giovedì 28 maggio 2009

Prologo - L'odore dei silenzi

Risollevarsi. Stringere i denti e andare avanti. Mai lasciare che qualcosa possa sconfiggere il proprio ego. Non permettere a nessun dolore di abbattere i propri sogni, i propri desideri. Fare in modo che la tristezza e la disperazione diventino ciò che fortificherà il proprio animo.
Perchè tutto passa. Il dolore, la tristezza, la disperazione, la desolazione, l'angoscia, la paura, le incertezze.Già, tutto passa e lascia nell'animo cicatrici incancellabili. Marchi di fuoco sul cuore. Catene indistruttibili sui sogni.
Quel che si dice non è quel di cui si ha bisogno, a volte.
Perchè tutto è diverso per ognuno. Perchè ogni emozione non è mai uguale per tutti. Perchè ogni dolore possiede intensità differenti per ogni essere umano.
Dipende tutto da quel che si è puntato su qualcosa, dipende tutto da ciò che si è sognato e dalla forza con cui lo si è fatto. Dipende tutto da ciò che si è vissuto.
Perchè quando le proprie ali finalmente si spiegano, difficilmente torneranno a farlo se vengono tarpate di netto, incatenate alla schiena dall'incertezza e dal dubbio.
Sono piume legate in eterno, sono piume che non si ha il coraggio di accarezzare più.
Piume perdute, piume perdute per sempre.
Perchè se è vero che non c'è nulla che amore non può fare, è altrettanto vero che nessuno può ferire tanto profondamente come coloro che si amano più della propria vita.
Dicono di non piangere, dicono di guardare avanti, dicono di non cedere, dicono di non mollare.
Quel che si dice, a volte, non serve.
Quel che si dice, a volte, fa soltanto più male.
Perchè quel che si dice non può restituire quello che si è perso, non può far tornare indietro, non può cambiare le cose. Ed è solo questo ciò che si vorrebbe, a volte.

E poi ci si trova dinanzi ad una scelta, nel momento in cui non ce lo si aspetta, nel momento in cui tutto perde un senso, nel momento in cui null'altro si vede se non la propria vita spezzata ...ed è un riflesso... e poi vi è un'ombra... un riflesso nello specchio e un'ombra che si staglia alle spalle... silenziosamente, entrambi attendono qualcosa che non riesce a giungere, qualcosa che è inerme dinanzi alla scelta.
Paura, rabbia, impazienza, amarezza, testardaggine, filosofia dell'amore e del sacrificio di questo, idealismo stupido e caparbio, voglia di fare, voglia di pensare, voglia di sentire nuovamente qualcosa, voglia di sentire qualcosa di nuovo.
La catena che lega le mani impedisce di mandare in frantumi lo specchio, la catena che cinge il capo impedisce di voltare lo sguardo.

Due catene.
Due possibilità.
Due facce di una medaglia che l'animo credeva di aver gettato via.
Due scelte tanto simili eppure tanto diverse.
Il riflesso nello specchio, immobile, silenzioso, luminoso e conosciuto, familiare. Odore di passato e presente.
L'ombra sul terreno, immobile, silenziosa, oscura e sconosciuta, misteriosa. Odore di presente e futuro.
Il profumo di quei silenzi attanaglia il cuore e la mente, l'odore di parole non pronunciate inebria i sensi già incapaci di spezzare le catene.
L'odore del silenzio del proprio cuore rende ancora più impossibile la scelta di quale catena spezzare.
Lasciare che l'ombra svanisca al calar della notte e conservar vivo il riflesso nello specchio, o mandare in frantumi quello specchio, lasciando il cuore libero di illuminare quell'ombra?
In ogni caso, qualunque sia la scelta, le conseguenze non sarebbero semplici. Frammenti di quello specchio ferirebbero l'animo più di ogni altra cosa, frammenti di quello specchio si insinuerebbero nell'essere per non abbandonarlo mai più, frammenti di quello specchio lascerebbero cicatrici più visibili e incancellabili più di quelle che il riflesso da solo ha già lasciato sul cuore.
Lasciare che l'ombra si dissolva al calar della notte lascerebbe un vuoto che forse nulla più sarà in grado di riempire, lasciare che l'ombra si dissolva significherebbe non donare a quelle ali tarpate la possibilità di dispiegarsi nuovamente, lasciare che quell'ombra si dissolva sarebbe vincolare il futuro ad un rimorso e ad un dubbio.
Qualunque sia la scelta, l'unica cosa che l'animo percepirebbe sarebbe l'odore dei silenzi, i silenzi lasciati nel cuore dall'ombra o dal riflesso..

venerdì 10 aprile 2009

Pubblicazione temporaneamente sospesa

Interrompo temporaneamente la pubblicazione de "Il passato non narrato".
Sono consapevole di essere un po' in ritardo con questo avviso, dato che l'ultimo capitolo pubblicato risale allo scorso gennaio.
Purtroppo, in questi ultimi mesi, la mia vita ha subito un brusco cambiamento, una tempesta che ha stravolto completamente i miei pensieri e la mia anima.
Conseguenza di questa tempesta, l'impossibilità per me di riuscire a creare dei nuovi capitoli della storia senza che i miei "problemi personali" potessero influenzare la storia e modificarne il senso più profondo.
La storia di Micael merita da parte mia la stessa attenzione profusa per quella di Uriel, ragion per cui, per il momento preferisco evitare di scrivere.
Non so se sarete ancora disposti a leggere la continuazione della storia, un giorno, nè se sarete tanto caparbi da controllare di tanto in tanto se il Nico che conoscete è tornto all'opera.
Se doveste farlo, un giorno non molto lontano potrete assistere alla mia rinascita e con essa la rinascita della storia di Micael.
Se non doveste frlo, vi ringrazio in ogni caso per la pazienza, l'affetto e l'apprezzamento dimostrato al mio lavoro e alle mie storie.
Un abbraccio immenso.
A presto, con il nuovo me stesso.

mercoledì 7 gennaio 2009

L'ottavo frammento - Frammenti di cuore, come spine nell'anima

Non capii subito quello che stava succedendo, non potevo assolutamente immaginarlo. Sentii solo il mio respiro fermarsi, per un attimo che sembrò eterno e il cuore che iniziò a battere all'impazzata, quasi volesse saltare fuori dalla mia bocca. Sentii le mani di Micael che stringevano forte le mie spalle, scuotendo tutto il mio essere, chiamando il mio nome. Spalancai gli occhi, cercando di aprirli più di quanto mi fosse concesso, ma non riuscivo a scacciare dal mio campo visivo quelle immagini. Un caleidoscopico tornado di immagini pervase il mio intero essere, fluendo da chissà dove per colmare ogni anfratto libero del mio cuore.
Tristezza, amore, gioia, dolore, morte, vita, paura, angoscia, libertà, prigionia dell'essere.
Uomini, persone, donne, cose, animali, corpi, essenze, anime.
Dio, angeli, cielo, terra.
Vita. Morte.
Di nuovo vita.

Un eterno secondo in cui tutte quelle sensazioni, trasformate in immagini simili a fotografie sbiadite, mi travolsero. Micael. Non avevo più bisogno di chiedergli chi fosse. Non avevo più nulla da chiedergli. Dopo quel bacio sapevo tutto di lui, letteralmente. Non avevo più la necessità di conoscere il suo passato. Il suo passato, i suoi passati erano in quel momento proprio davanti i miei occhi.
Non ricordo quanto tempo trascorse dal momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie al momento in cui ripresi pienamente coscenza del mio essere. Un secondo,un minuto, un'ora o un giorno. Ricordo solo il suo volto spaventato e pietrificato dinanzi a me, quando le immagini della sua eternità iniziarono a sbiadire da davanti ai miei occhi.
"Sophia... Sophia, cosa c'è?" sentivo la sua voce lontana, quasi provenisse da un sogno.
Portai la mano al viso e mi sfiorai la guancia, poichè sentivo qualcosa di caldo e umido scendere lentamente dai miei occhi. Stavo piangendo. Forse ciò che avevo appena vissuto era troppo per il mio cuore. La verità. La verità di tutte le verità era alla mia portata, proprio vicino a me. Mi scuoteva le spalle, cercando di riportarmi alla realtà.
Nel momento in cui presi pienamente coscenza di me decisi di tacere. Avrei dovuto dirgli quello che avevo visto? E se avessi avuto una lunghissima e stranissima allucinazione? E se anche ciò che avevo visto era la verità, una volta che glielo avessi detto, nel momento in cui avessi confidato lui di essere a conoscenza del suo segreto lui sarebbe rimasto con me? E se fosse scappato via? No, non potevo permetterlo.
Io amavo quell'uomo, per qualche oscura ragione il mio essere era legato al suo in maniera imprescindibile. Non potevo permettere alla mia anima di perderlo, dopo che finalmente lo aveva trovato.
"Micael..." sussurrai.
"Oh Sophia, grazie al cielo. Cosa ti è successo?" mi chiese. La voce rotta dall'ansia e dalla preoccupazione.
"Non so. Forse una carenza d'ossigeno, o di zuccheri... per un attimo ho perduto conoscenza." mentii, cercando di non dargli modo di capire.
"Sei sicura? Eri come pietrificata e...e il tuo respiro..." la sua voce si faceva più sicura e calma. Questo mi rassicurò.
"Si Micael, davvero. Tutto bene. Adesso inizio a sentire freddo, puoi riaccompagnarmi a casa?" chiesi. Avevo bisogno di metabolizzare l'accaduto, avevo bisogno del mio letto, avevo bisogno di piangere.
"Certo. Vieni, ti faccio strada." disse, prendendo la mia mano. Quel contatto mi sembrò avere un valore diverso dopo ciò che era successo.
La luce della luna cercava di filtrare attraverso la fitta rete di rami che si districava sopra di noi. Ogni tanto un raggio di quella flebile luce illuminava la sua schiena. In quegli attimi fugaci mi sembrò di vederle. Le sue ali.

Micael mi riaccompagnò a casa e mi diede un bacio sulla fronte per augurarmi la buona notte. Ricambiai con un sorriso, stringendo forte la sua mano. Nel chiudere la porta, scrutando l'immagine di quell'uomo che non aveva più misteri per me, mi sembrò di notare nuovamente la colomba bianca appollaiata sullo steccato del recinto di casa. Cercai di non dar peso alla cosa e corsi di volata in camera mia, dove finalmente potei scoppiare in lacrime. Tastando il buio, con il viso sommerso dal pianto, arrivai al letto e lì mi accasciai. Cercai di fare ordine nella mia testa, spostando i pezzi del puzzle che avevo involontariamente e inconsciamente ricevuto da Micael, provando ad incastrarli al meglio. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Non piangevo per paura, non piangevo per i segreti di Micael, non piangevo perchè mi aveva nascosto quelle cose, non piangevo per me. Piangevo per la tristezza con cui erano intrise quelle immagini, per la solitudine che avevo sentito sulla pelle, per l'amarezza di alcune di quelle memorie. Si, memorie. Quelli dovevano essere i suoi ricordi. E se ciò che avevo visto era vero, non dovevo nemmeno chiedermi il motivo per cui avevo potuto vederli.
In un solo istante tutto ciò che conoscevo era cambiato, tutto ciò che credevo di sapere era diverso, nuovo, sorprendente e spaventoso allo stesso tempo, per un misero essere umano quale io ero. Il velo di Maya. Caduto. Un bacio soltanto e il velo che mi nascondeva il mondo e la sua vera essenza era andato in frantumi, sbriciolato dai ricordi di Micael. Cosa mi restava da fare? Cosa avrei dovuto fare, da quel momento in avanti? Forse avrei dovuto chinare il capo e silenziosamente tentare di ricostruire la barriera che divideva me e la vera essenza delle cose. Avrei dovuto raccogliere uno ad uno i frammenti del mio velo distrutto cercando di non dimenticarne nessuno, cercando di non tagliarmi.
Non potevo farlo.
Ero abbastanza forte e caparbia per continuare la mia esistenza con la consapevolezza della realtà.
Asciugai gli occhi e sospirai, fissando la parete della mia stanza. Poi, con naturalezza, parlai al silenzio che mi sovrastava.
"So che ci sei. So che sei qui accanto a me e che non è la prima volta. Non posso vederti, forse non potrò mai farlo. Non conosco neppure il tuo nome, ma vorrei ringraziarti per tutto ciò che fai e che hai fatto per me. Grazie, mio custode." non mi sentii una stupida, mentre dicevo quelle cose. Avevo la certezza che qualcuno mi ascoltasse. Avevo la certezza che il mio guardiano, custode, angelo o qualunque cosa fosse, in quel momento mi stesse ascoltando. Sentii un brivido lungo la schiena. Poi un nome sfiorò il mio cuore, come una piuma che si posa leggera sul manto innevato di una collina.
Arel.
Quella notte mi addormentai subito. Forse per le troppe lacrime versate, forse per la pesantezza della giornata, forse per la grandezza delle cose che avevo scoperto involontariamente; i miei occhi si chiusero e si riaprirono il mattino seguente, gonfi e arrossati. Anche mia madre lo notò, dato il modo in cui mi fissava a tavola durante la colazione, ma ovviamente non mi chiese nulla; si limitò a scuotere la testa con disapprovazione e continuò a bere il suo caffèlatte senza preoccuparsi minimamente di me e del motivo per cui i miei occhi erano in quello stato.
Ben altra fu la reazione di mio padre alla vista del mio viso.
"Sophia, tesoro, cos'hai? Cosa ti è successo?"
"Nulla papà, non preoccuparti. Ho solo dormito poco, tutto qui." risposi, continuando a fissare il capo chino di mia madre.
"A me quelli sembrano gli occhi di una ragazza che ha passato tutta la notte a piangere, anzichè dormire." incalzò.
"Davvero papà, non è nulla. Ero solo un po' triste quando sono andata a dormire. Tutto qui." gli sorrisi.
Nel guardare il suo viso preoccupato e impaziente di conoscere le motivazioni che mi avevano resa triste, iniziai a pensare a lui e a mia madre. E ai loro rispettivi guardiani. Che aspetto potevano avere? Che tipo di esseri proteggevano l'anima dei miei genitori? Sicuramente il guardiano di mio padre doveva essere dolce, gentile, affabile e generoso. Quello di mia madre con tutta probabilità era identico a lei: scontroso, gelido e incapace di comunicare con gli altri.
"No, i guardiani non sono lo specchio di coloro che proteggono... deve essersi rassegnato anche lui" bisbigliai con la tazza del caffè vicino le labbra. Mio padre mi sentì, ma fece finta di non averlo fatto. Con tutta probabilità aveva capito che mi riferivo a mia madre e preferì non commentare.
Terminata la colazione mi alzai e mi recai all'ingresso. Quella mattina sarei tornata nella radura a dipingere; era la mia cura contro la tristezza.
Mio padre mi seguì silenziosamente e mi prese la mano sinistra che stava per aprire la porta.
"Sophia, cosa ti è successo?" chise di nuovo.
"Nulla papà, credimi." gli sorrisi di nuovo. Da bambina mi diceva sempre che il mio sorriso era il rimedio migliore alla tristezza e al dolore del mondo. Inconsciamente assunsi un certo senso di responsabilità nei confronti di quell'affermazione affettuosa e da allora ogni volta che mio padre era triste, imbronciato, dispiaciuto, prontamente sul mio viso scattava un sorriso. "adesso vado a dipingere nella radura. Sarò di ritorno prima di pranzo."
"Se avessi litigato con tua madre me lo diresti, vero?" inarcò le sopracciglia e avvicinò il suo viso al mio.
Non risposi. Lo baciai sulla fronte e gli sorrisi di nuovo.
"Ci vediamo dopo, tesoro." mi urlò dal pianerottolo mentre mi avviavo a passi svelti verso la bicicletta. Quella mattina ero certa che avrei rivisto Micael.
Non sapevo come avrei reagito vedendolo, non ero sicura di fingere abbastanza bene, ma avevo la piena certezza che volevo vederlo a tutti i costi. E se lui era davvero ciò che avevo avuto modo di vedere, il mio desiderio sarebbe stato accontentato.
"Arcangelo... da non credersi..." sussurrai, prima di iniziare a pedalare a tutta forza in direzione della radura.

lunedì 5 gennaio 2009

Il settimo frammento - Aria

Più ci addentravamo nel boschetto di aceri, più sentivo il mio cuore battere all'impazzata. Lui non proferiva parola, camminava silenziosamente senza lasciar mai la mia mano neppure per un secondo. La sua stretta era calda, morbida e la sua pelle era liscia come quella di un bambino. Ogni tanto si voltava verso di me elargendo quel dolcissimo sorriso che aveva lo strano potere di rendermi tranquilla e serena.
Mano a mano che ci allontanavamo dalla piazzetta e ci avvicinavamo al centro del boschetto sentivo il vociare della gente diventare più ovattato, come se tutto intorno a noi fosse avvolto dalla bambagia; il venticello serale tra i rami degli alberi e una civetta logorroica prendevano il predominio nell'aria.Fissavo la sua schiena, persa nei miei pensieri su di lui, e notai il suo abbigliamento per la prima volta. Difatti, nei nostri precedenti incontri, non mi ero mai soffermata a osservare gli abiti che indossava, quasi non ci fossero. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta nera che gli aderiva sul torace. Null'altro. Sarebbe stato simile ad un'ombra, se non avesse avuto quel viso meraviglioso e quello sguardo penetrante.D'un tratto si fermò buscamente, senza lasciarmi il tempo di capire; mi ritrovai letteralmente sulla sua schiena col viso."Scusami, non mi ero resa conto che ti eri fermato." dissi gesticolando senza senso, quasi a voler giustificare un gesto imbarazzante."Non devi scusarti, Sophia. E' colpa mia, mi sono fermato troppo bruscamente." sorrise. Mi tranquillizzai subito.Mi guardai intorno e finalmente mi accorsi di quale meraviglioso spettacolo poteva essere il boschetto di aceri a quell'ora di sera.Riportai il mio sguardo su Micael e lo vidi immobile, con gli occhi chiusi; aveva le braccia allargate a mezz'aria e inspirava a pieni polmoni. Era una scena bellissima che aveva un quacosa di misterioso e magico. Guardando più attentamente notai intorno a lui una leggera sfocatura dell'immagine, quasi come se stessi guardando attraverso il fuoco."Respira, Sophia. Assapora con tutto il tuo essere." mi disse, senza aprire gli occhi.Continuavo a fissarlo, stupita dei suoi gesti e delle sue parole. Cos'era che avrei dovuto assaporare? Non mi azzardai a chiedergli però spiegazioni, non avrei mai voluto rovinargli quel momento che sembrava tanto importante.Povai a fare ciò che mi aveva detto e chiusi gli occhi a mia volta, allargando le braccia come se avessi voluto stringere a me una sequoia gigante. Dopo aver fatto piccoli respiri per preparare i miei polmoni all'abbuffata successiva, inspirai il più profondamente possibile.Nulla.Espirai il più possibile, cercando di non lasciare tracce d'aria nel mio corpo, ed inspirai di nuovo.Spalancai gli occhi per la meraviglia. Micael mi guardava, sorridendomi soddisfatto."Allora, Sophia, cosa senti?" chiese curioso, anche se sapevo perfettamente che era già a conoscenza della risposta che gli avrei dato."Aria... per la prima volta in vita mia riesco a sentirla davvero." risposi."E dimmi, Sophia, com'è?" chiese.Non riuscivo a trovare le parole per descrivere ciò che sentivo, era una cosa completamente nuova, completamente sconosciuta. Ed era assurdo, era davvero una cosa assurda. Come poteva essere possibile? In fondo, in quel boschetto ci ero stata svariate volte e non avevo mai provato quello che stavo vivendo in quel momento."Non so spiegarmelo... non riesco a capire. Non mi ero mi resa conto di quanto l'aria potesse essere... vitale." chiusi gli occhi e inspirai di nuovo, più profondamente di poco prima. "E' come se fosse viva, dentro di me. Pervade ogni angolo del mio corpo, quasi non passasse dai polmoni. E? bellissimo." quella sensazione era meravigliosa.
"E ti piace, Sophia?" mi guardava con compiacimento e soddisfazione, quasi mi avesse spalancato le porte per un nuovo mondo a me fino ad allora sconosciuto.
"Si" risposi, senza aggiungere altro. Continuavo a fissarlo negli occhi, perdendomi dentro di loro, cullata da quell'aria così magica che prima di allora non avevo mai respirato.
Lui sedette a terra e iniziò ad accarezzare il suolo, dolcemente, come se volesse trasmettergli una quantità immensa di amore. Lentamente, continuando a respirare profondamente, mi avvicinai a lui e indicai il suolo accanto a lui. Mi sorrise, acconsentendo alla mia muta richiesta. Trattenni il vestito e mi accomodai accanto a lui, silenziosamente,senza mai staccare gli occhi dal suo viso.
I rumori della notte erano un dolcissimo sottofondo musicale, per quel momento. Il vento, leggero, parlava agli alberi soffiando tra i loro rami.
"Allora, Sophia, cosa vuoi sapere?" mi chiese d'un tratto, prendendomi alla sprovvista.
"Come fai a sapere che ho delle domande da porti?" risposi, cercando di prendere tempo.
"Chiunque ne avrebbe, Sophia. Quello che sta succedendo tra noi è strano, inaspettato anche per me, quindi presumo che chiunque al tuo posto avrebbe domande da porre allo sconosciuto di cui si è innamorata." sorrise. Mi sciolsi, letteralmente.
"E tu, Micael? Non hai domande da pormi?"
"Quello che conosco mi basta." rispose, secco ma dolce.
"Allora basta anche a me."
"No, non ti basta. O almeno, non basterà a coloro che ti porranno delle domande su di me nell'immediato futuro. Quindi, chiedi pure. Risponderò a tutto ciò che mi chiederai."
In effetti, quello che mi diceva aveva un senso. Anche quella stessa sera non ero riuscita a rispondere alle domande di Marie, che figura avrei fatto agli occhi di mio padre se fosse stato lui a pormi delle domande su Micael.
Ovviamente non mi preoccupavo di mia madre, lei non mi avrebbe mai fatto delle domande su di lui, per nessuna ragione al mondo si sarebbe interessata alla mia vita sentimentale.
"Bene, mi hai convinta. Allora, vediamo... dove vivi?"
Mi guardò sospettosamente, prima di rispondere. "Diciamo che mi sposto molto, non amo fermarmi a lungo nello stesso luogo."
"Vuoi dire che un giorno o l'altro potresti andar via anche da qui?" chiesi timorosamente.
"Voglio dire che, come già ti ho detto tempo fa, io sono ovunque. Non ho bisogno di un luogo preciso in cui stare."
"Stai eludendo la mia domanda, Micael."
"In che senso?""Scusa, ma una casa dovrai pure averla, no?" incalzai.
"Per il momento vivo da Gabriel. In futuro, chissà."
"E dove vive Gabriel?" continuai.
"Fuori paese. Ha una piccola villetta vicino al fiume." rispose convinto.
La risposta fu sufficiente per poter passare alla domanda successiva, ma non ci fu bisogno di chiedere nulla, poichè fu lui stesso ad un tratto ad iniziare a parlare.
"Se la prossima domanda è relativa al mio lavoro, diciamo che aiuto gli altri."
"Sei un medico?" in che altro senso poteva aiutrare gli altri, se non curando le persone.
"Non curo mali fisici." disse. Alzò una mano e indicò prima il mio cuore e poi la mia fronte. "Io dono sollievo qui e qui."
Era vero. Quello che diceva era vero. Lo aveva fatto anche con me, quella mattina in piazza. Inoltre, ogni volta che ero con lui mi sentivo bene, serena, tranquilla, come se nulla al mondo potesse scalfire la mia persona.
"Come mai sei interessato a me?" chiesi, prendendolo visibilmente alla sprovvista.
"PErchè mi poni questa domanda?"
"Perchè non riesco a credere che uno come te possa essere interessato a me. Tutto qui."
"Sophia, io non sono interessato a te. Io sono innamorato di te." inspirò profondamente. "Sai, io non ho mai avuto modo di innamorarmi di nessuno. A dir la verità, non ho mai potuto permettere al mio cuore di battere per una sola persona. Eppure..."
"Eppure?" chiesi ansiosa di conoscere il resto della risposta. Lui si alzò in piedi e si avvicinò ad un albero poco distante, alzando lo sguardo verso il cielo attraverso i rami.
"Eppure tu mi hai rapito. Forse non dovrei dirtelo, anzi sicuramente non dovrei farlo, ma... ti ho osservata a lungo, prima di presentarmi a te quel giorno nella radura. La prima volta che ti vidi eri assorta nei tuoi pensieri, mentre passeggiavi in paese. Mi colpì il modo in cui, pur essendo completamente persa nel tuo modo, sorridevi ai passanti, accarezzavi gli animali, osservavi la natura che ti circondava. Non avrei mai voluto seguirti, ma inconsapevolmente mi ritrovai a passeggiare silenziosamente dietro di te. Poi, d'un tratto, una voce nella mia mente ha esclamato - è lei - e da allora non ho fatto altro che osservare ogni tuo giorno con discrezione. Non avrei mai dovuto permettermi di rivolgerti la parola, quel giorno, ma ormai non si torna indietro." sospirò.
Il suo racconto mi aveva rapita completamente, mentre parlava, mentre descriveva quelle immagini, vedevo il suo racconto scorrere davanti ai miei occhi come delle fotografie.
"Sei arrabbiata, Sophia?" chiese preoccupato. Era affascinante il modo in cui le sue emozioni dipingessero con chiarezza il suo volto. Era come se per lui fosse impossibile mascherare i propri sentimenti.
"No, nella maniera più assoluta. Solo che continuo a non capire cosa di me ti possa interessare."
"Mettiamola così, Sophia. E' il destino. A quello nessuno può sfuggire, non credi?" sorrise. E di nuovo, mi sciolsi.
"Va bene, mettiamola così." risposi, anche se qualcosa in quel momento mi disse che la risposta mi era stata sottratta con una dolcissima forza.
Lui si riavvicinò a me e riprese il suo posto a terra, delicatamente. Altrettanto delicatamente chinò il capo di lato e lo avvicinò alla mia spalla. Sollevando gli occhi mi chiese il permesso di poter poggiare su di essa la testa e sorridendo acconsentii.
Da quella distanza sentivo chiaramente il suo respiro. Lento. Regolare. Sembrava un canto silenzioso dal quale mi lasciai cullare, chiudendo gli occhi.
"E' la prima volta, dacchè ho memoria, che provo sensazioni così forti Sophia." sussurrò.
"E ti spaventa?" chiesi, diretta.
"No. Non mi spaventa. Ma so che non dovrei lasciare che queste prendano possesso di me." il modo in cui pronunciò quelle parole mi mise in guardia.
"Perchè?"
"Questo, purtroppo, non posso dirtelo." tacqui. Se non poteva farlo, non volevo metterlo in condizione di doverlo fare. Quindi decisi di fingere che l'ultima parte della nostra conversazione non avesse mai avuto luogo. Non volevo che dei segreti rovinassero la storia che stava per nascere, ma non volevo metterlo in difficoltà. Qundi fingere era un compromesso decisamente conveniente. Ma lui continuò.
"A volte, il destino, gioca brutti scherzi. Non credi?" perchè continuava a fare il misterioso? A quel punto pensai che volesse essere spronato a parlare, ma decisi di mantenere la linea che mi ero prefissata di seguire, quindi non risposi. Ancora con gli occhi chiusi, sentii la sua testa che si sollevava dalla mia spalla. Mi voltai e vidi che mi stava osservando.
Una forza invisibile mi spinse a fare ciò che mai mi sarei aspettata da me stessa.
Sollevai la mano destra e gli accarezzai il viso, morbido, liscio, caldissimo. Avvicinai il mio viso al suo, lentamente, temendo una sua reazione. Inumidii le mie labbra con la lingua e poi le socchiusi, pronta ad accogliere le sue sul mio viso. Chiusi gli occhi e feci l'ultimo passo, portando la mano dietro la sua nuca e spingendolo dolcemente verso di me. Lui lasciò che lo facessi. Sentii il suo respiro sul mio viso. Sentii la sua mano che prese posto dietro la mia nuca, scostando i capelli. Sentii l'aria intorno a noi che si levò forte, d'un tratto, tramutandosi in una raffica di vento. Sentii le sue labbra che sfioravano le mie, con dolcezza. Sentii il suo bacio che iniziò a pervadere il mio corpo, come una scarica elettrica.
E vidi.

mercoledì 31 dicembre 2008

Auguri di un felicissimo 2009

Chiedo umilmente scusa a tutti coloro che sono in attesa di un nuovo frammento della storia di Micael e Sophia.
Purtroppo, il mese di dicembre è stato per me carico di impegni improrogabili a cui ho dovuto necessariamente dare la priorità.
Dal mese di gennai, dopo le festività, a cadenza settimanale posterò un nuovo frammento della storia con regolarità.
Approfitto inoltre, tramite questo post, per augurare a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto un felicissimo 2009.
Nico

lunedì 1 dicembre 2008

Il sesto frammento - Un cuore privo di qualsiasi barriera

Quella sera, dopo cena, mi recai subito nella mia stanza per poter metabolizzare al meglio ciò che era accaduto qualche ora prima davanti l'ingresso di casa mia. Ovviamente, come mi aspettavo, mia madre non fece nessuna piega quando ripiegai il tovagliolo sul tavolo e mi alzai augurando loro la buonanotte. Mio padre, al contrario, mi fece un cenno con il capo per ricambiare e mi sorrise dolcemente. Da brava figlia, avrei dovuto aiutare mia madre a rassettare la sala e la cucina, ma ero consapevole che mi avrebbe solo fatta sentire d'intralcio, quindi non le proposi nemmeno il mio aiuto.
Una volta il camera, mi apprestai ad uscire sul balcone per assaporare l'aria fresca della notte e lo splendore della luna piena; quella sfera dalla luce tenue facilitava il flusso dei miei pensieri come nient'altro riusciva a fare. Mi appoggiai con i gomiti sulla ringhiera in ferro e posai il capo tra le braccia, lasciando che i miei capelli fossero liberi di agitarsi al leggero venticello che si era alzato.
Il mio cuore, dacchè ero rientrata in casa, non aveva rallentato affatto il suo battito, anzi, più ripensavo alle sue parole, al suo sguardo profondo e intenso, alla sua pelle d'alabastro, ai suoi capelli e alle sue sottilissime labbra rosse più il ritmo aumentava. Ad un certo punto dovetti accasciarmi a terra, con le spalle contro la ringhiera e cercare di controllare il respiro, per potermi riprendere un minimo. Quel tanto che bastava per non svenire.
Possibile che quell'uomo mi facesse quell'effetto tanto singolare? Bello era bello, anche se il termine bello nel suo caso era estremamente riduttivo; aveva qualcosa di angelico, con quei lineamenti delicati, quella voce profonda e suadente, quella strana aura di quiete che gli aleggiava intorno. Ma non ero mai stata una ragazza così superficiale da basare tutto sull'aspetto esteriore, avevo sempre preferito approfondire la conoscenza con le persone, prima di potermi ritenere interessata.
Innamorata poi, proprio mai.
Innamorata. Quella parola mi sconvolgeva, anche perchè non mi ero mai, e dico mai, innamorata di qualcuno pur avendo io a quell'epoca già vent'anni.
Trascorsero diversi minuti prima che l'aria iniziasse a raffreddare il mio essere e quando ciò accadde non potei fare altro che levare lo sguardo al cielo per salutare la luna e rientrare nella mia calda e accogliente stanza.
Quella notte, fortunatamente, riuscii a dormire tranquillamente; non lo sognai. Ma pensai a lui ininterrottamente, anche mentre ero sopita. Ne ero certa.

Ogni anno, nel mio piccolo paese natale, si festeggiava l'arrivo della primavera. Quell'anno la festa era in ritardo, dato che la stagione dei fiori era arrivata con largo anticipo. Nella piazza della chiesa, vero centro nevralgico della vita paesana, venivano allestite bancarelle di ogni genere; dagli alimenti alle cianfrusaglie, dai gioielli ai giocattoli per bambini. Banchetti, a ridosso di camioncini, pieni di arachidi e nocciole tostate riempivano l'aria di un profumo che ben poco aveva a che fare con la primavera. Avevo sempre legato quei profumi all'inverno, profumi caldi e suadenti che intiepidiscono il cuore nelle fredde giornate di pioggia e neve. Eppure, anche quell'anno i camioncini erano lì, a ricordare a tutti che la festa della primavera aveva avuto inizio.Ricordo ancora che fin da bambina i miei genitori mi permettevano di andare, senza di loro, fino alla piazzetta per comperare bustoni interi di caramelle e mais tostato. Mio padre non amava molto i posti affollati e mia madre non mi avrebbe accompagnata per nessuna ragione al mondo, ma fortunatamente non mi avevano mai precluso la possibilità di gioire dei festeggiamenti.

La mia più cara amica di quel periodo, Marie, quella sera mi aspettava al solito posto per recarci insieme a fare un giro tra le bancarelle e chiaccherare in tutta tranquillità, magari sgranocchiando qualche snack o dello zucchero filato, che io adoravo. Il solito posto era il negozio del signor Pablo, quella sera aperto fino a tardi come tutte le altre attività presenti intorno la piazza.Quando la vidi mi sbracciai per farle notare la mia presenza tra la folla; mi sorrise e ricambiò iniziando a sbracciarsi a sua volta. Mi corse incontro e si gettò addosso a me, in cerca di un abbraccio.

"Scusa il ritardo, Marie, non mi ero resa conto dell'orario."

"Figurati, sono arrivata da pochissimo. Allora, cosa facciamo?" mi chiese, ansiosa di iniziare a girovagare tra le bancarelle.

"Beh, direi che la prima tappa obbligata è quella dello zucchero filato." risposi senza pensarci troppo.

"Hai vent'anni, non puoi più mangiare lo zucchero filato." rise lei.

"Ma taci, sei la prima a non veder l'ora di mangiarlo." la rimproverai scherzosamente.
"Si, è vero. Andiamo allora." disse, prendendomi la mano e trascinandomi al centro della muraglia umana che si era creata tra le bancarelle. Mi stupivo ogni anno di quanta gente era in grado di attrarre quella festa. Zucchero filato tra le mani, ci sedemmo su un muretto lontane dalla folla per poter chiaccherare senza dover urlare per poterci sentire.

"Allora, cos'hai Sophia?" mi chiese, strappando un bel pezzo di cotone zuccheroso dal bastoncino.
"Io, nulla, perchè?" risposi. Sapevo a cosa si riferiva, ma potevo anche sbagliarmi quindi attesi che la sua domanda fosse più esplicita.
"Allora, vediamo... non fai che sorridere, sei tutta mielosa, gli occhi a cuoricino e sei vestita come una bambolina di porcellana... c'è qualcuno di speciale che speri di incontrare, stasera?"
Mi resi conto di quanto la sua descrizione calzasse a pennello solo guardandomi riflessa in una vetrina accanto a noi.
"In realtà, si." fu la mia risposta, a cui seguì un suo spropositato urlo di gioia.
"Dimmi, dimmi... chi è? Lo conosco? E' carino? Quanti anni ha?" iniziò a tampinarmi di domande a raffica.
"Oddio, non so se lo conosci... io per prima non lo avevo mai visto qui intorno. Non è carino, è bellissimo... e onestamente non so quanti anni possa avere, non glielo ho ancora chiesto. PErò ne dimostra una trentina, non di più." dissi.
"Il nome, il nome. Voglio sapere il nome!" incalzò lei.
"Micael, si chiama Micael."
"Che bel nome." fu la sua risposta.
"Ha anche un tatuaggio, proprio qui, sulla mano. E lo mostra in tutta tranquillità. E' una piuma, bianca e argentata, ed è davvero bella." mentre parlavo, mi resi conto che l'immagine di Micael era impressa nei miei occhi come poche altre cose al mondo.
Continuò per tutta la sera a farmi domande su di lui, fino a che non mi resi conto di non essere in grado di rispondere a tutte. Da dove veniva? Qual'era il suo cognome? Dove viveva? Qual'era il suo lavoro?
Mi ero innamorata di un uomo di cui conoscevo solo il nome e l'aspetto. E il modo in cui era capace di farmi sentire in sua presenza; quando ero con lui mi sentivo serena, la tranquillità e la pacatezza entravano nelle fibre del mio corpo per prenderne pieno possesso. Ma allo stesso tempo mi sentivo indifesa, privata di qualsiasi barriera che potesse proteggere il mio cuore dalle intrusioni esterne.
"Ehi, Sopia. Ci sei?" mi chiese Marie, ridestandomi dal torpore in cui i miei pensieri mi avevano trascinata.
"Si, scusa. Pensavo." risposi, addentando lo zucchero filato.
"Beh, allora il tuo pensiero è una buona calamita."
"In che senso?" non capivo cosa stesse dicendo.
"Beh, ci sono due tizi dall'altro lato della strada che ci stanno fissando. E non so perchè, ma credo che uno dei due sia il tuo Micael." nel momento stesso in cui pronunciò il suo nome il mio cuore iniziò a palpitare senza sosta, consapevole che da lì a poco lo avrei rivisto. Cercai di voltarmi il più lentamente possibile, sperando che lui non si accorgesse che sapevo della sua presenza. Era davvero lui. E avanzava lentamente verso di noi, facendo slalom tra la folla con grazia ed eleganza.
Con lui c'era un altro uomo, altrettanto elegante e aggraziato. E altrettanto bello. Si somigliavano molto, pur essendo completamente diversi; non sapevo spiegarmi perchè, ma vendendoli camminare l'uno accanto all'altro mi sembravano la stessa persona. Appena mi sorrise, smisi di pensare all'uomo in sua compagnia.
"Buonasera, signorine." disse, rivolgendo un sorriso anche a Marie.
Lei si limitò a sorridere a sua volta, io non riuscii a fare neppure quello. Ero come impietrita.
"Sophia, lui è un mio caro amico. Si chiama Gabriel." mi disse dolcemente. Il modo in cui pronunciò quel nome mi sciolse letteralmente il cuore. Non aveva detto un semplice nome, aveva lasciato che la sua voce diventasse melodia mentre lo faceva.
"Piacere Gabriel. Sono Sophia. E lei è Marie, la mia migliore amica."
"Incantato, signorine. Micael aveva ragione. Sei un fiore raro, Sophia." la voce di Gabriel era come quella di Micael. Armoniosa, melodiosa, dolce, calda, suadente, profonda. E i suoi modi erano altrettanto garbati e gentili. L'unica differenza che riuscivo a notare tra i due, in quel momento, era la maggiore forza che Micael metteva in tutto ciò che faceva. I suoi movimenti, le sue parole, anche il suo respiro. Tutto in Micael era armonizzato da una certa forza. Una forza che aveva su di me uno stranissimo ascendente.
"Cosa ci fai qui, Micael?" chiesi, per spezzare lo strano silenzio che si era venuto a creare dopo l'affermazione di Gabriel.
"Io sono sempre e ovunque... non ho bisogno di essere qui o essere lì. Sono dove è necessario che io sia." rispose serio. Gabriel lo fissò con aria di rimprovero, mentre io e Marie non potemmo fare altro che ridere alla sua frase.
"Che risposta d'effetto, Micael." dissi sorridendogli. "Davvero, cosa ci fate qui?"
Fu Gabriel a rispondermi, Micael rimase immobile a fissarmi e a sorridere.
"Quello che fate voi, giovane nuova amica. Lasciamo che le preoccupazioni e le ansie quotidiane vengano cancellate dall'aria di festa e gioia che si respira qui." i suoi occhi erano magnetici, proprio come quelli di Micael. La loro somiglianza era sbalorditiva, tanto che non potei fare a meno di chieder loro che legame avessero.
"Micael, perdona la mia domanda forse troppo personale, ma voi due siete in qualche modo parenti?" chiesi, cercando di non invadere troppo la sua intimità.
Lui mi rispose con la solita dolcezza che utilizzava quando si rivolgeva a me e la cosa mi piaque come sempre.
"Più o meno, Sophia. Possiamo dire di si." Gabriel annuì a sua volta, sempre sorridendo.
Marie, ad un tratto, si alzò in piedi e si scusò dicendo che doveva tornare a casa; capii che lo faceva per lasciarmi sola con lui. La ringraziai con uno sguardo ed un sorriso mentre Gabriel si offrì di riaccompagnarla a casa, cosa che lei accettò di buon grado. Era impossibile non fidarsi di persone come loro, ma soprattutto era impossibile per chiunque contraddirle o negare il loro aiuto. Era come se possedessero entrambi uno strano e affascinante potere di persuasione.
"buon proseguimento di serata, Sophia. E' stato un piacere, per me, conoscerti. Spero ci sarà una nuova occasione per incontrarti" disse. I suoi modi erano talmente garbati da sembrare irreali. Nessuno si era mai rivolto a me in quel modo, a parte Micael.
"E' stato un piacere anche per me, Gabriel. Davvero." i miei modi, in confronto, sembravano terribilmente cafoni.
In un batter d'occhio, mi ritrovai da sola con lui.
"Hai voglia di fare una passeggiata, Sophia?" mi chiese senza distogliere il suo sguardo dal mio neppure per un istante.
Annuii, sorridendo. Lui per tutta risposta avvicinò la mano alla mia, con dolcezza, e ne accarezzò il dorso con la punta delle dita, quasi a testare la mia reazione al gesto che avrebbe fatto da lì a poco. Quando si sentì sicuro la strinse forte alla sua e mi fece strada tra la folla. Lasciavo che mi facesse strada, seguendo ad occhi chiusi la scia profumata che lasciava dietro di se inebriandomi di essa. Prima che potessi rendermene conto eravamo dall'altro lato della piazza, in direzione del boschetto di aceri che costeggiava il paese.
Ero felice. Quella sera ero più felice che mai.
Ma non potevo immaginare, in quel momento, che da lì a poco avrei avuto delle sorprese che avrebbero cambiato per sempre il mio modo di vedere le cose, il mio modo di vivere la vita.
Il mio modo di amare.

venerdì 28 novembre 2008

Il quinto frammento - Sguardi che angosciano e il desiderio dell'incontro

Quando tornai a casa, quella mattina, mia madre non mi rivolse la parola neppure una volta, come se il mio stato d'animo non la sfiorasse minimamente. Mio padre, invece, non fece che fissarmi tutto il tempo, con sguardo carico di tristezza mista a compassione. Sapevo che mi capiva, ma sapevo anche che lui non poteva fare assolutamente nulla per cambiare la situazione. Amava mia madre, ma ciò che sapevo con certezza assoluta era che oltre ad amarla ne era succube e dipendente. Non potevo biasimarlo. Non potevo avercela con lui. Non conoscevo approfonditamente ciò che avevano vissuto entrambi in passato e non pretendevo di capire le motivazioni che li avevano spinti ad essere ciò che erano.

Era la mia famiglia, dovevo accettarla così com'era. Ma prima o poi, mi ripetevo in continuazione, avrei affrontato mia madre a viso duro e le avrei detto tutto ciò che pensavo. Ma quello non era ancora il momento giusto, non ero ancora abbastanza forte e matura da poterlo fare.

I giorni trascorsero velocemente, dal mio incontro con Micael nella piazza del paese,e nella mia mente continuavano a riaffiorare le immagini di quella mattina. La sua elegante camminata tra i piccioni che non si scomodarono a volare via al suo passaggio, le sue dita che raccoglievano quella lacrima rimasta sul mio viso, i suoi profondissimi occhi che mi fissavano, la colomba bianca appollaiata sul rosone della chiesa che ci fissava impietrita.
C'era qualcosa in Micael che mi turbava al punto da togliermi il sonno, qualcosa che non riuscivo a spiegare in alcun modo. La cosa che però mi assillava più di tutte era il modo in cui era riuscito ad estrapolare dalla mia anima i pensieri più tristi e intimi su mia madre, con estrema semplicità. Nessuno prima di allora aveva saputo ascoltare le mie parole in quel modo tanto interessato quanto distaccato. Era come se il suo interessamento per me fosse spinto più dalla curiosità che da altro. Tra tutti i miei amici, per quanto pochi fossero, nessuno era mai stato in grado di mettermi nelle condizioni tali da aprire completamente il mio cuore; probabilmente questo era dovuto anche alla mia grande timidezza e riservatezza, ma il punto della questione non era affatto quello.

Un pomeriggio più tardi, mi recai al centro del paese a fare acquisti per la mia passione; mi ero accorta di avere terminato alcni colori, quali il blu e il rosso, essenziali per poter creare il mio colore preferito. Nessuno dei quadri che dipingevo poteva dirsi terminato se almeno un piccolo dettaglio non fosse stato colorato di viola.
Tutti i negozi più forniti si trovavano intorno alla piccola piazza antestante la chiesetta, essendo quello il luogo del paese più frequentato in assoluto; tra loro vi era anche il negozietto di belle arti del signor Pablo, un simpatico omino fuggito dalla Spagna e istallatosi definitivamente presso di noi. Per una donna, mi disse una volta, aveva lasciato la Spagna, ma non capii mai se da quella donna fuggiva o se la aveva seguita fin dove si trovava ora. Avrei sempre voluto chiederglielo, ma non ero una persona talmente tanto sfacciata da poterlo fare. In fondo, lui era soltanto l'omino spagnolo che mi vendeva i colori e i pennelli.
La piazza era gremita, come sempre, di bambini che urlavano e si rincorrevano mentre le loro madri passavano il tempo tra una drogheria e un pettegolezzo. Prima di entrare nel negozio, mentre mi accingevo ad aprire la porta d'entrata, qualcosa mi spinse a voltarmi verso la chiesa e istintivamente alzai gli occhi verso il rosone. La vidi. Quella colomba bianca era lì, come quella mattina, e mi stava fissando. La cosa iniziò ad incutermi un certo timore e presa da questo entrai velocemente nel negozio, continuando a guardarmi indietro come per accertarmi che lo strano, candido uccello non mi seguisse.
"Buongiorno Sophia" esclamò il signor Pablo.
"Oh, buongiorno a lei... scusi la foga con cui sono entrata." risposi. Effettivamente ero entrata nel negozio con la grazia di un elefante.
"Non devi scusarti. Dimmi, cosa ti porta qui oggi?" chiese gentilmente.
"Io... avevo bisogno di alcune cose." balbettai. Non era l'imbarazzo a impedirmi di parlare ma l'ansia che quella dannata colomba mi stava mettendo addosso.
"Vediamo... cosa ti serve? aspetta aspetta, provo ad indovinare. Hai bisogno del ciano e del rosso carminio, vero?" domandò sogghignando.
"Sono così prevedibile?" risposi sorridendo cortesemente.
"No, assolutmente. Sono io che posso leggere nel pensiero!" rispose ridendo, mentre si recava nel retrobottega a prendere ciò che volevo.
In attesa del suo ritorno, mi avvicinai alla vetrina del negozio e buttai lo sguardo al rosone, per controllare. La colomba era sparita e la cosa mi rassicurò non poco.
Non era l'uccello in sè ad angosciarmi ma il modo in cui mi fissava. Quei suoi piccoli occhi immobili e fissi su di me. In fondo ero perfettamente in grado di capire che un uccello non avrebbe mai potuto farmi del male.
Poco dopo, il signor Pablo tornò con i miei colori e un pennello, che io non gi avevo chiesto.
"Questo è un piccolo omaggio per te, Sophia. Sentirai che piacere srà utilizzarlo. Le sue setole sono morbidissime ma tenaci." Mi piaceva ascoltarlo parlare. Non aveva perduto affatto il suo accento spagnolo, e adoravo quella cadenza.
"La ringrazio, signor Pablo. E' dvvero molto gentile." ringraziai con gentilezza e riconoscenza per il dono che mi aveva fatto e dopo aver pagato mi apprestai ad uscire per tornare a casa.
Una volta fuori dal negozio mi incamminai con passo lento, con il mio sacchetto tra le mani. Giravo il mio sguardo continuamente, prima a destra poi a sinistra; non stavo controllando però se a colomba fosse ancora lì a fissarmi. No, il mio pensiero in quel momento era diventato un altro. Speravo di vederlo. Pregavo di incontrarlo di nuovo. Non ne conoscevo il motivo, sapevo solo che provavo un irrefrenabile desiderio di parlare ancora un po' con lui. Micael. Il suo nome era diventato il sottofondo musicale della mia anima e la cosa non mi dispiaceva. Tutt'altro.
Oramai ero quasi arrivata a casa e di lui, neanche l'ombra. Purtroppo capii che dovevo rassegnarmi all'idea di non incontrarlo.
Quando stavo per accingermi ad infilare la chiave di casa nella serratura una folata di vento fortissimo mi scompose i capelli e i vestiti. Non sapevo perchè, ma sentii di dovermi voltare. Non lo feci subito, però. Attesi quel tanto che bastava per udire una voce familiare e desiderata alle mie spalle.
"Perdonami se ti ho fatta aspettare, Sophia."
Lui era lì, dietro di me.
Mentre mi voltavo, lasciai che una parte dei miei capelli cadesse davanti al mio viso, quasi per schermare il mio imbarazzo e la mia gioia dal suo sguardo.
"Perchè ti scusi? Non avevamo un appuntamento." risposi.
"Non mi stavi aspettando?" chiese garbatamente, con un piccolo ghigno abbozzato sul volto.
Dopo un attimo di esitazione risposi "si", malcelando tutto l'imbarazzo che stavo provando per quella risposta.
"Non sentirti imbarazzata, Sophia. Anche io desideravo incontrarti di nuovo."
La sua risposta mi riempì il cuore di gioia. Anche lui desiderava incontrarmi, non ero la sola a volerlo.
"Come facevi a sapere... no, nulla, lascia perdere." dissi.
"A cosa stai pensando, Sophia?"
"Beh... ecco... quando sei arrivato, tu hai detto perdonami se ti ho fatta aspettare. Come facevi a sapere che ti stavo aspettando? Come facevi a sapere che speravo di incontrarti?"
Si avvicinò lentamente a me e accarezzò i miei capelli, amorevolmente, delicatamente. Sentii dei brividi fortissimi percorrermi tutta la schiena. Inclinai leggermente la testa, quel tanto che bastava per sfiorare con la guancia la sua mano.
"Importa?" mi chiese, socchidendo gli occhi e abbozzando un sorriso.
"No, non importa." risposi arrendevolmente. In fondo era vero. Cosa importava? Lui era lì, davanti a me, e mi stava accarezzando i capelli. Avrei fermato il tempo se avessi potuto farlo. Sarei rimasta immobile a lasciare che lui mi accarezzasse i capelli in eterno. Un leggero soffio di vento portò al mio naso il suo profumo; aveva l'odore di erba bagnata dalla rugiada. Quel profumo non mi era mai sembrato tanto bello come allora.
"Torni subito dentro o vieni a fare una passeggiata con me?" mi chiese.
Purtroppo il tempo era volato ed oramai era sera inoltrata. Non potevo attardarmi ancora fuori, i miei genitori si sarebbero adirati. Era usanza, in famiglia, cenare tutti insieme e non potevo contravvenire alla regola.
"Credimi, vorrei tanto. Ma non posso farlo. I miei genitori mi aspettano." dissi.
"Va bene. Ci sarà l'occasione per farlo." sorrise. Avvicinò le sue labbra alla mia fronte e vi posò su un bacio delicatissimo. Quel gesto, tipico di mio padre che mi augurava la buonanotte, assunse tutt'altro valore fatto da lui.
Si allontanò di qualche passo, senza darmi le spalle e fece un cenno di resa con le spalle.
"Ciao, Micael." dissi.
Lui attese qualche istante e disse quello che il mio cuore voleva sentirsi dire in quel momento.
"Io sono innamorato, Sophia. Non so come hai fatto, non ne conosco la ragione. Ma sono innamorato di te." il suo sorriso mi parve ancora più grande e bello del solito.
"Lo stesso vale per me, Micael." aggiunsi io. L'imbarazzo mi fece voltare di scatto e infilai la chiave nella serratura. Prima di aprire la porta sentii nuovamente una forte folata di vento, dietro di me. Mi voltai. Lui non c'era più.
Varcai la soglia di casa e socchiusi la porta piano, scrutando il vialetto con attenzione per cercare di scorgere nuovamente la sua immagine. Lui era innamorato di me.
Io mi ero innamorata di lui.
La nostra storia, quella che avrebbe portato entrambi in luoghi sconosciuti e inaspettati, quella sera aveva avuto inizio.



...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...