Ogni giorno, appena finito di lavorare, salgo in macchina e guido verso quella che è stata per 2 anni la nostra casa. Supero l'ultimo semaforo, faccio un lungo respiro e imbocco il viottolo che mi conduce sotto la palazzina di mattoni rossi a vista. Parcheggio con precisione all'interno delle linee bianche, tiro su i finestrini, spengo lo stereo e il motore. Apro la portiera, lentamente, scendo dalla macchina e levo lo sguardo verso il balcone al terzo piano, quello che più che un balcone ormai è una giungla fatta di fiorellini e piantine varie tutte ben curate. E amate. A volte avevo l'impressione che amasse più quelle piante di quanto amasse me. Ero geloso di loro. Un po' come della nostra gattina rossa. Le attenzioni che aveva per loro erano superiori a quelle che aveva nei miei confronti. E la cosa buffa è che pur io odiandole, continuavo a regalargliene. Ogni tanto una nuova piantina da coccolare, almeno una volta a settimana una nuova rosa da seccare e da aggiungere al grande vaso colmo di fiori secchi posto in cima al mobile della sala; in sei anni ne aveva accumulate una quantità spaventosa. Ma continuava a seccarle, una dopo l'altra.
Dopo aver fissato per qualche secondo il balcone, torno in macchina e riaccendo il motore. Esco dal parcheggio e mi riimmetto in strada per tornare a quella che adesso è la mia casa.
Anche oggi sto per fare la stessa cosa. E' una specie di rito, una routine che non riesco ad abbandonare. Così facendo ho sempre l'impressione di far ritorno a casa e la cosa mi fa sentire bene.
So che dovrei smetterla, sono perfettmente coscente che la cosa non giova affatto al mio labile status psichico, ma non riesco a farne a meno. E' un palliativo. Un triste, dolcissimo e malinconico palliativo.
La strada è completamente deserta, sembra che il caldo torrido abbia iniziato a mietere le prime vittime, e io amo la città deserta. Non posso fare a meno di amarla. Fermo al semaforo ascolto la mia canzone preferita, senza cantarla; ho smesso di cantare da un po' di tempo. A pensarci bene ho smesso di cantare continuamente, se non in rare occasioni, da quando Zoe non faceva che prendermi in giro per la mia s da serpente. Fisso la luce rossa, perdendomi tra un pensiero e un altro, ma una voce dentro di me mi chiede di distogliere per un attimo lo sguardo dal semaforo e di voltarmi a destra ; sotto un albero, all'ombra, una ragazza sta leggendo un libro. Una scena comune, normalissima, eppure così insolita. Ciò che ho dinanzi agli occhi ricorda vagamente un quadro di Monet; mancano solo gli abiti vistosi e il cappello altrettanto vistoso. Sono rapito, completamente, tanto da non sentire neppure gli automobilisti dietro di me, i loro clacson e i loro insulti. E' verde, cavoli. Avanzo di qualche metro e accosto appena mi è possibile. Non so perchè ma voglio vedere quella ragazza da vicino. Spero solo non mi prenda per un maniaco stupratore; di questi tempi, poi. Silenziosamente mi avvicino all'albero, da dietro, cercando di non farmi notare troppo. Il telefonino inizia a squillare, ovviamente. Tra l'altro la suoneria del mio cartone animato preferito non passa certo inosservata, rumorosa com'è.
La ragazza si è voltata e mi sta fissando. Sono impietrito.
Cavoli, dì qualcosa idiota che non sei altro.
"Il cellulare" mi dice indicando la mia tasca.
"No, non è il mio." che razza di cretino sono? No, non è mio? Certe volte dovrei cucirmi la bocca o mordere un limone prima di dire certe stupidaggini.
Il telefono smette di squillare, finalmente. Lei continua a fissarmi senza dire nulla, facendo in modo che il mio imbarazzo cresca ogni secondo di più.
"Scusami, non volevo disturbarti... da lontano non vedo molto bene e credevo fossi una persona che conosco" che cazzata. Ma almeno mi sono deciso a parlare.
"Figurati. Mi spiace averti deluso." risponde gentilmente per poi tornare al suo libro.
Resto immobile a fissarla, non riesco ad andare via. Non capisco perchè ma sento di voler conoscere questa ragazza, c'è qualcosa che mi spinge incontrollabilmente verso di lei.
"Posso chiederti cosa leggi?" ovviamente è la domanda più banale per attaccar bottone con una persona.
"L'Alchimista. Lo conosci?" risponde sorridendo.
"Si, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai letto."
"Beh, dovresti farlo. Credo sia indicato al tuo attuale stato." sogghigna.
"Quale stato scusa?" non credevo di essere un persona così trasparente anche con gli estranei.
"I tuoi occhi. Te lo si legge negli occhi che stai soffrendo. Rossi, gonfi, semichiusi e spenti." chiude il libro, mettendo tra le pagine una foglia raccolta da terra e si volta verso di me.
"No, quello è perchè sono miope e non porto gli occhiali." fingo di sorridere.
"Dici? Sarà... in ogni caso ti consiglio di leggerlo." fa una piccola pausa e sospira. "Tu sei?"
"Io? Mi chiamo Samuel."
"Che bel nome."
"Beh, in realtà sarebbe Samuele, ma tutti hanno sempre eliminato la e finale."
"Io sono Serena, piacere Samuel, senza la e finale." ecco, il suo nome descrive perfettamente la sensazione che provo in questo momento. Dopo tanto tempo la serenità è riuscita a fare breccia nella coltre di fumo che mi circonda l'animo, silenzosamente, senza che io potessi accorgermene. Con la mano destra dà due colpetti sul terreno, accanto a lei, invitandomi a sederle accanto. Ovviamente non me lo lascio ripetere e sorridendole mi accomodo sul terreno secco e arido.
Dopo aver fissato per qualche secondo il balcone, torno in macchina e riaccendo il motore. Esco dal parcheggio e mi riimmetto in strada per tornare a quella che adesso è la mia casa.
Anche oggi sto per fare la stessa cosa. E' una specie di rito, una routine che non riesco ad abbandonare. Così facendo ho sempre l'impressione di far ritorno a casa e la cosa mi fa sentire bene.
So che dovrei smetterla, sono perfettmente coscente che la cosa non giova affatto al mio labile status psichico, ma non riesco a farne a meno. E' un palliativo. Un triste, dolcissimo e malinconico palliativo.
La strada è completamente deserta, sembra che il caldo torrido abbia iniziato a mietere le prime vittime, e io amo la città deserta. Non posso fare a meno di amarla. Fermo al semaforo ascolto la mia canzone preferita, senza cantarla; ho smesso di cantare da un po' di tempo. A pensarci bene ho smesso di cantare continuamente, se non in rare occasioni, da quando Zoe non faceva che prendermi in giro per la mia s da serpente. Fisso la luce rossa, perdendomi tra un pensiero e un altro, ma una voce dentro di me mi chiede di distogliere per un attimo lo sguardo dal semaforo e di voltarmi a destra ; sotto un albero, all'ombra, una ragazza sta leggendo un libro. Una scena comune, normalissima, eppure così insolita. Ciò che ho dinanzi agli occhi ricorda vagamente un quadro di Monet; mancano solo gli abiti vistosi e il cappello altrettanto vistoso. Sono rapito, completamente, tanto da non sentire neppure gli automobilisti dietro di me, i loro clacson e i loro insulti. E' verde, cavoli. Avanzo di qualche metro e accosto appena mi è possibile. Non so perchè ma voglio vedere quella ragazza da vicino. Spero solo non mi prenda per un maniaco stupratore; di questi tempi, poi. Silenziosamente mi avvicino all'albero, da dietro, cercando di non farmi notare troppo. Il telefonino inizia a squillare, ovviamente. Tra l'altro la suoneria del mio cartone animato preferito non passa certo inosservata, rumorosa com'è.
La ragazza si è voltata e mi sta fissando. Sono impietrito.
Cavoli, dì qualcosa idiota che non sei altro.
"Il cellulare" mi dice indicando la mia tasca.
"No, non è il mio." che razza di cretino sono? No, non è mio? Certe volte dovrei cucirmi la bocca o mordere un limone prima di dire certe stupidaggini.
Il telefono smette di squillare, finalmente. Lei continua a fissarmi senza dire nulla, facendo in modo che il mio imbarazzo cresca ogni secondo di più.
"Scusami, non volevo disturbarti... da lontano non vedo molto bene e credevo fossi una persona che conosco" che cazzata. Ma almeno mi sono deciso a parlare.
"Figurati. Mi spiace averti deluso." risponde gentilmente per poi tornare al suo libro.
Resto immobile a fissarla, non riesco ad andare via. Non capisco perchè ma sento di voler conoscere questa ragazza, c'è qualcosa che mi spinge incontrollabilmente verso di lei.
"Posso chiederti cosa leggi?" ovviamente è la domanda più banale per attaccar bottone con una persona.
"L'Alchimista. Lo conosci?" risponde sorridendo.
"Si, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai letto."
"Beh, dovresti farlo. Credo sia indicato al tuo attuale stato." sogghigna.
"Quale stato scusa?" non credevo di essere un persona così trasparente anche con gli estranei.
"I tuoi occhi. Te lo si legge negli occhi che stai soffrendo. Rossi, gonfi, semichiusi e spenti." chiude il libro, mettendo tra le pagine una foglia raccolta da terra e si volta verso di me.
"No, quello è perchè sono miope e non porto gli occhiali." fingo di sorridere.
"Dici? Sarà... in ogni caso ti consiglio di leggerlo." fa una piccola pausa e sospira. "Tu sei?"
"Io? Mi chiamo Samuel."
"Che bel nome."
"Beh, in realtà sarebbe Samuele, ma tutti hanno sempre eliminato la e finale."
"Io sono Serena, piacere Samuel, senza la e finale." ecco, il suo nome descrive perfettamente la sensazione che provo in questo momento. Dopo tanto tempo la serenità è riuscita a fare breccia nella coltre di fumo che mi circonda l'animo, silenzosamente, senza che io potessi accorgermene. Con la mano destra dà due colpetti sul terreno, accanto a lei, invitandomi a sederle accanto. Ovviamente non me lo lascio ripetere e sorridendole mi accomodo sul terreno secco e arido.
"Allora, Samuel. Cosa fai di bello nella vita?"
"Io?... nulla di che. Lavoro come commesso in un negozio di abbigliamento in centro e intanto cerco il lavoro della mia vita."
"Ah si? E cosa vorresti fare?" la sua voce è molto dolce, calda, suadente. Mentre mi pone le sue domande di routine piega la testa prima a destra e poi a sinistra, socchiudendo lievemente gli occhi per la troppa luce.
"Se te lo dico, prometti di non ridere?"
"E perchè dovrei ridere?" ride.
"Vorrei diventare scrittore. Scrivo molto, scrivo storie.. come dire... particolari."
"Ah si? Perchè particolari?"
"Perchè il mio modo di scrivere non è molto... canonico... amo descrivere emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d'animo... tralasciando tutto il resto. Per farlo mi avvalgo di personaggi un po' particolari, come angeli, creature sovrannaturali e piume, tante piume... Ma un tipo di scrittura così, il tipo di storie che scrivo non è molto commerciale, quindi non credo che riuscirò mai a sfondare davvero."
"Mi piacerebbe leggere un tuo libro... mi incuriosisce quello che hai detto. Descrivere emozioni, deve essere bello. E dimmi, la ragazza ce l'hai?"
Zoe. Oddio, che sto facendo qui? Per qualche attimo mi ero quasi... no, non posso dirlo, non posso essermi dimenticato di lei. Devo andare via. Devo andarmene subito. Non posso minimamente pensare di parlare con una ragazza, adesso. Io amo Zoe.
"Scusami Serena, devo andare." mi alzo di scatto, quasi mi avesse punto un insetto, quasi come se avessi preso una scossa elettrica sul fondoschiena.
"Ho detto qualcosa di male? Mi dispiace." si alza e mi prende per un braccio. "Davvero Samuel, mi dispiace tanto."
"No, non preoccuparti, non hai detto nulla. E' solo che si è fatto tardi e io devo andare a casa. La mia cagnetta starà per scoppiare... devo portarla a fare pipì..." è una scusa, vero, ma è anche una mezza verità. Hikari sarà in trepidante attesa, poverina. A meno che non mi abbia già inondato casa.
"Hai una cagnetta? Come si chiama?"
"Hikari, si chiama Hikari."
"Che nome carino. E' giapponese? Il nome, intendo."
"Si, giapponese. Significa Luce, più o meno."
"Luce... e come mai, questo nome? Se posso chiederlo ovviamente."
"Perchè... perchè quando è arrivata nella mia vita... intorno a me c'era solo buio. Solo buio. E io avevo bisogno di qualcosa che tornasse ad illuminare il mio mondo. Hikari è la mia stella." oddio, la vista mi si sta appannando. Non vorrò mica piangere adesso? Devo andare.
"Adesso vado... scusami ancora. Mi ha fatto piacere conoscerti."
Mi incammino verso la macchina, cercando di non voltarmi indietro. Sento il suo sguardo sulla schiena. Pesa come un macigno, rallenta i miei movimenti. Smettila di guardarmi, ti prego. No, non è il suo sguardo che pesa, è il senso di colpa. Mi sento in colpa. Mi sento un traditore, un meschino traditore. La sola idea di voler conoscere quella ragazza mi ha reso un traditore nei confronti di Zoe, nei confronti dell'amore che provo per lei.
"Samuel!!!" mi sta chiamando. Cosa vuole? Cosa vuoi?
"Samuel, aspetta." sento i suoi passi sull'erba. Sta correndo verso di me. Mi volto lentamente ed è piegata in due dall'affanno. Senza accorgermene mi sono allontanato tantissimo. Ed ora è dietro di me, come un ombra silenziosa è arrivata dietro di me. Come un ombra silenziosa ho permesso che potesse toccare la mia vita devastata. Oddio, forse sto correndo troppo. Come al solito sto melodrammaticizzando tutto. In fondo è solo una ragazza con cui ho scambiato due parole. Una bellissima ragazza, una dolcissima ragazza, una misteriosa e affascinante ombra silenziosa.
"Dimmi Serena."
"Vorrei conoscere il tuo cane. Ti scoccia?" cosa? vuol conoscere Hikari?
"no, assolutamente..."
"Dammi la mano." mi porge la sua.
"La mia mano? Perchè?"
"Dammela." allungo verso di lei la mia mano destra e la fisso con sospetto. Estrae una penna dalla sua borsetta firmata e scrive qualcosa sul palmo della mia mano.
"Mandami un messaggio, quando avrai voglia di farmi conoscere la tua cagnolina."
Sorride e scappa nella direzione opposta alla mia. Non mi lascia neppure il tempo di risponderle. Fisso la mia mano, fisso i numeri scritti sul mio palmo, a caratteri grandi, aggraziati... e un cuoricino al posto dello zero. Non posso fare a meno di sorridere.
Torno alla macchina fissando il numero di telefono, convinto che non invierò mai quel messaggio.
Non sono andato sotto casa sua, sotto casa nostra. Ho deciso di tornare subito a casa mia e di Hikari. Ho perso troppo tempo a chiaccherare con Serena e non potevo fare aspettare ancora la Bestia. Anche se avrei potuto farlo in tutta tranquillità, dato che come mi aspettavo la mia piccolina non è riuscita a trattenere i suoi bisogni. E' lì, accucciata in un angolino, con lo sguardo colpevole e le orecchie basse. Non riesce comunque a contenere la gioia di vedermi; sbatte lentamente la coda sul pavimento in attesa di un mio segnale positivo. Le sorrido.
"Scema... vieni qui." non se lo lascia ripetere una seconda volta e nella frazione di un istante è in braccio a me che mi lecca il viso. Fisso la piccola pozzanghera sul pavimento con aria rassegnata. Il mio pensiero vola verso Zoe, mentre osservo il riflesso del lampadario sullo specchio giallognolo di pipì. E poi, inaspettatamente, la mia mente si separa e lascia che una parte del mio pensiero ricrei l'immagine di quell'ombra silenziosa dinanzi a me. Un riflesso conosciuto e un ombra silenziosa.
Zoe e Serena.
"No, non se ne parla. Io amo Zoe." ripeto tra me e me. Hikari smette di leccarmi il viso e scende dalle mie braccia. Mi fissa, come se volesse entrarmi dentro, come se volesse comprendere i miei pensieri.
"Non preoccuparti, Bestia. Papà sta bene, è solo un po' pensieroso. Ha solo avuto un attimo di debolezza."
Abbassa le orecchie e la sua coda smette di muoversi.
Devo pulire il pavimento.
5 commenti:
sono onorato che il mio sia il primo commento dopo tanto tempo che aspettavamo con ansia il nuovo capitolo...E' DIVINOOOOOOO
finalmenteeeeeeeeeeee... non se ne poteva più di questa attesa. Che bello che è questo capitolo, davvero davvero bello... forse un po' sottotono rispetto agli altri però. E' il caldo Nico? Ti perdoniamo solo perchè fa davvero tanto caldo ovunque, però dai, scrivi subito un altro capitlo!!!
evvai si riparte...finite le ferie, si torna a lavorare e si ricomincia a leggere il tuo sogno che ti auguro un giorno diventi realtà.
Bello questo capitolo, ma ne vogliamo altri!!!!
E' così reale quello che scrivi che a volte mi viene da piangere a pensare al dolore di Samuel... ma si sapranno mai i motivi della rottura tra lui e Zoe?... forza, riempi le pagine dei nostri cuori!!!
Non ci sono parole... sei davvero bravo. Le cose che scrivi penetrano il cuore a fondo. Vorrei possedere il tuo stessp dono, perchè è proprio un dono il tuo.. grandissimo
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