martedì 21 luglio 2009

Il terzo sole - Ombra silenziosa

Ogni giorno, appena finito di lavorare, salgo in macchina e guido verso quella che è stata per 2 anni la nostra casa. Supero l'ultimo semaforo, faccio un lungo respiro e imbocco il viottolo che mi conduce sotto la palazzina di mattoni rossi a vista. Parcheggio con precisione all'interno delle linee bianche, tiro su i finestrini, spengo lo stereo e il motore. Apro la portiera, lentamente, scendo dalla macchina e levo lo sguardo verso il balcone al terzo piano, quello che più che un balcone ormai è una giungla fatta di fiorellini e piantine varie tutte ben curate. E amate. A volte avevo l'impressione che amasse più quelle piante di quanto amasse me. Ero geloso di loro. Un po' come della nostra gattina rossa. Le attenzioni che aveva per loro erano superiori a quelle che aveva nei miei confronti. E la cosa buffa è che pur io odiandole, continuavo a regalargliene. Ogni tanto una nuova piantina da coccolare, almeno una volta a settimana una nuova rosa da seccare e da aggiungere al grande vaso colmo di fiori secchi posto in cima al mobile della sala; in sei anni ne aveva accumulate una quantità spaventosa. Ma continuava a seccarle, una dopo l'altra.
Dopo aver fissato per qualche secondo il balcone, torno in macchina e riaccendo il motore. Esco dal parcheggio e mi riimmetto in strada per tornare a quella che adesso è la mia casa.
Anche oggi sto per fare la stessa cosa. E' una specie di rito, una routine che non riesco ad abbandonare. Così facendo ho sempre l'impressione di far ritorno a casa
e la cosa mi fa sentire bene.
So che dovrei smetterla, sono perfettmente coscente che la cosa non giova affatto al mio labile status psichico, ma non riesco a farne a meno. E' un palliativo. Un triste, dolcissimo e malinconico palliativo.

La strada è completamente deserta, sembra che il caldo torrido abbia iniziato a mietere le prime vittime, e io amo la città deserta. Non posso fare a meno di amarla. Fermo al semaforo ascolto la mia canzone preferita, senza cantarla; ho smesso di cantare da un po' di tempo. A pensarci bene ho smesso di cantare continuamente, se non in rare occasioni, da quando Zoe non faceva che prendermi in giro per la mia s da serpente. Fisso la luce rossa, perdendomi tra un pensiero e un altro, ma una voce dentro di me mi chiede di distogliere per un attimo lo sguardo dal semaforo e di voltarmi a destra ; sotto un albero, all'ombra, una ragazza sta leggendo un libro. Una scena comune, normalissima, eppure così insolita. Ciò che ho dinanzi agli occhi ricorda vagamente un quadro di Monet; mancano solo gli abiti vistosi e il cappello altrettanto vistoso. Sono rapito, completamente, tanto da non sentire neppure gli automobilisti dietro di me, i loro clacson e i loro insulti. E' verde, cavoli. Avanzo di qualche metro e accosto appena mi è possibile. Non so perchè ma voglio vedere quella ragazza da vicino. Spero solo non mi prenda per un maniaco stupratore; di questi tempi, poi. Silenziosamente mi avvicino all'albero, da dietro, cercando di non farmi notare troppo. Il telefonino inizia a squillare, ovviamente. Tra l'altro la suoneria del mio cartone animato preferito non passa certo inosservata, rumorosa com'è.
La ragazza si è voltata e mi sta fissando. Sono impietrito.
Cavoli, dì qualcosa idiota che non sei altro.
"Il cellulare" mi dice indicando la mia tasca.
"No, non è il mio." che razza di cretino sono? No, non è mio? Certe volte dovrei cucirmi la bocca o mordere un limone prima di dire certe stupidaggini.
Il telefono smette di squillare, finalmente. Lei continua a fissarmi senza dire nulla, facendo in modo che il mio imbarazzo cresca ogni secondo di più.
"Scusami, non volevo disturbarti... da lontano non vedo molto bene e credevo fossi una persona che conosco" che cazzata. Ma almeno mi sono deciso a parlare.
"Figurati. Mi spiace averti deluso." risponde gentilmente per poi tornare al suo libro.
Resto immobile a fissarla, non riesco ad andare via. Non capisco perchè ma sento di voler conoscere questa ragazza, c'è qualcosa che mi spinge incontrollabilmente verso di lei.
"Posso chiederti cosa leggi?" ovviamente è la domanda più banale per attaccar bottone con una persona.
"L'Alchimista. Lo conosci?" risponde sorridendo.
"Si, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai letto."
"Beh, dovresti farlo. Credo sia indicato al tuo attuale stato." sogghigna.
"Quale stato scusa?" non credevo di essere un persona così trasparente anche con gli estranei.
"I tuoi occhi. Te lo si legge negli occhi che stai soffrendo. Rossi, gonfi, semichiusi e spenti." chiude il libro, mettendo tra le pagine una foglia raccolta da terra e si volta verso di me.
"No, quello è perchè sono miope e non porto gli occhiali." fingo di sorridere.
"Dici? Sarà... in ogni caso ti consiglio di leggerlo." fa una piccola pausa e sospira. "Tu sei?"
"Io? Mi chiamo Samuel."
"Che bel nome."
"Beh, in realtà sarebbe Samuele, ma tutti hanno sempre eliminato la e finale."
"Io sono Serena, piacere Samuel, senza la e finale." ecco, il suo nome descrive perfettamente la sensazione che provo in questo momento. Dopo tanto tempo la serenità è riuscita a fare breccia nella coltre di fumo che mi circonda l'animo, silenzosamente, senza che io potessi accorgermene. Con la mano destra dà due colpetti sul terreno, accanto a lei, invitandomi a sederle accanto. Ovviamente non me lo lascio ripetere e sorridendole mi accomodo sul terreno secco e arido.
"Allora, Samuel. Cosa fai di bello nella vita?"
"Io?... nulla di che. Lavoro come commesso in un negozio di abbigliamento in centro e intanto cerco il lavoro della mia vita."
"Ah si? E cosa vorresti fare?" la sua voce è molto dolce, calda, suadente. Mentre mi pone le sue domande di routine piega la testa prima a destra e poi a sinistra, socchiudendo lievemente gli occhi per la troppa luce.
"Se te lo dico, prometti di non ridere?"
"E perchè dovrei ridere?" ride.
"Vorrei diventare scrittore. Scrivo molto, scrivo storie.. come dire... particolari."
"Ah si? Perchè particolari?"
"Perchè il mio modo di scrivere non è molto... canonico... amo descrivere emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d'animo... tralasciando tutto il resto. Per farlo mi avvalgo di personaggi un po' particolari, come angeli, creature sovrannaturali e piume, tante piume... Ma un tipo di scrittura così, il tipo di storie che scrivo non è molto commerciale, quindi non credo che riuscirò mai a sfondare davvero."
"Mi piacerebbe leggere un tuo libro... mi incuriosisce quello che hai detto. Descrivere emozioni, deve essere bello. E dimmi, la ragazza ce l'hai?"
Zoe. Oddio, che sto facendo qui? Per qualche attimo mi ero quasi... no, non posso dirlo, non posso essermi dimenticato di lei. Devo andare via. Devo andarmene subito. Non posso minimamente pensare di parlare con una ragazza, adesso. Io amo Zoe.
"Scusami Serena, devo andare." mi alzo di scatto, quasi mi avesse punto un insetto, quasi come se avessi preso una scossa elettrica sul fondoschiena.
"Ho detto qualcosa di male? Mi dispiace." si alza e mi prende per un braccio. "Davvero Samuel, mi dispiace tanto."
"No, non preoccuparti, non hai detto nulla. E' solo che si è fatto tardi e io devo andare a casa. La mia cagnetta starà per scoppiare... devo portarla a fare pipì..." è una scusa, vero, ma è anche una mezza verità. Hikari sarà in trepidante attesa, poverina. A meno che non mi abbia già inondato casa.
"Hai una cagnetta? Come si chiama?"
"Hikari, si chiama Hikari."
"Che nome carino. E' giapponese? Il nome, intendo."
"Si, giapponese. Significa Luce, più o meno."
"Luce... e come mai, questo nome? Se posso chiederlo ovviamente."
"Perchè... perchè quando è arrivata nella mia vita... intorno a me c'era solo buio. Solo buio. E io avevo bisogno di qualcosa che tornasse ad illuminare il mio mondo. Hikari è la mia stella." oddio, la vista mi si sta appannando. Non vorrò mica piangere adesso? Devo andare.
"Adesso vado... scusami ancora. Mi ha fatto piacere conoscerti."
Mi incammino verso la macchina, cercando di non voltarmi indietro. Sento il suo sguardo sulla schiena. Pesa come un macigno, rallenta i miei movimenti. Smettila di guardarmi, ti prego. No, non è il suo sguardo che pesa, è il senso di colpa. Mi sento in colpa. Mi sento un traditore, un meschino traditore. La sola idea di voler conoscere quella ragazza mi ha reso un traditore nei confronti di Zoe, nei confronti dell'amore che provo per lei.
"Samuel!!!" mi sta chiamando. Cosa vuole? Cosa vuoi?
"Samuel, aspetta." sento i suoi passi sull'erba. Sta correndo verso di me. Mi volto lentamente ed è piegata in due dall'affanno. Senza accorgermene mi sono allontanato tantissimo. Ed ora è dietro di me, come un ombra silenziosa è arrivata dietro di me. Come un ombra silenziosa ho permesso che potesse toccare la mia vita devastata. Oddio, forse sto correndo troppo. Come al solito sto melodrammaticizzando tutto. In fondo è solo una ragazza con cui ho scambiato due parole. Una bellissima ragazza, una dolcissima ragazza, una misteriosa e affascinante ombra silenziosa.
"Dimmi Serena."
"Vorrei conoscere il tuo cane. Ti scoccia?" cosa? vuol conoscere Hikari?
"no, assolutamente..."
"Dammi la mano." mi porge la sua.
"La mia mano? Perchè?"
"Dammela." allungo verso di lei la mia mano destra e la fisso con sospetto. Estrae una penna dalla sua borsetta firmata e scrive qualcosa sul palmo della mia mano.
"Mandami un messaggio, quando avrai voglia di farmi conoscere la tua cagnolina."
Sorride e scappa nella direzione opposta alla mia. Non mi lascia neppure il tempo di risponderle. Fisso la mia mano, fisso i numeri scritti sul mio palmo, a caratteri grandi, aggraziati... e un cuoricino al posto dello zero. Non posso fare a meno di sorridere.
Torno alla macchina fissando il numero di telefono, convinto che non invierò mai quel messaggio.
Non sono andato sotto casa sua, sotto casa nostra. Ho deciso di tornare subito a casa mia e di Hikari. Ho perso troppo tempo a chiaccherare con Serena e non potevo fare aspettare ancora la Bestia. Anche se avrei potuto farlo in tutta tranquillità, dato che come mi aspettavo la mia piccolina non è riuscita a trattenere i suoi bisogni. E' lì, accucciata in un angolino, con lo sguardo colpevole e le orecchie basse. Non riesce comunque a contenere la gioia di vedermi; sbatte lentamente la coda sul pavimento in attesa di un mio segnale positivo. Le sorrido.
"Scema... vieni qui." non se lo lascia ripetere una seconda volta e nella frazione di un istante è in braccio a me che mi lecca il viso. Fisso la piccola pozzanghera sul pavimento con aria rassegnata. Il mio pensiero vola verso Zoe, mentre osservo il riflesso del lampadario sullo specchio giallognolo di pipì. E poi, inaspettatamente, la mia mente si separa e lascia che una parte del mio pensiero ricrei l'immagine di quell'ombra silenziosa dinanzi a me. Un riflesso conosciuto e un ombra silenziosa.
Zoe e Serena.
"No, non se ne parla. Io amo Zoe." ripeto tra me e me. Hikari smette di leccarmi il viso e scende dalle mie braccia. Mi fissa, come se volesse entrarmi dentro, come se volesse comprendere i miei pensieri.
"Non preoccuparti, Bestia. Papà sta bene, è solo un po' pensieroso. Ha solo avuto un attimo di debolezza."
Abbassa le orecchie e la sua coda smette di muoversi.
Devo pulire il pavimento.




venerdì 10 luglio 2009

La seconda luna - Fumo negli occhi

Il bar è pieno di gente. Non vorrei mai essere nei panni del barista, in momenti come questo. Voci che si sovrappongono mani che si intrecciano sul bancone mescita spalle che spingono altre spalle tazze e tazzine che tintinnano sui piattini caffè caffè macchiato caffè basso caffè alto cappuccino cappuccino chiaro caffè d'orzo... c'è da impazzire. Ivan è seduto al tavolino nell'angolo ad aspettarmi. Ha l'aria preoccupata, spero non sia successo nulla di grave. Cerco di farmi spazio tra la gente assetata di caffeina e carboidrati e faccio un cenno di saluto a quel povero barista rintronato dalle mille richieste in contemporanea.
"Ohi, Ivan. Scusa il ritardo. Traffico immane." mi giustifico immediatamente, ancor prima di dargli il consueto bacio sulla guancia e sedermi.
"Potevi tranquillamente dirmi che stavi ancora dormendo, Samuel. Non ti avrei fatto venir fin qui." la sua voce riesce sempre a scaldarmi il cuore. Anche ora, quel piccolo pezzo rimasto a battere nel mio petto ne è completamente avvolto.
"Cosa succede, cucciolotto? C'è qualche problema?" gli chiedo cercando di cambiar discorso per non farlo sentire in colpa per avermi svegliato. Dacchè lo conosco l'ho sempre chiamato con vezzeggiativi e nomignoli affettuosi, quasi fosse il mio ragazzo. In realtà la sua importanza nella mia vita è pari se non superiore a quella di un compagno. Lui è il mio punto fermo, la mia ancora, il mio porto sicuro, la colonna portante della mia esistenza. Insieme a Zoe. E dire che ci conosciamo da relativamente poco tempo.
"No Samuelino." anche lui usa vezzeggiativi con me "cosa succede a te?" il suo sguardo da preoccupato diventa serio. Mi ammonisce con gli occhi. Non riesco a dire nulla.
"Allora? Sono due settimane che non ti fai sentire, non rispondi ai messaggi, non rispondi al citofono. Almeno a lavoro ci stai andando?" non mi piace quando mi parla così. Sopratutto perchè so che ha ragione.
"Si. A lavoro ci vado." abbasso lo sguardo e inizio a giocherellare con l'accendino.
"Mi sono stupito, sinceramente, che tu mi abbia risposto stamattina. Cos'è? Ti ho preso alla sprovvista e siccome eri ancora addormentato non ci hai pensato?" in effetti è così, ma meglio tacere.
"Senti Ivan, mi dispiace. Sono stato un po' incasinato."
"Va bene. Allora, come stai?" la domanda è ovviamente retorica. La risposta deve essere altrettanto.
"Tutto bene. Alti e bassi, ma tutto bene." perchè mi fissa in quel modo strano?
"Cos'hai fatto all'occhio?".
"Nulla, perchè?" cos'avrà mai che non va il mio occhio? Istintivamente porto la mano al volto. Il bar si è improvvisamente svuotato.
"Samuel, hai la palpebra gonfia e arrossata. Che hai combinato?" Hikari! Giocando con lei mi sono fatto male. Ma stavo solo sognando.
"Non preoccuparti. E' stata la Bestia in un momento di svago. Avevo dimenticato la regola fondamentale dei nostri attimi di gioco e lei mi ha lasciato un ricordino." questa cosa mi lascia davvero perplesso. Ma forse è meglio non far trasparire nulla, non vorrei che lui si preoccupasse troppo e iniziasse a pensare che io sia pazzo. Così come lo penso io.
"Gabry è a lavoro?" chiedo per cambiare discorso cercando di non far apparire la cosa troppo forzata.
"Si. Ti saluta. E' preoccupata, Samuel. Come me. E come tutti gli altri." alza la mano e fa segno al barista di portare due caffè.
"Come mai il caffè? Di solito prendi il succo di pesca." a lui non piace il caffè.
"Stanotte non ho dormito molto. Mi sono svegliato verso le tre e non sono più riuscito a prender sonno." se queste parole fossero uscite dalla bocca di qualcun'altro avrei detto che a non farlo dormire potrebbe essere stata la paura del fatidico giorno del matrimonio. Ma non per Ivan. Lui non vede l'ora che arrivi quel giorno. "Non cambiare discorso però. Voglio sapere davvero come stai. Non puoi continuare a nasconderti alle persone che ti vogliono bene." la sua voce, pacata, tranquilla, dolce, mi avvolge completamente e non riesco a tacere.
"Non bene. Anzi, affatto bene. Continuo a rialzarmi e a cadere e poi a rialzarmi e poi a cadere di nuovo. Non riesco a trovare una ragione che mi spinga ad andare avanti." il barista ci porta i caffè al tavolino e accenna un sorriso. Ivan ricambia la cortesia e torna a fissarmi imperterrito e preoccupato.
"Ho iniziato a sognarla tutte le notti. E i sogni sono così reali che quando mi sveglio faccio fatica a riprendermi. Non so come fare. Vorrei soltanto tornare indietro, al momento in cui il nostro rapporto si è incrinato. Ma non capisco quando è successo, per me era tutto perfetto. Se potessi tornare a quel momento e cambiare le cose, adesso lei sarebbe ancora con me." inizio a balbettare e singhiozzare. Ecco, adesso ho raggiunto il massimo dell'umiliazione. Piangere in un bar pieno di gente.
"Perchè devi pensare a queste cose, Samuel? Ormai non puoi tornare indietro, puoi solo andare avanti." mi stringe la mano destra. Soffre per me, con me. "Quello che vorrei io è riavere il mio amico, vorrei tornare a parlare allegramente con lui, vorrei vederlo di nuovo sorridere. Se non riesci a star bene per te stesso, prova a farlo per me, per Gabry e per le persone che ti vogliono bene."
Ormai la vista è completamente annebbiata. Sento il viso bagnato dalle lacrime. Ivan si alza e si appresta a pagare i caffè. Quando torna al tavolo sono ormai in uno stato di disperazione totale. Non riesco a controllarmi, quando inizio a parlare di lei, di noi e della nostra rottura. O meglio, della sua rottura. Io non avrei mai spezzato nulla, non avrei mai potuto lasciarla. perchè mai sarei dovuto scappare dal paradiso una volta raggiunto?
"Vieni, andiamo a fare due passi così ti fumi una sigaretta e ti calmi un po'." dice dolcemente, mentre mi accarezza una spalla.
"No Ivan, grazie. Vai a fare i tuoi giri, io torno a casa. Preferisco star da solo." il suo sguardo si fa severo.
"No, tu oggi stai con me. E' tanto che non stimo un po' insieme. Ti farà bene."
Cos'altro dovrei fare, se non accettare la sua gentile e obbligata offerta?

La giornata di oggi è letteralmente volata via. Era tanto tempo che non stavo così... così serenamente. E' il grande potere che Ivan ha su di me, è l'unica persona al mondo che riesce a rasserenarmi e tranquillizzarmi senza neppure provarci, gli viene naturale. Abbiamo parlato anche dei miei sogni, in maniera più approfondita dell'accenno che gli avevo fatto questa mattina al bar. Secondo lui non devo darci peso, perchè conoscendomi finirei per considerarli una specie di segno premonitore o roba del genere e inizierei ad illudermi inutilmente. Già, illudermi. Sento continuamente persone che mi dicono che ormai è il momento di voltare pagina.
Questa però è una cosa che fa male come poche altre. Sentirmi dire che "ormai" non c'è più speranza, che "ormai" lei ha deciso, che "ormai" non tornerà indietro... la parola "ormai" è diventata per me fonte di malessere. Un malessere che sento crescere dentro ogni volta che ci penso.
Verso della Sambuca in un bicchierino di plastica, pensando che forse è arrivato il momento di comprarne qualcuno in vetro, e la bevo tutta d'un fiato. Hikari è acciambellata sulla poltrona che dorme della grossa. La invidio, vorrei riuscire a dormire così profondamente anche io. Uno strano rumore richiama la mia attenzione; proviene dall'ingresso e Hikari non può essere perchè è qui davanti a me. Vado a controllare. Nulla. Immaginazione. Il fumo della sigretta che ho in bocca mi entra negli occhi. Dio, bruciore assurdo. Il fumo negli occhi è un cosa terribile per un fumatore.
"Tutto ok, Samuel?" una voce alle mie spalle. Rispondo inconsciamente e senza esitazione.
"Si, si, tranquilla. Solo fumo negli occhi." mi volto con lo sguardo ancora appannato dalla lacrimazione. Le sue labbra sfiorano il mio viso contrito dal bruciore.
Quand'è che mi sono addormentato? O quando mi sono svegliato?
Un bacio sui miei occhi e il bruciore svanisce.
"Va meglio così?" il suo sorriso è magnifico.
Le cingo le braccia intorno alla vita e la stringo al mio corpo.
"Quando sei qui, non c'è nulla che possa andare male." la bacio. Con dolcezza, foga, delicatezza, passione, rabbia, gioia, frustrazione.
Già. Frustrazione. La questione inizia a diventare alquanto frustrante. Non capire quando sono sveglio o quando sto dormendo è terribile. Ma allo stesso tempo, mi dico che è meglio così.
"Che ore sono, Zoe?" le chiedo.
"Quasi mezzogiorno. Perchè?" il suono della sua voce pervade il mio essere intero.
"Ho voglia di andare sulla collina. Cosa ne pensi?" tante volte ci eravamo ripromessi di passare una giornata in collina, solo io e lei, e l'unica volta in cui riuscimmo ad andarci fu quando poi la sera... no, non voglio pensarci. Voglio andare. Porteremo anche Hikari stavolta.

Il sole picchia forte sulle nostre teste. La sua luce colora il paesaggio intorno, gli dona vita, una vita che di onirico ha ben poco. Hikari corre come una forsennata su e giù per la discesa della collinetta sulla quale ci siamo appostati. Lei è seduta, a gambe incrociate, e accarezza e giocherella con i miei capelli. Io ho la testa proprio tra le sue gambe e con una mano le accarezzo il collo, mentre mi perdo completamente nel suo sguardo. A parte la presenza di Hikari, tutto è come quella mattina. Un nodo in gola. Un groppo sul cuore. Una pietra sull'anima. Mi impediscono, o forse mi impedisco io stesso, di sorridere.
"Cosa c'è che non va, Samuel?" le sue dita accarezzano le mie labbra.
"Adesso faremo l'amore?" le chiedo senza mezzi termini. Ma non è una richiesta. E' una domanda, consapevole di quello che succederà tra poco.
"Se ne hai voglia, si." sorride.
"E poi, una volta a casa? mi dirai che non sai più se mi ami?" mi metto a sedere e la fisso. Lei è iimpietrita. Anche Hikari ha smesso di giocare e ci fissa da lontano. Il sole è sparito e sembra che d'un tratto l'atmosfera intorno sia mutata radicalmente. Un vento gelido colpisce i nostri corpi pietrificati e i suoi capelli sembrano impazziti.
"Ma cosa dici?" la sua voce è singhiozzante.
Arretro di due passi continuando a guardarla. Lei avanza di due passi verso di me. Hikari resta immobile a fissare la scena.
"Samuel, vieni qui."
"No Zoe. Non farmi del mle anche qui. Non usare anche questo sogno per distruggere anche la piccola parte che di me è rimasta integra." inizio a piangere. Cazzo. Non riesco a trattenermi.
"Samuel, mi vuoi spiegre cosa ti prende?" la sua voce portata dall vento impazzito di colpo mi trafigge. Schegge melodiose e taglienti feriscono tutto il mio corpo. Sangue. Inizio a sanguinare ma non sento dolore. Adesso lo so, questo è il sogno. Questo purtroppo è solo un sogno. O per fortuna. Chi può dirlo?
"Vattene Zoe."
"Tu non vuoi che io vada via." sul suo viso compaiono delle lacrime lucenti.
"Ti prego Zoe. Vai via. Non farmi più del male."
"io non te ne ho mai ftto, Samuel, e mai te ne frei. lo sai. Vieni qui da me." tende le braccia verso di me e il vento inizia a soffiare con potenza nella sua direzione. Non riesco a restare immobile. Mi sento sospinto verso di lei.
"Vattene!" Urlo più forte che posso. "Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Ti amo! Ti amo! Ti amo! Vattene! Vattene! Non andare! Non andare... non andare... ti prego, non lasciarmi anche qui." mi arrendo al mio desiderio più grande. Il vento si calma. Il sangue smette di scendere dalle mie ferite. Il sole torna a picchiare sulle nostre teste.
Hikari è ancora immobile, quasi fosse una statua. Abbasso la testa in segno di resa e lascio cadere le braccia lungo la vita.
"Io ti amo, Zoe. Ti ho sempre amata disperatamente, inevitabilmente, incontrollatamente. Non lasciarmi, ti prego." piango copiosamente. Ma non riesco a capire perchè. I motivi potrebbero essere tanti. I motivi potrebbero non esistere, in questo sogno. I motivi non esistevano neppure nel mondo reale. Perchè mi hai lasciato, Zoe?
Hikari abbaia. Mi volto verso di lei. Le lacrime mi impediscono di vederla chiaramente, ma ho l'impressione che accanto a lei ci sia qualcuno. Non è Zoe. Ma non riesco a vedere nulla. Le lacrime offuscano la mia vista, come fumo negli occhi. Li strofino, per asciugarli. Quando li riapro, ciò che vedo è un soffitto bianco. Ciò che sento è la lingua di Hikari sul mio braccio. Sangue. Sta leccando del sangue dai tagli sul mio avambraccio.
"Cazzo. Sto davvero diventando pazzo."

giovedì 9 luglio 2009

Il secondo sole - Brace ardente

Continuo ad accarezzarle i capelli, quei morbidi e setosi capelli che amo smodatamente. Ogni tanto ha un piccolo sussulto e farfuglia parole senza senso. Poi sorride. Poi stringe i pugni come un neonato tra le braccia della madre.
Hikari esce dal suo nascondiglio, sotto il letto, e mi porta uno dei suoi giocattoli preferiti guardandomi dritto negli occhi con la sua classica espressione tenera e cucciolosa. Vuol giocare. Mi lascio convincere senza sforzo, tanto a quento pare questa notte non riuscirò a dormire. Bacio delicatamente Zoe sul capo, assaporando il profumo dei suoi capelli, e prendo l'osso rosa e peloso della "bestia" dirigendomi in sala. Non posso certo rischiare di svegliare la mia bimba, domattina deve lavorare ed è meglio lasciarla riposare tranquilla.
Hikari mi segue scodinzolando e saltellando come un grillo per tutta la casa, fortunatmente, molto silenziosamente. Mi sento bene, mi sento felice, mi sento stranamente vivo stanotte. L'orologio segna le 2.22. Credevo fosse più tardi.
"Le 2.22. E io gioco col cane." bisbiglio mentre Hikari cerca di strapparmi l'osso peloso dalle mani. Mi siedo sul pavimento per star più comodo. Errore madornale. Mai dimenticare la regola fondamentale quando si gioca con il mio cane: evitare che la tua faccia sia all'altezza delle sue zampe. Lei non controlla l'euforia, piccola cagnetta esagitata, e puntualmente una sua zampa arriva a colpire ora la guancia, ora il naso, ora la bocca e a volte anche gli occhi. E così è anche questa volta. Una sua zampa arriva a colpirmi direttamente l'occhio sinistro. Come se già non fossi abbastanza miope. Mi alzo e vado a controllare in bagno che almeno la pupilla sia rimasta al suo posto. Fisso la mia immagine allo specchio e dietro di me scorgo la sagoma di Zoe.
"Perchè non vieni a dormire?" mi dice, mentre mi cinge la vita.
"Hikari non ha sonno e vuole giocare. E come al solito mi ha fatto male." la sua mano scivola veloce e delicata sul mio viso e accarezzandone la pelle allevia il dolore causato dalla zampata.
"Andiamo a letto. E' tardi." mi bacia la palpebra dell'occhio sinistro e mi dà uno schiaffetto sul fondoschiena, poi torna a dormire.
"Hai sentito Bestia? A dormire, di volata!" è bello constatare che almeno il tuo cane ha paura di te quando fai la voce grossa. Nella mia vita l'unica persona ad aver paura di me sono sempre stato io.
Torno a letto, preceduto da Hikari e dal suo osso rosa peloso. Lei è lì, accoccolata nel suo angolino che è già tornata tra le braccia di Morfeo, l'unico uomo di cui non sono geloso. Anche io adoro stare tra le sue braccia. Un bacio sulle labbra strette in un sorriso di Zoe e chiudo gli occhi.

Mi sveglio di soprassalto. Il suono incessante del telefono mi ha richiamato tra i vivi, brutalmente.
"Pronto?... no, non preoccuparti, ero già sveglio da un pezzo" bugiardo. Sono un bugiardo. Stavo dormendo della grossa, con Zoe accanto e il cane ancora stordito sotto il letto. Almeno loro non li hai svegliati, a quanto pare. "Certo, certo. Dammi solo il tempo di finire una cosa e sono subito da te." Si, finire una cosa. Svegliarmi completamente, lavarrmi e vestirmi.
Poso il telefonino sul comodino e stropiccio gli occhi con le mani ancora intorpidite dal sonno. Mi siedi sul letto in attesa che il mio corpo risponda perfettamente ai comandi che il cervello impartisce.
Vado in bagno, guardo lo specchio e ovviamente penso che vorrei solo tornare a letto, accanto alla persona che amo.
Decido di farlo, soli altri cinque minuti. Torno in camera da letto e mi fermo sulla soglia. Il letto vuoto. Lei non c'è. In quel letto non tornerà più. Perchè così ha scelto. E' stato solo un sogno, ovviamente. Un sogno merviglioso. Un sogno realistico. Un sogno desiderato.
Tutto è cambiato. Tutto cambia. Tutto brucia. In pochi attimi, in poche parole, in un solo respiro la mia vita è cambiata. Di ciò che è stato resta solo cenere, cenere che il vento non può portare via, cenere che alcuni chiamano ricordi, cenere che altri chiamano rimorsi, che altri ancora chiamano rancore. Cenere che per la maggior parte degli individui diventa monito, ammonimento, simulacro di un amore idealizzato e utopico.
Di quella brace ardente resta solo un cumulo di cenere che non si può riaccendere. Che non deve essere riaccesa.
Promesse infrante, sogni offuscati dal fumo di un fuoco che si è spento, tutti i per sempre cancellati con un colpo di dubbi e domande inutili.
E allora siedi accanto a quelle ceneri e con la mano ne sollevi un mucchietto. Fissi la tua mano per lunghi attimi, per interminabili battiti di cuore, quasi nella speranza che il tuo solo sguardo possa ridar vigore a quel mucchietto di polvere grigia.
Poi, senza rendertene conto,inconsciamente, lasci che la polvere ti scivoli dalla mano e resti a guardare senza potere o volere fare nulla.
Hai desiderato di essere migliore, hai desiderato sentirti poco più di uno zero, hai desiderato di riparare agli errori commessi in virtù e in funzione di un sogno d'amore in cui tu eri l'unico a credere. Tutto mentre quella cenere cade via dalla tua mano.
Poi capisci. Capisci che forse non ne vale la pena. Capisci che forse eri l'unico a credere davvero. Capisci che forse ciò che ti veniva detto, che ti veniva mostrato, che ti veniva donato come amore era solo parvenza di questo, mera illusione, soltanto bisogno di amare. Perchè Amore, quello vero, quello assoluto, quello immenso, quello raro, quello in cui tu hai sempre creduto, quello che tu hai provato e che ancora provi mentre fissi quel mucchietto di cenere, non finisce. Non si spegne. Può solo crescere.
Se non lo fa, se si spegne, non era ciò che credevi. Era solo bisogno di questo.
E allora ti alzi in piedi, torni in bagno e ti riguardi allo specchio. Una nuova giornata deve iniziare. Una nuova vita deve continuare.
Ringrazi per ciò che ti è stato dato e per ciò che hai vissuto.
Conserverai quell'Amore nel cuore con la consapevolezza che è vero, che è sempre stato vero, che sarà sempre vero. Quel che si è spento non ti apparteneva, quel che si è spento non era tuo. Perchè ciò che è tuo continua a bruciare dentro, a divampare nell'anima e nel cuore. A volte fa male, altre volte ti spinge ad andare avanti, altre volte ancora ti blocca in ginocchio. Quel che è tuo continua ad essere BRACE ARDENTE, sempre, comunque, dovunque.

O forse è questo il sogno. Forse sto sognando adesso e in realtà lei è andata a lavoro. Si, deve essere così. Perchè stanotte abbiamo fatto l'amore. Stanotte quella brace ha bruciato con violenza, con foga, con passione. E allora cosa devo fare?

Decido di vivere questo sogno, sperando che mi conduca da lei di nuovo. Chiamo Hikari per la passeggiata mattutina, ma lei non vuol saperne di uscir da sotto il letto.
"Tesoro, se non andiamo ora ti toccherà trattenerla fino a quando non ritorno a casa" o fino a quando non mi sarò svegliato, penso. Nulla, non vuole uscire. Beh, mi spiace ma non posso aspettare. Mi hanno cercato. Vado a espletare i miei doveri da amico, anche nel sogno. Ma se questa invece fosse la realtà? Oddio, sto impazzendo. Dovrei cercare prove tangibili del reale, ma ne ho pauraa. Perchè vorrebbe dire che allora, il sogno è stato quello di stanotte.

Lo specchio. Si, lo specchio. Stanotte Hikari mi ha colpito l'occhio, mentre giocavamo. Corro in bagno e fisso la mia immagine. Nulla. Non c'è nulla. Mi rassegno all'idea. Meglio uscire, Ivan mi sta aspettando al bar.

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...