venerdì 10 aprile 2009
Pubblicazione temporaneamente sospesa
Sono consapevole di essere un po' in ritardo con questo avviso, dato che l'ultimo capitolo pubblicato risale allo scorso gennaio.
Purtroppo, in questi ultimi mesi, la mia vita ha subito un brusco cambiamento, una tempesta che ha stravolto completamente i miei pensieri e la mia anima.
Conseguenza di questa tempesta, l'impossibilità per me di riuscire a creare dei nuovi capitoli della storia senza che i miei "problemi personali" potessero influenzare la storia e modificarne il senso più profondo.
La storia di Micael merita da parte mia la stessa attenzione profusa per quella di Uriel, ragion per cui, per il momento preferisco evitare di scrivere.
Non so se sarete ancora disposti a leggere la continuazione della storia, un giorno, nè se sarete tanto caparbi da controllare di tanto in tanto se il Nico che conoscete è tornto all'opera.
Se doveste farlo, un giorno non molto lontano potrete assistere alla mia rinascita e con essa la rinascita della storia di Micael.
Se non doveste frlo, vi ringrazio in ogni caso per la pazienza, l'affetto e l'apprezzamento dimostrato al mio lavoro e alle mie storie.
Un abbraccio immenso.
A presto, con il nuovo me stesso.
mercoledì 7 gennaio 2009
L'ottavo frammento - Frammenti di cuore, come spine nell'anima
lunedì 5 gennaio 2009
Il settimo frammento - Aria
Mano a mano che ci allontanavamo dalla piazzetta e ci avvicinavamo al centro del boschetto sentivo il vociare della gente diventare più ovattato, come se tutto intorno a noi fosse avvolto dalla bambagia; il venticello serale tra i rami degli alberi e una civetta logorroica prendevano il predominio nell'aria.Fissavo la sua schiena, persa nei miei pensieri su di lui, e notai il suo abbigliamento per la prima volta. Difatti, nei nostri precedenti incontri, non mi ero mai soffermata a osservare gli abiti che indossava, quasi non ci fossero. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta nera che gli aderiva sul torace. Null'altro. Sarebbe stato simile ad un'ombra, se non avesse avuto quel viso meraviglioso e quello sguardo penetrante.D'un tratto si fermò buscamente, senza lasciarmi il tempo di capire; mi ritrovai letteralmente sulla sua schiena col viso."Scusami, non mi ero resa conto che ti eri fermato." dissi gesticolando senza senso, quasi a voler giustificare un gesto imbarazzante."Non devi scusarti, Sophia. E' colpa mia, mi sono fermato troppo bruscamente." sorrise. Mi tranquillizzai subito.Mi guardai intorno e finalmente mi accorsi di quale meraviglioso spettacolo poteva essere il boschetto di aceri a quell'ora di sera.Riportai il mio sguardo su Micael e lo vidi immobile, con gli occhi chiusi; aveva le braccia allargate a mezz'aria e inspirava a pieni polmoni. Era una scena bellissima che aveva un quacosa di misterioso e magico. Guardando più attentamente notai intorno a lui una leggera sfocatura dell'immagine, quasi come se stessi guardando attraverso il fuoco."Respira, Sophia. Assapora con tutto il tuo essere." mi disse, senza aprire gli occhi.Continuavo a fissarlo, stupita dei suoi gesti e delle sue parole. Cos'era che avrei dovuto assaporare? Non mi azzardai a chiedergli però spiegazioni, non avrei mai voluto rovinargli quel momento che sembrava tanto importante.Povai a fare ciò che mi aveva detto e chiusi gli occhi a mia volta, allargando le braccia come se avessi voluto stringere a me una sequoia gigante. Dopo aver fatto piccoli respiri per preparare i miei polmoni all'abbuffata successiva, inspirai il più profondamente possibile.Nulla.Espirai il più possibile, cercando di non lasciare tracce d'aria nel mio corpo, ed inspirai di nuovo.Spalancai gli occhi per la meraviglia. Micael mi guardava, sorridendomi soddisfatto."Allora, Sophia, cosa senti?" chiese curioso, anche se sapevo perfettamente che era già a conoscenza della risposta che gli avrei dato."Aria... per la prima volta in vita mia riesco a sentirla davvero." risposi."E dimmi, Sophia, com'è?" chiese.Non riuscivo a trovare le parole per descrivere ciò che sentivo, era una cosa completamente nuova, completamente sconosciuta. Ed era assurdo, era davvero una cosa assurda. Come poteva essere possibile? In fondo, in quel boschetto ci ero stata svariate volte e non avevo mai provato quello che stavo vivendo in quel momento."Non so spiegarmelo... non riesco a capire. Non mi ero mi resa conto di quanto l'aria potesse essere... vitale." chiusi gli occhi e inspirai di nuovo, più profondamente di poco prima. "E' come se fosse viva, dentro di me. Pervade ogni angolo del mio corpo, quasi non passasse dai polmoni. E? bellissimo." quella sensazione era meravigliosa.
"E ti piace, Sophia?" mi guardava con compiacimento e soddisfazione, quasi mi avesse spalancato le porte per un nuovo mondo a me fino ad allora sconosciuto.
"Si" risposi, senza aggiungere altro. Continuavo a fissarlo negli occhi, perdendomi dentro di loro, cullata da quell'aria così magica che prima di allora non avevo mai respirato.
Lui sedette a terra e iniziò ad accarezzare il suolo, dolcemente, come se volesse trasmettergli una quantità immensa di amore. Lentamente, continuando a respirare profondamente, mi avvicinai a lui e indicai il suolo accanto a lui. Mi sorrise, acconsentendo alla mia muta richiesta. Trattenni il vestito e mi accomodai accanto a lui, silenziosamente,senza mai staccare gli occhi dal suo viso.
I rumori della notte erano un dolcissimo sottofondo musicale, per quel momento. Il vento, leggero, parlava agli alberi soffiando tra i loro rami.
"Allora, Sophia, cosa vuoi sapere?" mi chiese d'un tratto, prendendomi alla sprovvista.
"Come fai a sapere che ho delle domande da porti?" risposi, cercando di prendere tempo.
"Chiunque ne avrebbe, Sophia. Quello che sta succedendo tra noi è strano, inaspettato anche per me, quindi presumo che chiunque al tuo posto avrebbe domande da porre allo sconosciuto di cui si è innamorata." sorrise. Mi sciolsi, letteralmente.
"E tu, Micael? Non hai domande da pormi?"
"Quello che conosco mi basta." rispose, secco ma dolce.
"Allora basta anche a me."
"No, non ti basta. O almeno, non basterà a coloro che ti porranno delle domande su di me nell'immediato futuro. Quindi, chiedi pure. Risponderò a tutto ciò che mi chiederai."
In effetti, quello che mi diceva aveva un senso. Anche quella stessa sera non ero riuscita a rispondere alle domande di Marie, che figura avrei fatto agli occhi di mio padre se fosse stato lui a pormi delle domande su Micael.
Ovviamente non mi preoccupavo di mia madre, lei non mi avrebbe mai fatto delle domande su di lui, per nessuna ragione al mondo si sarebbe interessata alla mia vita sentimentale.
"Bene, mi hai convinta. Allora, vediamo... dove vivi?"
Mi guardò sospettosamente, prima di rispondere. "Diciamo che mi sposto molto, non amo fermarmi a lungo nello stesso luogo."
"Vuoi dire che un giorno o l'altro potresti andar via anche da qui?" chiesi timorosamente.
"Voglio dire che, come già ti ho detto tempo fa, io sono ovunque. Non ho bisogno di un luogo preciso in cui stare."
"Stai eludendo la mia domanda, Micael."
"In che senso?""Scusa, ma una casa dovrai pure averla, no?" incalzai.
"Per il momento vivo da Gabriel. In futuro, chissà."
"E dove vive Gabriel?" continuai.
"Fuori paese. Ha una piccola villetta vicino al fiume." rispose convinto.
La risposta fu sufficiente per poter passare alla domanda successiva, ma non ci fu bisogno di chiedere nulla, poichè fu lui stesso ad un tratto ad iniziare a parlare.
"Se la prossima domanda è relativa al mio lavoro, diciamo che aiuto gli altri."
"Sei un medico?" in che altro senso poteva aiutrare gli altri, se non curando le persone.
"Non curo mali fisici." disse. Alzò una mano e indicò prima il mio cuore e poi la mia fronte. "Io dono sollievo qui e qui."
Era vero. Quello che diceva era vero. Lo aveva fatto anche con me, quella mattina in piazza. Inoltre, ogni volta che ero con lui mi sentivo bene, serena, tranquilla, come se nulla al mondo potesse scalfire la mia persona.
"Come mai sei interessato a me?" chiesi, prendendolo visibilmente alla sprovvista.
"PErchè mi poni questa domanda?"
"Perchè non riesco a credere che uno come te possa essere interessato a me. Tutto qui."
"Sophia, io non sono interessato a te. Io sono innamorato di te." inspirò profondamente. "Sai, io non ho mai avuto modo di innamorarmi di nessuno. A dir la verità, non ho mai potuto permettere al mio cuore di battere per una sola persona. Eppure..."
"Eppure?" chiesi ansiosa di conoscere il resto della risposta. Lui si alzò in piedi e si avvicinò ad un albero poco distante, alzando lo sguardo verso il cielo attraverso i rami.
"Eppure tu mi hai rapito. Forse non dovrei dirtelo, anzi sicuramente non dovrei farlo, ma... ti ho osservata a lungo, prima di presentarmi a te quel giorno nella radura. La prima volta che ti vidi eri assorta nei tuoi pensieri, mentre passeggiavi in paese. Mi colpì il modo in cui, pur essendo completamente persa nel tuo modo, sorridevi ai passanti, accarezzavi gli animali, osservavi la natura che ti circondava. Non avrei mai voluto seguirti, ma inconsapevolmente mi ritrovai a passeggiare silenziosamente dietro di te. Poi, d'un tratto, una voce nella mia mente ha esclamato - è lei - e da allora non ho fatto altro che osservare ogni tuo giorno con discrezione. Non avrei mai dovuto permettermi di rivolgerti la parola, quel giorno, ma ormai non si torna indietro." sospirò.
Il suo racconto mi aveva rapita completamente, mentre parlava, mentre descriveva quelle immagini, vedevo il suo racconto scorrere davanti ai miei occhi come delle fotografie.
"Sei arrabbiata, Sophia?" chiese preoccupato. Era affascinante il modo in cui le sue emozioni dipingessero con chiarezza il suo volto. Era come se per lui fosse impossibile mascherare i propri sentimenti.
"No, nella maniera più assoluta. Solo che continuo a non capire cosa di me ti possa interessare."
"Mettiamola così, Sophia. E' il destino. A quello nessuno può sfuggire, non credi?" sorrise. E di nuovo, mi sciolsi.
"Va bene, mettiamola così." risposi, anche se qualcosa in quel momento mi disse che la risposta mi era stata sottratta con una dolcissima forza.
Lui si riavvicinò a me e riprese il suo posto a terra, delicatamente. Altrettanto delicatamente chinò il capo di lato e lo avvicinò alla mia spalla. Sollevando gli occhi mi chiese il permesso di poter poggiare su di essa la testa e sorridendo acconsentii.
Da quella distanza sentivo chiaramente il suo respiro. Lento. Regolare. Sembrava un canto silenzioso dal quale mi lasciai cullare, chiudendo gli occhi.
"E' la prima volta, dacchè ho memoria, che provo sensazioni così forti Sophia." sussurrò.
"E ti spaventa?" chiesi, diretta.
"No. Non mi spaventa. Ma so che non dovrei lasciare che queste prendano possesso di me." il modo in cui pronunciò quelle parole mi mise in guardia.
"Perchè?"
"Questo, purtroppo, non posso dirtelo." tacqui. Se non poteva farlo, non volevo metterlo in condizione di doverlo fare. Quindi decisi di fingere che l'ultima parte della nostra conversazione non avesse mai avuto luogo. Non volevo che dei segreti rovinassero la storia che stava per nascere, ma non volevo metterlo in difficoltà. Qundi fingere era un compromesso decisamente conveniente. Ma lui continuò.
"A volte, il destino, gioca brutti scherzi. Non credi?" perchè continuava a fare il misterioso? A quel punto pensai che volesse essere spronato a parlare, ma decisi di mantenere la linea che mi ero prefissata di seguire, quindi non risposi. Ancora con gli occhi chiusi, sentii la sua testa che si sollevava dalla mia spalla. Mi voltai e vidi che mi stava osservando.
Una forza invisibile mi spinse a fare ciò che mai mi sarei aspettata da me stessa.
Sollevai la mano destra e gli accarezzai il viso, morbido, liscio, caldissimo. Avvicinai il mio viso al suo, lentamente, temendo una sua reazione. Inumidii le mie labbra con la lingua e poi le socchiusi, pronta ad accogliere le sue sul mio viso. Chiusi gli occhi e feci l'ultimo passo, portando la mano dietro la sua nuca e spingendolo dolcemente verso di me. Lui lasciò che lo facessi. Sentii il suo respiro sul mio viso. Sentii la sua mano che prese posto dietro la mia nuca, scostando i capelli. Sentii l'aria intorno a noi che si levò forte, d'un tratto, tramutandosi in una raffica di vento. Sentii le sue labbra che sfioravano le mie, con dolcezza. Sentii il suo bacio che iniziò a pervadere il mio corpo, come una scarica elettrica.
E vidi.
mercoledì 31 dicembre 2008
Auguri di un felicissimo 2009
Purtroppo, il mese di dicembre è stato per me carico di impegni improrogabili a cui ho dovuto necessariamente dare la priorità.
Dal mese di gennai, dopo le festività, a cadenza settimanale posterò un nuovo frammento della storia con regolarità.
Approfitto inoltre, tramite questo post, per augurare a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto un felicissimo 2009.
Nico
lunedì 1 dicembre 2008
Il sesto frammento - Un cuore privo di qualsiasi barriera
Ogni anno, nel mio piccolo paese natale, si festeggiava l'arrivo della primavera. Quell'anno la festa era in ritardo, dato che la stagione dei fiori era arrivata con largo anticipo. Nella piazza della chiesa, vero centro nevralgico della vita paesana, venivano allestite bancarelle di ogni genere; dagli alimenti alle cianfrusaglie, dai gioielli ai giocattoli per bambini. Banchetti, a ridosso di camioncini, pieni di arachidi e nocciole tostate riempivano l'aria di un profumo che ben poco aveva a che fare con la primavera. Avevo sempre legato quei profumi all'inverno, profumi caldi e suadenti che intiepidiscono il cuore nelle fredde giornate di pioggia e neve. Eppure, anche quell'anno i camioncini erano lì, a ricordare a tutti che la festa della primavera aveva avuto inizio.Ricordo ancora che fin da bambina i miei genitori mi permettevano di andare, senza di loro, fino alla piazzetta per comperare bustoni interi di caramelle e mais tostato. Mio padre non amava molto i posti affollati e mia madre non mi avrebbe accompagnata per nessuna ragione al mondo, ma fortunatamente non mi avevano mai precluso la possibilità di gioire dei festeggiamenti.
La mia più cara amica di quel periodo, Marie, quella sera mi aspettava al solito posto per recarci insieme a fare un giro tra le bancarelle e chiaccherare in tutta tranquillità, magari sgranocchiando qualche snack o dello zucchero filato, che io adoravo. Il solito posto era il negozio del signor Pablo, quella sera aperto fino a tardi come tutte le altre attività presenti intorno la piazza.Quando la vidi mi sbracciai per farle notare la mia presenza tra la folla; mi sorrise e ricambiò iniziando a sbracciarsi a sua volta. Mi corse incontro e si gettò addosso a me, in cerca di un abbraccio.
"Scusa il ritardo, Marie, non mi ero resa conto dell'orario."
"Figurati, sono arrivata da pochissimo. Allora, cosa facciamo?" mi chiese, ansiosa di iniziare a girovagare tra le bancarelle.
"Beh, direi che la prima tappa obbligata è quella dello zucchero filato." risposi senza pensarci troppo.
"Hai vent'anni, non puoi più mangiare lo zucchero filato." rise lei.
"Ma taci, sei la prima a non veder l'ora di mangiarlo." la rimproverai scherzosamente.
"Si, è vero. Andiamo allora." disse, prendendomi la mano e trascinandomi al centro della muraglia umana che si era creata tra le bancarelle. Mi stupivo ogni anno di quanta gente era in grado di attrarre quella festa. Zucchero filato tra le mani, ci sedemmo su un muretto lontane dalla folla per poter chiaccherare senza dover urlare per poterci sentire.
venerdì 28 novembre 2008
Il quinto frammento - Sguardi che angosciano e il desiderio dell'incontro
"Buongiorno Sophia" esclamò il signor Pablo.
"Oh, buongiorno a lei... scusi la foga con cui sono entrata." risposi. Effettivamente ero entrata nel negozio con la grazia di un elefante.
"Non devi scusarti. Dimmi, cosa ti porta qui oggi?" chiese gentilmente.
"Io... avevo bisogno di alcune cose." balbettai. Non era l'imbarazzo a impedirmi di parlare ma l'ansia che quella dannata colomba mi stava mettendo addosso.
"Vediamo... cosa ti serve? aspetta aspetta, provo ad indovinare. Hai bisogno del ciano e del rosso carminio, vero?" domandò sogghignando.
"Sono così prevedibile?" risposi sorridendo cortesemente.
"No, assolutmente. Sono io che posso leggere nel pensiero!" rispose ridendo, mentre si recava nel retrobottega a prendere ciò che volevo.
In attesa del suo ritorno, mi avvicinai alla vetrina del negozio e buttai lo sguardo al rosone, per controllare. La colomba era sparita e la cosa mi rassicurò non poco.
Non era l'uccello in sè ad angosciarmi ma il modo in cui mi fissava. Quei suoi piccoli occhi immobili e fissi su di me. In fondo ero perfettamente in grado di capire che un uccello non avrebbe mai potuto farmi del male.
Poco dopo, il signor Pablo tornò con i miei colori e un pennello, che io non gi avevo chiesto.
"Questo è un piccolo omaggio per te, Sophia. Sentirai che piacere srà utilizzarlo. Le sue setole sono morbidissime ma tenaci." Mi piaceva ascoltarlo parlare. Non aveva perduto affatto il suo accento spagnolo, e adoravo quella cadenza.
"La ringrazio, signor Pablo. E' dvvero molto gentile." ringraziai con gentilezza e riconoscenza per il dono che mi aveva fatto e dopo aver pagato mi apprestai ad uscire per tornare a casa.
Una volta fuori dal negozio mi incamminai con passo lento, con il mio sacchetto tra le mani. Giravo il mio sguardo continuamente, prima a destra poi a sinistra; non stavo controllando però se a colomba fosse ancora lì a fissarmi. No, il mio pensiero in quel momento era diventato un altro. Speravo di vederlo. Pregavo di incontrarlo di nuovo. Non ne conoscevo il motivo, sapevo solo che provavo un irrefrenabile desiderio di parlare ancora un po' con lui. Micael. Il suo nome era diventato il sottofondo musicale della mia anima e la cosa non mi dispiaceva. Tutt'altro.
Oramai ero quasi arrivata a casa e di lui, neanche l'ombra. Purtroppo capii che dovevo rassegnarmi all'idea di non incontrarlo.
Quando stavo per accingermi ad infilare la chiave di casa nella serratura una folata di vento fortissimo mi scompose i capelli e i vestiti. Non sapevo perchè, ma sentii di dovermi voltare. Non lo feci subito, però. Attesi quel tanto che bastava per udire una voce familiare e desiderata alle mie spalle.
"Perdonami se ti ho fatta aspettare, Sophia."
Lui era lì, dietro di me.
Mentre mi voltavo, lasciai che una parte dei miei capelli cadesse davanti al mio viso, quasi per schermare il mio imbarazzo e la mia gioia dal suo sguardo.
"Perchè ti scusi? Non avevamo un appuntamento." risposi.
"Non mi stavi aspettando?" chiese garbatamente, con un piccolo ghigno abbozzato sul volto.
Dopo un attimo di esitazione risposi "si", malcelando tutto l'imbarazzo che stavo provando per quella risposta.
"Non sentirti imbarazzata, Sophia. Anche io desideravo incontrarti di nuovo."
venerdì 21 novembre 2008
Il quarto frammento - Con gli occhi fissi sull'anima
I rintocchi della campana della chiesa spezzarono bruscamente quel momento e la quiete di quei piccioni e quelle colombe che, spaventati, si levarono in volo tutti insieme in un rumorosissimo frullio d'ali. Soltanto una colomba, bianchissima, rimase immobile al centro della piazza, quasi volesse approfittare del momento di solitudine per accaparrarsi più briciole possibile. Ma invece di farlo, iniziò a fissarci con quei suoi piccoli occhietti neri.
Micael fissava me, la colomba fissava entrambi, in un scena che aveva assunto dei connotati quasi comici. Sorrisi.
Però, più passava il tempo, più iniziavo a provare una frustrante sensazione d'angoscia. Entrambi quegli sguardi iniziavano a farsi pesanti, sul mio corpo.
Mi levai in piedi e cercai di dire qualcosa per togliermi da quella stranissima situazione.
"Micael, c'è una colombella che ci stà fissando."
"Lasciala perdere, continua a guardar me." rispose lui, senza accennare nessuna espressione all'infuori di quella che aveva assunto da quando aveva iniziato a guardarmi.
"Ma... mi sento un po' in imbarazzo." dissi. La colomba iniziò a saltellare verso di noi e il suo incedere si faceva sempre più svelto. Micael si voltò è fece cenno di fermarsi con la mano al piccolo uccello bianco.
La colomba si fermò all'istante e lì rimase a fissarlo negli occhi. Sembrava quasi stessero comunicando in qualche modo e vederli entrambi così intenti in quel fare mi affascinava.
Micael si voltò di nuovo verso di me e mi sorrise. La colomba spiegò le ali e si alzò in volo per poi sparire dietro la chiesa.
"Beh, era affascinata dagli esseri umani, direi." dissi scostando i miei occhi dalla morsa dei suoi.
"Diciamo di si." rispose. "Perchè mai distogli lo sguardo, Sophia? Hai paura di me?"
"No, assolutamente. Dovrei averne?" chiesi.
"Non lo so. Io non sono te."
"E tu? Avresti paura di te stesso?"
"A volte si, altre volte no."
"Beh, come tutti gli esseri umani, direi."
"Perchè, Sophia? Tu hai paura di te stessa?" mi chiese dolcemente, con fare quasi infantile. Sembrava un bimbo curioso che pone milioni di domande ai genitori, anche se le domande in questione erano leggermente più serie di quelle di qualcuno che non sa ancora niente della vita. Eppure il modo di porle era identico. Sembrava gli interessasse conoscere qualcosa di cui non possedeva memoria alcuna.
"A volte si, altre volte no" risposi sorridendo. Tornai a sedere sulla panchina dalla quale mi ero alzata e lui mi seguì. Nel sedersi posò la sua mano sulla mia e sentii nuovamente quella fortissima sensazione di benessere che avevo provato la prima volta che mi aveva toccata.
"Perchè a volte hai paura di te stessa, Sophia?" incalzò.
"Più che provare paura per me stessa, la provo per le sensazioni che a volte mi rendo conto di vivere e sentire." le parole iniziarono ad uscire da sole dalla mia bocca, non riuscivo a porvi freno.
"Provi sensazioni sbagliate?" continuò a chiedere.
"Si."
"E quali sono queste sensazioni che non dovresti provare?"
"Odio, rabbia, frustrazione." continuavo a rispondere alle sue domande senza rendermene conto.
"Ma queste sono emozioni umane. E' normale provarle, Sophia."
"Non è normale se l'oggetto di queste è colei che ti ha dato la vita." iniziai a piangere come una bambina. Tutto ciò che avevo accumulato in quelle poche ore del mattino stava fuoriuscendo dal mio corpo, sotto forma di parole e lacrime. E anche se il tutto avveniva senza che io lo volessi non riuscivo a meravigliarmene.
"Tu non ne hai colpa, Sophia. La tua è una reazione e come tale non è possibile biasimarla o condannarla. Cosa vorresti da lei?" mi chiese.
"Io... io vorrei solo essere amata."
"E credi che lei non ti ami?"
"Non lo credo, ne sono certa."
"Chi ti dà questa certezza? Puoi avere una certezza su tante cose. Sull'immensità del cielo, sulla freschezza della pioggia che scroscia sul prato, sulla profondità dell'oceano o sul cinguettio di un uccello. Ma sui sentimenti altrui, Sophia, non puoi permetterti di avere certezza, perchè questa non la possiede nemmeno chi li prova, quei sentimenti."
"Stai dicendo che lei non mi odia?"
"Sto dicendo soltanto che non puoi avere la presunzione di scovare nel baule del cuore altrui sentimenti e sensazioni. L'intensità di queste, la loro natura, la loro forza la conosce soltanto il legittimo proprietario." rispose pacatamente.
Aveva ragione, ma non riuscivo ad accettarlo.
"Proprietrio. Ne parli come se fossero delle cose tangibili."
"Perchè lo sono. Quelle che stanno scendendo dai tuoi occhi, adesso, cosa sono?"
"Lacrime."
"Non sono solo lacrime. In questo momento sono la forma tangibile del tuo dolore." rispose. E sorrise. Quel sorriso mi sciolse il cuore più delle parole che mi aveva rivolto.
Guardai la luce dei primi raggi del sole illuminare i suoi bellissimi capelli. Notai i riflessi argentati che questi avvano e me ne innamorai, più di quanto non fossi già innamorata di quel misterioso individuo.
"Toglimi una curiosità. Cosa ci fai in un posto simile all'alba?"
"Sono qui per questo." rispose, lasciando che una lacrima rimasta sul mio viso scivolasse sulle sue dita. La portò vicino le labbra e la leccò delicatamente.
La sua risposta non mi stupì, ma il suo gesto si. La dolcezza con cui lasciò che una frammentaria parte del mio essere si posasse sulle sue dita e poi sulle sue labbra mi avvolse il cuore e la mente.
"Il quadro. Quando lo terminerai?" mi chiese.
"Presto." risposi di getto.
"Bene. Non vedo l'ora di vederlo."
Il primo sole del mattino aveva portato con sè le prime anziane signore che iniziarono ad affollare la piazzetta in attesa dell'inizio della messa. Alzando lo sguardo verso il rosone della chiesa notaai ancora quella bianca e strana colomba che continuava a fissarci imperterrita e imperscrutabile.
Anche Micael se ne accorse e subito dopo si congedò con garbo.
"Io devo andare, Sophia."
"Anche io devo tornare a casa. Spero... no, nulla." non riuscii a terminare la frase.
"Anche io spero di rivederti presto." disse lui, incamminandosi verso il vialetto che conduceva dietro la chiesa.
Attesi che la sua sagoma sparisse dietro l'angolo per incamminarmi a mia volta. Alzai nuovamente lo sguardo verso il rosone e notai che anche la colomba era andata via.
Mentre avanzavo verso la strada principale, una forte raffica di vento si alzò, scuotendo tutto ciò che c'era intorno, il mio intero essere compreso.
...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...
