò mai più. Meglio così. Un problema e un pensiero in meno. Più mi allontano e più il dolore diminuisce.
“Ho capito Zoe, ho capito.” Ripeto a voce bassa mentre continuo a camminare.
Sono segnato. E sono legato. E ho paura che non sarò mai in grado di strappare questo velo sottile che mi tiene ancorato al passato. Questo velo che mi tiene ancorato a Zoe. Scosto la camicia dal petto e guardo la ferita. E’ gonfia. E’ sporca di sangue. Il mio petto è tutto rosso. La mia camicia è tutta rossa.
Ovviamente, senza fazzoletto, la gente non fa che fissarmi. Corriamo Hikari. Corriamo più veloce che possiamo e torniamocene a casa.
Ho voglia di piangere.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho letto su facebook un tuo post e ho capito che finalmente era pronto il nuovo capitolo! Posso gridare "Evviva sei tornato!!!" ???
Questo capitolo è bellissimo, finalmente torno ad emozionarmi grazie a te. Bacissimi!!!!

sara 88' ha detto...

Oddio oramai ci avevo perso le speranze, ed invece eccoti di nuovo qui.
Ben tornato grande poeta

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...