mercoledì 31 dicembre 2008
Auguri di un felicissimo 2009
Purtroppo, il mese di dicembre è stato per me carico di impegni improrogabili a cui ho dovuto necessariamente dare la priorità.
Dal mese di gennai, dopo le festività, a cadenza settimanale posterò un nuovo frammento della storia con regolarità.
Approfitto inoltre, tramite questo post, per augurare a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto un felicissimo 2009.
Nico
lunedì 1 dicembre 2008
Il sesto frammento - Un cuore privo di qualsiasi barriera
Ogni anno, nel mio piccolo paese natale, si festeggiava l'arrivo della primavera. Quell'anno la festa era in ritardo, dato che la stagione dei fiori era arrivata con largo anticipo. Nella piazza della chiesa, vero centro nevralgico della vita paesana, venivano allestite bancarelle di ogni genere; dagli alimenti alle cianfrusaglie, dai gioielli ai giocattoli per bambini. Banchetti, a ridosso di camioncini, pieni di arachidi e nocciole tostate riempivano l'aria di un profumo che ben poco aveva a che fare con la primavera. Avevo sempre legato quei profumi all'inverno, profumi caldi e suadenti che intiepidiscono il cuore nelle fredde giornate di pioggia e neve. Eppure, anche quell'anno i camioncini erano lì, a ricordare a tutti che la festa della primavera aveva avuto inizio.Ricordo ancora che fin da bambina i miei genitori mi permettevano di andare, senza di loro, fino alla piazzetta per comperare bustoni interi di caramelle e mais tostato. Mio padre non amava molto i posti affollati e mia madre non mi avrebbe accompagnata per nessuna ragione al mondo, ma fortunatamente non mi avevano mai precluso la possibilità di gioire dei festeggiamenti.
La mia più cara amica di quel periodo, Marie, quella sera mi aspettava al solito posto per recarci insieme a fare un giro tra le bancarelle e chiaccherare in tutta tranquillità, magari sgranocchiando qualche snack o dello zucchero filato, che io adoravo. Il solito posto era il negozio del signor Pablo, quella sera aperto fino a tardi come tutte le altre attività presenti intorno la piazza.Quando la vidi mi sbracciai per farle notare la mia presenza tra la folla; mi sorrise e ricambiò iniziando a sbracciarsi a sua volta. Mi corse incontro e si gettò addosso a me, in cerca di un abbraccio.
"Scusa il ritardo, Marie, non mi ero resa conto dell'orario."
"Figurati, sono arrivata da pochissimo. Allora, cosa facciamo?" mi chiese, ansiosa di iniziare a girovagare tra le bancarelle.
"Beh, direi che la prima tappa obbligata è quella dello zucchero filato." risposi senza pensarci troppo.
"Hai vent'anni, non puoi più mangiare lo zucchero filato." rise lei.
"Ma taci, sei la prima a non veder l'ora di mangiarlo." la rimproverai scherzosamente.
"Si, è vero. Andiamo allora." disse, prendendomi la mano e trascinandomi al centro della muraglia umana che si era creata tra le bancarelle. Mi stupivo ogni anno di quanta gente era in grado di attrarre quella festa. Zucchero filato tra le mani, ci sedemmo su un muretto lontane dalla folla per poter chiaccherare senza dover urlare per poterci sentire.
venerdì 28 novembre 2008
Il quinto frammento - Sguardi che angosciano e il desiderio dell'incontro
"Buongiorno Sophia" esclamò il signor Pablo.
"Oh, buongiorno a lei... scusi la foga con cui sono entrata." risposi. Effettivamente ero entrata nel negozio con la grazia di un elefante.
"Non devi scusarti. Dimmi, cosa ti porta qui oggi?" chiese gentilmente.
"Io... avevo bisogno di alcune cose." balbettai. Non era l'imbarazzo a impedirmi di parlare ma l'ansia che quella dannata colomba mi stava mettendo addosso.
"Vediamo... cosa ti serve? aspetta aspetta, provo ad indovinare. Hai bisogno del ciano e del rosso carminio, vero?" domandò sogghignando.
"Sono così prevedibile?" risposi sorridendo cortesemente.
"No, assolutmente. Sono io che posso leggere nel pensiero!" rispose ridendo, mentre si recava nel retrobottega a prendere ciò che volevo.
In attesa del suo ritorno, mi avvicinai alla vetrina del negozio e buttai lo sguardo al rosone, per controllare. La colomba era sparita e la cosa mi rassicurò non poco.
Non era l'uccello in sè ad angosciarmi ma il modo in cui mi fissava. Quei suoi piccoli occhi immobili e fissi su di me. In fondo ero perfettamente in grado di capire che un uccello non avrebbe mai potuto farmi del male.
Poco dopo, il signor Pablo tornò con i miei colori e un pennello, che io non gi avevo chiesto.
"Questo è un piccolo omaggio per te, Sophia. Sentirai che piacere srà utilizzarlo. Le sue setole sono morbidissime ma tenaci." Mi piaceva ascoltarlo parlare. Non aveva perduto affatto il suo accento spagnolo, e adoravo quella cadenza.
"La ringrazio, signor Pablo. E' dvvero molto gentile." ringraziai con gentilezza e riconoscenza per il dono che mi aveva fatto e dopo aver pagato mi apprestai ad uscire per tornare a casa.
Una volta fuori dal negozio mi incamminai con passo lento, con il mio sacchetto tra le mani. Giravo il mio sguardo continuamente, prima a destra poi a sinistra; non stavo controllando però se a colomba fosse ancora lì a fissarmi. No, il mio pensiero in quel momento era diventato un altro. Speravo di vederlo. Pregavo di incontrarlo di nuovo. Non ne conoscevo il motivo, sapevo solo che provavo un irrefrenabile desiderio di parlare ancora un po' con lui. Micael. Il suo nome era diventato il sottofondo musicale della mia anima e la cosa non mi dispiaceva. Tutt'altro.
Oramai ero quasi arrivata a casa e di lui, neanche l'ombra. Purtroppo capii che dovevo rassegnarmi all'idea di non incontrarlo.
Quando stavo per accingermi ad infilare la chiave di casa nella serratura una folata di vento fortissimo mi scompose i capelli e i vestiti. Non sapevo perchè, ma sentii di dovermi voltare. Non lo feci subito, però. Attesi quel tanto che bastava per udire una voce familiare e desiderata alle mie spalle.
"Perdonami se ti ho fatta aspettare, Sophia."
Lui era lì, dietro di me.
Mentre mi voltavo, lasciai che una parte dei miei capelli cadesse davanti al mio viso, quasi per schermare il mio imbarazzo e la mia gioia dal suo sguardo.
"Perchè ti scusi? Non avevamo un appuntamento." risposi.
"Non mi stavi aspettando?" chiese garbatamente, con un piccolo ghigno abbozzato sul volto.
Dopo un attimo di esitazione risposi "si", malcelando tutto l'imbarazzo che stavo provando per quella risposta.
"Non sentirti imbarazzata, Sophia. Anche io desideravo incontrarti di nuovo."
venerdì 21 novembre 2008
Il quarto frammento - Con gli occhi fissi sull'anima
I rintocchi della campana della chiesa spezzarono bruscamente quel momento e la quiete di quei piccioni e quelle colombe che, spaventati, si levarono in volo tutti insieme in un rumorosissimo frullio d'ali. Soltanto una colomba, bianchissima, rimase immobile al centro della piazza, quasi volesse approfittare del momento di solitudine per accaparrarsi più briciole possibile. Ma invece di farlo, iniziò a fissarci con quei suoi piccoli occhietti neri.
Micael fissava me, la colomba fissava entrambi, in un scena che aveva assunto dei connotati quasi comici. Sorrisi.
Però, più passava il tempo, più iniziavo a provare una frustrante sensazione d'angoscia. Entrambi quegli sguardi iniziavano a farsi pesanti, sul mio corpo.
Mi levai in piedi e cercai di dire qualcosa per togliermi da quella stranissima situazione.
"Micael, c'è una colombella che ci stà fissando."
"Lasciala perdere, continua a guardar me." rispose lui, senza accennare nessuna espressione all'infuori di quella che aveva assunto da quando aveva iniziato a guardarmi.
"Ma... mi sento un po' in imbarazzo." dissi. La colomba iniziò a saltellare verso di noi e il suo incedere si faceva sempre più svelto. Micael si voltò è fece cenno di fermarsi con la mano al piccolo uccello bianco.
La colomba si fermò all'istante e lì rimase a fissarlo negli occhi. Sembrava quasi stessero comunicando in qualche modo e vederli entrambi così intenti in quel fare mi affascinava.
Micael si voltò di nuovo verso di me e mi sorrise. La colomba spiegò le ali e si alzò in volo per poi sparire dietro la chiesa.
"Beh, era affascinata dagli esseri umani, direi." dissi scostando i miei occhi dalla morsa dei suoi.
"Diciamo di si." rispose. "Perchè mai distogli lo sguardo, Sophia? Hai paura di me?"
"No, assolutamente. Dovrei averne?" chiesi.
"Non lo so. Io non sono te."
"E tu? Avresti paura di te stesso?"
"A volte si, altre volte no."
"Beh, come tutti gli esseri umani, direi."
"Perchè, Sophia? Tu hai paura di te stessa?" mi chiese dolcemente, con fare quasi infantile. Sembrava un bimbo curioso che pone milioni di domande ai genitori, anche se le domande in questione erano leggermente più serie di quelle di qualcuno che non sa ancora niente della vita. Eppure il modo di porle era identico. Sembrava gli interessasse conoscere qualcosa di cui non possedeva memoria alcuna.
"A volte si, altre volte no" risposi sorridendo. Tornai a sedere sulla panchina dalla quale mi ero alzata e lui mi seguì. Nel sedersi posò la sua mano sulla mia e sentii nuovamente quella fortissima sensazione di benessere che avevo provato la prima volta che mi aveva toccata.
"Perchè a volte hai paura di te stessa, Sophia?" incalzò.
"Più che provare paura per me stessa, la provo per le sensazioni che a volte mi rendo conto di vivere e sentire." le parole iniziarono ad uscire da sole dalla mia bocca, non riuscivo a porvi freno.
"Provi sensazioni sbagliate?" continuò a chiedere.
"Si."
"E quali sono queste sensazioni che non dovresti provare?"
"Odio, rabbia, frustrazione." continuavo a rispondere alle sue domande senza rendermene conto.
"Ma queste sono emozioni umane. E' normale provarle, Sophia."
"Non è normale se l'oggetto di queste è colei che ti ha dato la vita." iniziai a piangere come una bambina. Tutto ciò che avevo accumulato in quelle poche ore del mattino stava fuoriuscendo dal mio corpo, sotto forma di parole e lacrime. E anche se il tutto avveniva senza che io lo volessi non riuscivo a meravigliarmene.
"Tu non ne hai colpa, Sophia. La tua è una reazione e come tale non è possibile biasimarla o condannarla. Cosa vorresti da lei?" mi chiese.
"Io... io vorrei solo essere amata."
"E credi che lei non ti ami?"
"Non lo credo, ne sono certa."
"Chi ti dà questa certezza? Puoi avere una certezza su tante cose. Sull'immensità del cielo, sulla freschezza della pioggia che scroscia sul prato, sulla profondità dell'oceano o sul cinguettio di un uccello. Ma sui sentimenti altrui, Sophia, non puoi permetterti di avere certezza, perchè questa non la possiede nemmeno chi li prova, quei sentimenti."
"Stai dicendo che lei non mi odia?"
"Sto dicendo soltanto che non puoi avere la presunzione di scovare nel baule del cuore altrui sentimenti e sensazioni. L'intensità di queste, la loro natura, la loro forza la conosce soltanto il legittimo proprietario." rispose pacatamente.
Aveva ragione, ma non riuscivo ad accettarlo.
"Proprietrio. Ne parli come se fossero delle cose tangibili."
"Perchè lo sono. Quelle che stanno scendendo dai tuoi occhi, adesso, cosa sono?"
"Lacrime."
"Non sono solo lacrime. In questo momento sono la forma tangibile del tuo dolore." rispose. E sorrise. Quel sorriso mi sciolse il cuore più delle parole che mi aveva rivolto.
Guardai la luce dei primi raggi del sole illuminare i suoi bellissimi capelli. Notai i riflessi argentati che questi avvano e me ne innamorai, più di quanto non fossi già innamorata di quel misterioso individuo.
"Toglimi una curiosità. Cosa ci fai in un posto simile all'alba?"
"Sono qui per questo." rispose, lasciando che una lacrima rimasta sul mio viso scivolasse sulle sue dita. La portò vicino le labbra e la leccò delicatamente.
La sua risposta non mi stupì, ma il suo gesto si. La dolcezza con cui lasciò che una frammentaria parte del mio essere si posasse sulle sue dita e poi sulle sue labbra mi avvolse il cuore e la mente.
"Il quadro. Quando lo terminerai?" mi chiese.
"Presto." risposi di getto.
"Bene. Non vedo l'ora di vederlo."
Il primo sole del mattino aveva portato con sè le prime anziane signore che iniziarono ad affollare la piazzetta in attesa dell'inizio della messa. Alzando lo sguardo verso il rosone della chiesa notaai ancora quella bianca e strana colomba che continuava a fissarci imperterrita e imperscrutabile.
Anche Micael se ne accorse e subito dopo si congedò con garbo.
"Io devo andare, Sophia."
"Anche io devo tornare a casa. Spero... no, nulla." non riuscii a terminare la frase.
"Anche io spero di rivederti presto." disse lui, incamminandosi verso il vialetto che conduceva dietro la chiesa.
Attesi che la sua sagoma sparisse dietro l'angolo per incamminarmi a mia volta. Alzai nuovamente lo sguardo verso il rosone e notai che anche la colomba era andata via.
Mentre avanzavo verso la strada principale, una forte raffica di vento si alzò, scuotendo tutto ciò che c'era intorno, il mio intero essere compreso.
martedì 4 novembre 2008
Il terzo frammento - Il respiro che purifica il cuore da parole che feriscono l'anima
giovedì 23 ottobre 2008
Il secondo frammento - La leggerezza di una piuma tra le mani, la delicatezza delle parole sul cuore
"E' un bel posto. C'è pace. E la natura è incontaminata e selvaggia. E' il posto ideale per dipingere." fu la mia risposta. Mi sentivo stranamente nervosa dinanzi a tanta affabilità e cercavo di nasconderlo indirizzando il mio sguardo altrove, giocherellando con i capelli.
"Io sono innamorato." mi rispose sorridendo e socchiudendo gli occhi come se avesse avuto il sole difronte.
"Io sono Micael" mi disse d'un tratto, quasi avesse finalmente notato il mio estremo imbarazzo per la situazione. "E stavo scherzando. Non sull'essere innamorato, ma sull'oggetto del mio interesse. Sono innamorato di lei."
"Ho sempre amato disegnare, ma non ho mai avuto la possibilità di frequentare una scuola o un corso, quindi diciamo che sono autodidatta."
"Non esistono gli autodidatti, esistono i talentuosi. Lei ha talento, Sophia." mi disse gentilmente. Non riuscivo a capire se le sue parole fossero sincere o solo di circostanza, ma cercai di non farmene un cruccio. In fondo, si trattava sempre e comunque di complimenti e una donna non può fare altro che accettarli con garbo. E un pizzico di esaltazione.
"La ringrazio, Micael."
"Mi dia del tu. Dica, grazie Micael."
"Grazie Micael."
"Mi piace come pronuncia il mio nome. " mi disse sorridendomi con gli occhi. Quegli occhi. Avrei desiderato morirvi dentro tanto erano belli e profondi.
"Beh, però dammi del tu a tua volta." dissi per sviare il discorso.
"Va bene, Sophia, ti darò del tu."
Restammo in silenzio per lunghi attimi. Attimi in cui lui non faceva che osservare prima il mio quadro, poi me, poi ancora il mio quadro e di nuovo me.
"Quel dipinto dice molto di te, sai?"
"Davvero? E cosa ti dice?" chiesi, quasi volessi sfidarlo.
"I colori predominanti sono il blu e il viola."
"Beh, mi sembra ovvio, questo lo vedrebbe chiunque." dissi prendendolo in giro.
"Lasciami finire. A differenza di ciò che si dice, ovvero che blu e viola sono dei colori freddi, quelle tinte sono in realtà ricche di significati profondi e intimi. Il blu è il colore della quiete, della pacatezza. Inoltre è il colore della capacità di adattamento. Sei una ragazza tenace ma delicata al tempo stesso e il tuo adattarti ad ogni situazione è un punto di forza molto importante per una donna." disse, iniziando ad accarezzare una radice dell'albero che fuoriusciva dal terreno. I suoi gesti erano delicati e affettuosi, quasi come se stesse accarezzando un gattino accoccolato accanto a lui.
"Interessante" dissi "e il viola?"
"Oh, dolce fanciulla, il viola è il colore che preferisco. E che tu preferisci. Il viola denota la metamorfosi interiore, la voglia di cambiamento radicale. Questo è ciò che desideri nel profondo del tuo cuore." si alzò in piedi e mise entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni.
"Inoltre, è il colore della magia e del mistero. E dell'unione degli opposti, del diverso."
le sue parole erano rese ancora più affascinanti dal suo tono di voce. Mai prima di allora avevo udito un simile timbro vocale in un uomo.
"Eh si, nella mia vita c'è tanta magia e tanto mistero." dissi ridendo, mentre mi levavo anche io in piedi. Mi porse la mano, per aiutarmi, e stringendola sentii un vortice di emozioni pervadere il mio corpo.
"Non immagini nemmeno lontanamente quanto veritiere siano le parole che hai appena detto, Sophia. Non lo immagini." sorrise, ritraendo la mano e voltandosi.
"Si è fatto tardi, devo andare dolce fanciulla." mi disse.
Mi intristii di colpo, non volevo che andasse via ma non potevo fermarlo.
"E' stato un piacere conoscerti, Micael." fu l'unica cosa che riuscii a dirgli.
"Oh no, Sophia, il piacere è stato interamente il mio." si incamminò verso la strada, voltandosi una o due volte prima di raggiungerla.
Volevo fermarlo, ma non trovavo nessuna scusa per poterlo fare; ero consapevole, anche se non ne capivo il motivo, di voler rimanere in sua compagnia ancora a lungo. Cercai di farmi forza e prima che sparisse dietro la linea d'orizzonte gli urlai:
"Posso rivederti?" non ho mai saputo da dove provenisse tutto il coraggio e la sfacciataggine che avevo tirato fuori quel pomeriggio.
"Certamente, devo venire a prendere il quadro. Non darlo a nessun'altro, mi raccomando." disse. La sua voce era bassissima e il rumore del vento che si era alzato improvvisamente la coprì parzialmente. Eppure, riuscii a sentire con perfezione ciò che aveva detto.
Mi voltai verso il quadro, toccandomi il viso; era bollente. Quell'uomo misterioso aveva letteralmente fatto divampare delle fiamme dentro di me.
Guardai il cielo e notai che era improvvisamente diventato buio. Era ora di tornare a casa.
martedì 21 ottobre 2008
Il primo frammento - La profondità di uno sguardo, l'inevitabilità di un marchio sul cuore
Attesi pazientemente che il sole fosse abbastanza alto nel cielo da illuminare la strada e mi accomodai in sella alla mia bicicletta, tela e colori ben saldi sulla schiena.
L'aria era ancora fresca, quel flebile sole appena sveglio difficilmente avrebbe potuto scaldarla con velocità, ma io amavo la sensazione di quel fresco benessere sulle gambe mentre pedalavo e di conseguenza non me ne preoccupavo.
Quando arrivai alla radura la trovai ancora completamente sopita; nessun rumore aleggiava nell'aria, gli uccelli non avevano ancora iniziato a cinguettare e nessun alito di vento agitava le foglie degli alberi e i fili d'erba appesantiti dalla rugiada. Era uno spettacolo meraviglioso, ma non era quello che volevo dipingere su quella tela.
Avevo deciso, comprandola con i miei sudati risparmi, che ciò che avrei dipinto su quella trama sarebbe stato qualcosa di speciale, qualcosa che fosse davvero degno di essere rappresentato. Qualcosa che non sarebbe mai dovuto morire e che avrebbe dovuto restare per tutta la mia vita così come io lo avevo visto.
E così fu.
Stesi una stuoia di paglia sul prato, all'ombra di un grande albero, e sedetti frugando dentro la borsa, in cerca della mela verde che avevo preso nel cesto della frutta per fare colazione.
Lentamente la radura iniziò ad animarsi e la mia solitudine forzata essò di essere; le farfalle iniziarono a danzare sui fiori sparsi qua e là sul prato e gli uccelli iniziarono il loro meraviglioso e assillante concertino. Alzai gli occhi al cielo e tra i rami dell'albreo che mi faceva da rifugio scorsi qualcosa.
Un nido di pettirosso faceva capolino tra le foglie verdi e rigogliose e mi sembrò di notare al suo interno delle uova ancora chiuse. Sorrisi, pensando alla magnificenza della vita e a ciò che era in grado di fare la natura. Il momento di dipingere giunse con ciò che vidi abbassando lo sguardo verso la linea dell'orizzonte; le nuvole che sovrastavano la radura e le colline circostanti si tinsero d'oro e cremisi allo stesso tempo e tutta la natura intorno mi sembrò quasi sottomessa a tanta imponenza.
Sistemai la tela sul cavalletto e mi armai di carboncino per imprimere un abbozzo di ciò che i miei occhi stavano osservando. Fotografai nella mia testa ogni più piccolo e insignificante particolare di quella scena, ogni singolo movimento che potevo notare intorno a me, cercai di trasformare in immagine qualsiasi suono pervenisse alle mie orecchie.
Mi alienai completamente dalla realtà, immergendo ogni fibra del mio corpo nel disegno che si veniva a delineare nella mia mente. Viola intensi, azzurri sgargianti e blu profondi. Ciò che vedevo assumeva quelle colorazioni, l'immagine che avevo davanti mutava forma e sostanza attraverso i miei pennelli, pur non perdendo la connotazione di imponenza e maestosità che aveva in realtà.
Ero fatta così. Il mondo come lo vedevo, per quanto meraviglioso e affascinante, attraverso i miei occhi aveva sempre subito modifiche d'impatto. Non perchè ciò che era non mi piaceva, semplicemente perchè il famoso velo di Maja dinanzi ai miei occhi trasformava le cose così come io le preferivo.
Pur ssendo completamente assorta in ciò che stavo facendo, mi accorsi che qualcuno mi stava osservando da lontano. Era lì da un po', immobile come una pietra; sembrava far parte integrante del paesaggio che avevo intorno. Quella visione non mi scosse più di tanto, il fatto che mi stesse osservando non mi infastidiva affatto. Eppure, c'era qualcosa in quell'individuo che continuava a richiamare la mia attenzione; i miei occhi, per quanto cercassi di controllarli, continuavano a girarsi verso la sua parte di paesaggio.
Fino a che non lo vidi più.
Posai il pennello e la tavolozza sul prato e iniziai a guardarmi intorno, prima a destra, poi a sinistra. Quell'individuo era sparito. Mi avvicinai ala tela ed iniziai ad osservarla per cercare particolari che non mi convincessero appieno, ma per la prima volta in vita mia tutto mi sembrò perfetto. Sorrisi e ripresi in mano il pennello.
"E' un quadro bellissimo." disse una voce alle mie spalle. Mi voltai e lo vidi chiaramente. Era l'uomo di poco prima che, come un silenziosissimo gatto, si era avvicinato a me senza che io me ne accorgessi.
"Come dice, scusi?" chiesi.
"E' davvero un bellissimo quadro, signorina." ribadì, avvicinando il suo volto alla tela, come se volesse penetrare con il suo essere l'essenza del mio dipinto. La sua voce era calda, suadente, quasi tangibile nell'aria. E i suoi occhi erano splendidi; non erano le sue labbra a sorridere, erano quei meravigliosi e profondissimi occhi azzurri.
E furono proprio quegli occhi che, contro la mia volontà, mi trascinarono inesorabilmente nel vortice del mio primo, vero, grande amore.
martedì 7 ottobre 2008
Prologo - Un nuovo sogno d'amore, un nuovo paio di ali.
Ho sempre sognato un rifugio caldo e accogliente tra le braccia di un'altro individuo. E ho vagato al freddo in gelide strade, per lungo tempo, fino a che non ho potuto immergermi in quell'abbraccio tanto anelato. Che quell'abbraccio fosse tanto accogliente da perdere completamente i sensi, però, non avrei mai potuto immaginarlo.
Ho sempre decantato l'importanza e la potenza dell'amore, senza conoscerne il reale senso. Quando l'ho conosciuto, ho capito che ciò che decantavo era in realtà ancora più importante e potente di quanto io credessi. Ma che quella potenza e quella importanza fossero tali da annullare completamente la totalità dell'essere, però, non avrei mai potuto immaginarlo.
Sognare e desiderare l'amore. Questa è sempre stata la priorità della mia vita. Perchè credo fermamente che il vero motore dell'universo sia quel sentimento controverso e ammaliatore.
Svegliarsi la mattina e, con gli occhi semichiusi, accorgersi della presenza di un altro essere accanto al proprio cuscino. Cercare affannosamente con i piedi freddi e intorpiditi il contatto di altri piedi altrettanto freddi e intorpiditi e scaldarli gli uni con gli altri. Accarezzare una testa spettinata sussurrando dolcemente buongiorno.
Una rosa fresca di giardino, con i petali ancora ornati da gocce di rugiada, accanto alla tazzina del caffè bollente a colazione.
Trascorrere le giornate in attesa di una parola d'affetto e comprensione, girovagare per la casa con gli occhi sempre fissi sul telefono che sembra non voglia squillare mai abbastanza.
Provare nuove ricette in cucina, aggiungendoci quel tocco personale che il più delle volte mina il risultato finale, con la speranza che siano apprezzate da chi le assaggerà. Magari dicendoti ti amo.
Queste sono le cose che ho sempre sognato per me.
Può sembrare stupido, irrazionale e terribilmente romantico, ma sono una donna. Cosa c'è al mondo di più irrazionabilmente romantico di una donna sognatrice?
Alcune donne sognano la carriera, la fama, la gloria; io ho sempre ammirato quelle donne così dannatamente testarde e tenaci. Ma io non sono come loro, io ho sempre bramato altro. Amore, per l'appunto. E per me, questo, non vuole assolutamente significare accontentarsi. Ho sempre desiderato quell'amore che brucia, consuma, toglie il respiro e annulla l'individualità dell'essere in funzione della coppia.
I sogni spesse volte restano tali. I miei, anche se non propriamente come io mi aspettavo, si realizzarono almeno in parte.
Purtoppo, non posso dire fortunatamente.