giovedì 9 luglio 2009

Il secondo sole - Brace ardente

Continuo ad accarezzarle i capelli, quei morbidi e setosi capelli che amo smodatamente. Ogni tanto ha un piccolo sussulto e farfuglia parole senza senso. Poi sorride. Poi stringe i pugni come un neonato tra le braccia della madre.
Hikari esce dal suo nascondiglio, sotto il letto, e mi porta uno dei suoi giocattoli preferiti guardandomi dritto negli occhi con la sua classica espressione tenera e cucciolosa. Vuol giocare. Mi lascio convincere senza sforzo, tanto a quento pare questa notte non riuscirò a dormire. Bacio delicatamente Zoe sul capo, assaporando il profumo dei suoi capelli, e prendo l'osso rosa e peloso della "bestia" dirigendomi in sala. Non posso certo rischiare di svegliare la mia bimba, domattina deve lavorare ed è meglio lasciarla riposare tranquilla.
Hikari mi segue scodinzolando e saltellando come un grillo per tutta la casa, fortunatmente, molto silenziosamente. Mi sento bene, mi sento felice, mi sento stranamente vivo stanotte. L'orologio segna le 2.22. Credevo fosse più tardi.
"Le 2.22. E io gioco col cane." bisbiglio mentre Hikari cerca di strapparmi l'osso peloso dalle mani. Mi siedo sul pavimento per star più comodo. Errore madornale. Mai dimenticare la regola fondamentale quando si gioca con il mio cane: evitare che la tua faccia sia all'altezza delle sue zampe. Lei non controlla l'euforia, piccola cagnetta esagitata, e puntualmente una sua zampa arriva a colpire ora la guancia, ora il naso, ora la bocca e a volte anche gli occhi. E così è anche questa volta. Una sua zampa arriva a colpirmi direttamente l'occhio sinistro. Come se già non fossi abbastanza miope. Mi alzo e vado a controllare in bagno che almeno la pupilla sia rimasta al suo posto. Fisso la mia immagine allo specchio e dietro di me scorgo la sagoma di Zoe.
"Perchè non vieni a dormire?" mi dice, mentre mi cinge la vita.
"Hikari non ha sonno e vuole giocare. E come al solito mi ha fatto male." la sua mano scivola veloce e delicata sul mio viso e accarezzandone la pelle allevia il dolore causato dalla zampata.
"Andiamo a letto. E' tardi." mi bacia la palpebra dell'occhio sinistro e mi dà uno schiaffetto sul fondoschiena, poi torna a dormire.
"Hai sentito Bestia? A dormire, di volata!" è bello constatare che almeno il tuo cane ha paura di te quando fai la voce grossa. Nella mia vita l'unica persona ad aver paura di me sono sempre stato io.
Torno a letto, preceduto da Hikari e dal suo osso rosa peloso. Lei è lì, accoccolata nel suo angolino che è già tornata tra le braccia di Morfeo, l'unico uomo di cui non sono geloso. Anche io adoro stare tra le sue braccia. Un bacio sulle labbra strette in un sorriso di Zoe e chiudo gli occhi.

Mi sveglio di soprassalto. Il suono incessante del telefono mi ha richiamato tra i vivi, brutalmente.
"Pronto?... no, non preoccuparti, ero già sveglio da un pezzo" bugiardo. Sono un bugiardo. Stavo dormendo della grossa, con Zoe accanto e il cane ancora stordito sotto il letto. Almeno loro non li hai svegliati, a quanto pare. "Certo, certo. Dammi solo il tempo di finire una cosa e sono subito da te." Si, finire una cosa. Svegliarmi completamente, lavarrmi e vestirmi.
Poso il telefonino sul comodino e stropiccio gli occhi con le mani ancora intorpidite dal sonno. Mi siedi sul letto in attesa che il mio corpo risponda perfettamente ai comandi che il cervello impartisce.
Vado in bagno, guardo lo specchio e ovviamente penso che vorrei solo tornare a letto, accanto alla persona che amo.
Decido di farlo, soli altri cinque minuti. Torno in camera da letto e mi fermo sulla soglia. Il letto vuoto. Lei non c'è. In quel letto non tornerà più. Perchè così ha scelto. E' stato solo un sogno, ovviamente. Un sogno merviglioso. Un sogno realistico. Un sogno desiderato.
Tutto è cambiato. Tutto cambia. Tutto brucia. In pochi attimi, in poche parole, in un solo respiro la mia vita è cambiata. Di ciò che è stato resta solo cenere, cenere che il vento non può portare via, cenere che alcuni chiamano ricordi, cenere che altri chiamano rimorsi, che altri ancora chiamano rancore. Cenere che per la maggior parte degli individui diventa monito, ammonimento, simulacro di un amore idealizzato e utopico.
Di quella brace ardente resta solo un cumulo di cenere che non si può riaccendere. Che non deve essere riaccesa.
Promesse infrante, sogni offuscati dal fumo di un fuoco che si è spento, tutti i per sempre cancellati con un colpo di dubbi e domande inutili.
E allora siedi accanto a quelle ceneri e con la mano ne sollevi un mucchietto. Fissi la tua mano per lunghi attimi, per interminabili battiti di cuore, quasi nella speranza che il tuo solo sguardo possa ridar vigore a quel mucchietto di polvere grigia.
Poi, senza rendertene conto,inconsciamente, lasci che la polvere ti scivoli dalla mano e resti a guardare senza potere o volere fare nulla.
Hai desiderato di essere migliore, hai desiderato sentirti poco più di uno zero, hai desiderato di riparare agli errori commessi in virtù e in funzione di un sogno d'amore in cui tu eri l'unico a credere. Tutto mentre quella cenere cade via dalla tua mano.
Poi capisci. Capisci che forse non ne vale la pena. Capisci che forse eri l'unico a credere davvero. Capisci che forse ciò che ti veniva detto, che ti veniva mostrato, che ti veniva donato come amore era solo parvenza di questo, mera illusione, soltanto bisogno di amare. Perchè Amore, quello vero, quello assoluto, quello immenso, quello raro, quello in cui tu hai sempre creduto, quello che tu hai provato e che ancora provi mentre fissi quel mucchietto di cenere, non finisce. Non si spegne. Può solo crescere.
Se non lo fa, se si spegne, non era ciò che credevi. Era solo bisogno di questo.
E allora ti alzi in piedi, torni in bagno e ti riguardi allo specchio. Una nuova giornata deve iniziare. Una nuova vita deve continuare.
Ringrazi per ciò che ti è stato dato e per ciò che hai vissuto.
Conserverai quell'Amore nel cuore con la consapevolezza che è vero, che è sempre stato vero, che sarà sempre vero. Quel che si è spento non ti apparteneva, quel che si è spento non era tuo. Perchè ciò che è tuo continua a bruciare dentro, a divampare nell'anima e nel cuore. A volte fa male, altre volte ti spinge ad andare avanti, altre volte ancora ti blocca in ginocchio. Quel che è tuo continua ad essere BRACE ARDENTE, sempre, comunque, dovunque.

O forse è questo il sogno. Forse sto sognando adesso e in realtà lei è andata a lavoro. Si, deve essere così. Perchè stanotte abbiamo fatto l'amore. Stanotte quella brace ha bruciato con violenza, con foga, con passione. E allora cosa devo fare?

Decido di vivere questo sogno, sperando che mi conduca da lei di nuovo. Chiamo Hikari per la passeggiata mattutina, ma lei non vuol saperne di uscir da sotto il letto.
"Tesoro, se non andiamo ora ti toccherà trattenerla fino a quando non ritorno a casa" o fino a quando non mi sarò svegliato, penso. Nulla, non vuole uscire. Beh, mi spiace ma non posso aspettare. Mi hanno cercato. Vado a espletare i miei doveri da amico, anche nel sogno. Ma se questa invece fosse la realtà? Oddio, sto impazzendo. Dovrei cercare prove tangibili del reale, ma ne ho pauraa. Perchè vorrebbe dire che allora, il sogno è stato quello di stanotte.

Lo specchio. Si, lo specchio. Stanotte Hikari mi ha colpito l'occhio, mentre giocavamo. Corro in bagno e fisso la mia immagine. Nulla. Non c'è nulla. Mi rassegno all'idea. Meglio uscire, Ivan mi sta aspettando al bar.

martedì 23 giugno 2009

La prima luna - Sopito

La giornata è trascorsa lenta, oggi. Troppo lenta. Interminabile, estenuante, monotona, monocromatica, vuota. Ci son stati momenti in cui avrei voluto legarmi un cappio al collo e farla finita.
Per fortuna, o per sfortuna dipende dall'angolazione con cui si osserva la faccenda, sono a casa adesso, anche se come al solito, giunto a questo punto della giornata, non so proprio cosa fare.
Potrei chiamare Ivan e Gabry. No, meglio di no, mi hanno sopportato già troppo in questo periodo e preferisco lasciarli liberi di godersi l'intimità di coppia. Già, l'intimità di coppia. Una delle cose che più mi manca di noi, Zoe.
Tornare a casa la sera, infilare la chiave nella serratura e non fare in tempo a girarla che tu avevi già aperto la porta con il tuo merviglioso sorriso stampato sul viso. Oppure con l'espressione crucciata, quella forzatamente infantile e dolce, perchè avevi appena combinato un guaio. Magari in cucina. O magari al computer e non sapevi cosa fare per sistemare la cosa. O magari semplicemente perchè per tutto il pomeriggio non eravamo riusciti a sentirci.
Abbracciarti forte, salutare la piccola Prue e chiederti i miei canonici 10 minuti di solitudine chiuso in bagno. Minuti che tu, ovviamente, non rispettavi mai; dopo nemmeno due minuti eri lì, dietro la porta a grattare come un gatto dispettoso e ansioso di ricevere la sua dose di coccole.
Oh Zoe, quanto mi mancano queste piccolezze, questi attimi di infinita dolcezza.
Ovviamente adesso c'è Hikari qui con me ma, anche se la sua esagitata espressione di affetto mi riempie il cuore e i rientri a casa, non è la stessa cosa.
Eccola che mi guarda incuriosita mentre mi faccio la doccia, mi osserva, mi scruta, presta attenzione ad ogni mio più piccolo movimento dalla sua postazione, proprio sotto il lavabo. Aspetta paziente che le dia da mangiare e stasera è stranamente troppo paziente. Di solito corre per tutta casa disperata, scodinzolando e abbaiando, mentre adesso è insolitamente tranquilla. Chissà, magari ha capito che con il suo modo di fare a volte mi urta non poco.
Esco dalla doccia e mi avvolgo nel morbido accappatoio rosso che lei mi regalò qualche Natale fa e inizio a fissare la mia immagine allo specchio. Le gocce d'acqua scivolano lentamente sul mio viso. Guardo più attentamente. Lacrime.
"No, di nuovo... " ultimamente piango spesso senza rendermene conto. Senza una causa scatenante, senza alcun motivo. Le lacrime scendon giù da sole, come se nulla fosse. Apro il rubinetto e mi lavo la faccia, con foga, con rabbia. Via, via, queste lacrime non le voglio più. Sono stanco di versarle. Ogni lacrima lascia sul vio viso un solco incancellabile. Non è sabbia, il vento non rimetterà tutto a posto, è carne. Il mio viso è carne. E questi solchi fanno male.

Mentre preparo la cena Hikari mantiene ancora una compostezza e una tranquillità a lei di norma sconosciute. Meglio così, riuscirò a dormire un po' meglio stanotte.
Un piatto di pasta, un bicchierino di Sambuca per digerire meglio e conciliare il sonno e passeggiata pre-dormita con la cagnolina stranamente docile e mansueta.
"Cos'hai stasera? non stai bene? Inizio un po' a preoccuparmi... domani se stai ancora così, andiamo di corsa dal veterinario." le dico mentre è intenta ad annusare ogni angolo del vialetto. Ormai le parlo come se fosse una figlia. Se qualcuno mi sentisse mentre lo faccio mi prenderebbe per pazzo.
Entriamo nell'area di sgambo del parco vicino casa, dove a quest'ora non c'è mai nessuno, e la lascio libera di scorazzare dove e come vuole. Un fulmine sull'erba. Corre, salta, si blocca e drizza le orecchie, poi riparte, scatta a destra, a sinistra. Vederla così vitale è una gioia immensa e mi tranquillizza molto. Forse è così mansueta senza una ragione particolare. O forse perchè la mia reazione di stamattina alle parole della vicina l'hanno spaventata. Ah, già, che stupido. Qullo era un sogno. Soltanto un sogno, purtroppo. Eppure era così reale, così tangibile, così... desiderato.
"Ehy, bestia, torniamo a casa." le urlo dolcemente. Bestia. La chiamo così, affettuosamente.
Alle mie parole si ferma di colpo e inizia a fissarmi. La esorto.
"Hikari, dai, è tardi. 'ndiamo!" parte a razzo, verso di me. Una scheggia nell'aria. Le metto il guinzaglio e le dò un leggero strattone. Si torna a casa.

Arrivati a destinazione Hikari corre subito verso le sue ciotole e inizia a bere, ignorando i croccantini che sono nell'altra accanto.
Sistemo il guinzaglio sul mobiletto all'ingresso e mi soffermo dinaanzi al quadro sul cavalletto.
"Devo darci del fissativo, il carboncino stà venendo tutto via." il mio dito indice accarezza i capelli di sanguigna sulla tela, seguendo il movimento che gli ho dato quando l'ho realizzato.
"Avrei dovuto fare in modo che sembrassero più morbidi... lei li ha più morbidi." non mi convince molto, quel quadro. Solitamente, se c'è anche un piccolissimo particolare che stona con l'idea che ho quando lo realizzo lo distruggo. Cutter alla mano e via di tagli sulla tela. Eppure, con questo non sono in grado di farlo, non ci riesco.
"Hikari, andiamo a dormire?"
La mia piccolina mi segue felice in camera e salta sul letto appena mi siedo e mi tolgo le scarpe. Mi spoglio, gettando i vestiti sul cumulo di abiti dall'altra parte della stanza e senza rendermene conto, con Hikari accanto, sono già sopito.

Mi giro e rigiro nel letto, cercando la posiione ideale. Fa caldo. Fa troppo caldo qui. Quasi quasi faccio come Hikari e mi trasferisco sotto il letto, sul pavimento. Almeno starei a contatto con qualcosa di freddo.
"Che c'è? Non riesci a dormire?"
Questa voce. Mi volto e apro gli occhi lentamente, molto lentamente. Il suo sorriso mi travolge come un uragano nel pieno della sua potenza.
"Zoe... " sussurro. "sto sognando, vero?" le chiedo, rassegnato.
"Ma cosa dici?" la sua voce calda riempie le mie vene, come ha sempre fatto. "Vieni qui e abbracciami. Anche se fa caldo." si volta dall'altra parte e mi porge la schiena. Amo quando ci abbracciamo così, accoccolati nel letto, l'uno accanto all'altra, l'uno dentro l'altra.
"Zoe, perchè non torni da me?" le sussurro, scostandole i lunghi e morbidi capelli rossastri dall'orecchio.
"Ma ti senti bene, Sasha?" ribatte con dolcezza. "Io sono qui. Adesso dormi, domani si lavora."
"Voglio fare l'amore, Zoe." la mia mano si allontana lentamente dalla nuca e inizia ad accarezzare i suoi fianchi. Si volta verso di me e fissa i miei occhi increduli.
"Cosa c'è?" mi chiede, accarezzandomi i capelli sulle tempie. "Cosa ti turba?"
"Nulla Zoe. Ti amo immensamente, lo sai vero?"
"Si, lo so. Anche io ti amo immensamente."
"Tanto, troppo, mai abbastanza Zoe."
"Tanto, troppo, mai abbastanza." mi ripete. Entro in lei, dolcemente, e dolcemente vi resto. Mi cullo nel suo calore. Mi lascio trasportare dalle vibrazioni della sua essenza più profonda. E' lei. E' com'è sempre stata.
Hikari, da sotto il letto, emette un gemito. Sta sognando.
E io? Sto sognando?

sabato 6 giugno 2009

Il primo sole - Risveglio

I miei occhi faticano ad aprirsi.
A nulla serve l'incessante e martellante suono della sveglia, i miei occhi non vogliono aprirsi e guardare per il trentesimo giorno quel soffitto bianco, vuoto, sconosciuto.
Hikari continua a leccare il mio braccio emettendo guaiti fastidiosi. Vuole scendere giù, vuole fare i bisogni che ha trattenuto per tutta la notte. Devo ammettere però che la sua lingua calda sul mio braccio è una sensazione piacevole, come poche riesco a provarne ultimamente.
Un mese.
E' trascorso soltanto un mese. O forse dovrei dire che è già trascorso un mese. Dove sei adesso? A cosa stai pensando? Cosa stanno guardando quei tuoi occhi meravigliosamente profondi?
I miei occhi chiusi stanno osservando una nostra foto insieme, ben impressa nella mia anima, scattata l'anno scorso, in montagna. I due uomini delle nevi, come ci avevi definiti tu, vestiti nello stesso identico modo, con lo stesso identico sorriso di chi si ama profondamente, intensamente, incontrollabilmente. Non è il bianco della neve intorno a noi ad illuminare le nostre figure. Non è il sole, forte e deciso sui nostri giubbotti neri e riflesso nei nostri occhiali da sole, a scaldare quell'immagine così bella.
Siamo noi stessi a brillare. Il tuo braccio, saldamente ancorato al mio. La tua spalla destra che sfiora la mia spalla sinistra, quasi a voler ricordare l'appartenenza dell'uno all'altra.
I nostri sorrisi, veri, vitali, innamorati.
I miei occhi chusi stanno osservando quell'immagine nell'enorme bagaglio dei ricordi. I tuoi, invece? Hanno ancora la possibilità di incrociare un nostro abbraccio, in quella che è stata la nostra casa oppure hai già tolto tutto ciò che poteva ritrarre il nostro amore?
E' passato un mese, soltanto un mese, già un mese. E io sono qui a chiedermi perché non abbiamo avuto la forza di ritentare. Perché non hai avuto la forza di ritentare. Perché non hai voluto ritentare.
La risposta, probabilmente, la conosciamo entrambi. La differenza tra noi è che io ho il coraggio di ammetterlo, pur facendomi male, pur causando nel mio animo un dolore difficilmente immaginabile da un essere umano.
Dove sei, amore mio? Cosa stai facendo ora?
E io, dove sono?
Cosa farò ora?
Sarò in grado di riprendere in mano le redini della mia vita?
Sarò in grado di ricostruire pezzo per pezzo il puzzle del mio cuore in frantumi?
Sarò capace di ricominciare da me stesso?
Ci ho provato, ci sto provando. Ho raccolto ogni pezzo di me dal terreno e lo sto pian piano rimettendo al posto che gli compete ma ogni volta sembra che io commetta qualche errore; tutto cade in terra di nuovo.
Apro gli occhi, finalmente, ma solo perché Hikari decide di saltarmi di peso addosso e iniziare a ringhiare. Poverina, non riesce più a trattenersi; la mia apatia non deve assolutamente ripercuotersi su questa cagnetta dolcissima, non sarebbe giusto far pagare a lei la mia totale mancanza di voglia di fare.
“Buongiorno amore di papà” le sussurro accarezzandole il muso. La sua risposta è un balzo sul pavimento e un abbaio di rimprovero. Non posso darle torto.
Mi alzo e infilo i jeans riversi sul pavimento, cerco la maglia che avevo indosso ieri sera ma in tutto questo caos non riesco a raccapezzarmi. Quella rosa, stropicciata e probabilmente sporca, andrà benissimo, dopotutto deevo solo portare il cane giù.
Hikari mi attende paziente alla porta d'ingresso, seduta diligentemente su due zampe e con la coda in costante e regolare movimento. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra...
“Andiamo, bestia!”

Nel chiudere dietro di me la porta di casa il mio sguardo cade sull'ultima tela che ho dipinto ancora appoggiata sul cavalletto. Sembra sorridermi. Non posso che ricambiare quel sorriso, anche se il mio sorriso è ormai velato da una profonda tristezza.

Questa passeggiata è durata troppo, forse è meglio tornare in casa e decidere cosa fare della giornata di oggi, la prima giornata libera da un bel po' di tempo. Ovviamente Hikari non vuole saperne di tornare su. Sulla strada del ritorno incontro la mia vicina di casa, gentilissima signora di mezz'età forse eccessivamente accondiscendente e sorridente. Mentre mi parla, non so ben di cosa, i suoi troppi sorrisi mi disturbano non poco ma purtroppo il mio dover essere gentile e cortese con tutti non mi permette di dirle ciò che vorrei. Un momento. Neel fiume di parole appena pronunciate mi è sembrato di sentire qualcosa di strano.

"Mi scusi signora, cosa ha detto?" chiedo garbatamente.

"Nulla, dicevo solo che la tua ragazza stamattina è stata così gentile da aiutarmi a portare su in casa la spesa. E' proprio una persona carina, così a modo. E poi è molto bella sai? Dovresti..." le sue parole non entrano più nelle mie orecchie. Il mio pensiero è fisso sulla frase che ha proninciato pochi secondi prima. La mia ragazza?

"Mi scusi signora, è sicura che sia stata proprio la mia ragazza?" le chiedo. Magari si sbglia.

"Certo che ne sono sicura. La conosco bene, io. Vivete qui da un mese ormai. E poi vi vedo sempre insieme!" ma cosa sta dicendo questa donna? Io vivo da solo, da un mese. O forse... forse è stato solo un incubo. Forse questo ultimo mese è stato solo frutto della mia immaginazione e adesso lei è lì, a casa che mi aspetta.

"Mi scusi signora, adesso devo scappare. Ci vediamo presto, intesi?" non le lascio il tempo di rispondere. Sono già di corsa, con Hikari al seguito, verso casa. Mi sembra di volare, la sensazione è quella di non toccare affatto l'asfalto. Lei è lì, lei è a casa. Le immagini di ciò che è intorno a me si distorgono, passano veloci nel mio campo visivo, nulla è nitido tranne che la mia meta. Casa. Salgo le scale in tutta fretta, la povera Hikari mi segue sfinita su per le rampe e senza emettere un solo gemito. Ha capito perchè corro, ha capito perchè ho tanta fretta, forse è felice anche lei.

"Zoe" urlo il suo nome mentre spalanco la porta di casa. Una luce accecante mi costringe a chiudere gli occhi. Li riapro subito, un solo istante. Quello che vedo è un soffitto bianco, asettico, ancora sconosciuto. Quello che sento è il suono incessante della sveglia. La lingua calda e umida di Hikari sul braccio. Una lacrima sulla mia guancia.

Risveglio.

giovedì 28 maggio 2009

Prologo - L'odore dei silenzi

Risollevarsi. Stringere i denti e andare avanti. Mai lasciare che qualcosa possa sconfiggere il proprio ego. Non permettere a nessun dolore di abbattere i propri sogni, i propri desideri. Fare in modo che la tristezza e la disperazione diventino ciò che fortificherà il proprio animo.
Perchè tutto passa. Il dolore, la tristezza, la disperazione, la desolazione, l'angoscia, la paura, le incertezze.Già, tutto passa e lascia nell'animo cicatrici incancellabili. Marchi di fuoco sul cuore. Catene indistruttibili sui sogni.
Quel che si dice non è quel di cui si ha bisogno, a volte.
Perchè tutto è diverso per ognuno. Perchè ogni emozione non è mai uguale per tutti. Perchè ogni dolore possiede intensità differenti per ogni essere umano.
Dipende tutto da quel che si è puntato su qualcosa, dipende tutto da ciò che si è sognato e dalla forza con cui lo si è fatto. Dipende tutto da ciò che si è vissuto.
Perchè quando le proprie ali finalmente si spiegano, difficilmente torneranno a farlo se vengono tarpate di netto, incatenate alla schiena dall'incertezza e dal dubbio.
Sono piume legate in eterno, sono piume che non si ha il coraggio di accarezzare più.
Piume perdute, piume perdute per sempre.
Perchè se è vero che non c'è nulla che amore non può fare, è altrettanto vero che nessuno può ferire tanto profondamente come coloro che si amano più della propria vita.
Dicono di non piangere, dicono di guardare avanti, dicono di non cedere, dicono di non mollare.
Quel che si dice, a volte, non serve.
Quel che si dice, a volte, fa soltanto più male.
Perchè quel che si dice non può restituire quello che si è perso, non può far tornare indietro, non può cambiare le cose. Ed è solo questo ciò che si vorrebbe, a volte.

E poi ci si trova dinanzi ad una scelta, nel momento in cui non ce lo si aspetta, nel momento in cui tutto perde un senso, nel momento in cui null'altro si vede se non la propria vita spezzata ...ed è un riflesso... e poi vi è un'ombra... un riflesso nello specchio e un'ombra che si staglia alle spalle... silenziosamente, entrambi attendono qualcosa che non riesce a giungere, qualcosa che è inerme dinanzi alla scelta.
Paura, rabbia, impazienza, amarezza, testardaggine, filosofia dell'amore e del sacrificio di questo, idealismo stupido e caparbio, voglia di fare, voglia di pensare, voglia di sentire nuovamente qualcosa, voglia di sentire qualcosa di nuovo.
La catena che lega le mani impedisce di mandare in frantumi lo specchio, la catena che cinge il capo impedisce di voltare lo sguardo.

Due catene.
Due possibilità.
Due facce di una medaglia che l'animo credeva di aver gettato via.
Due scelte tanto simili eppure tanto diverse.
Il riflesso nello specchio, immobile, silenzioso, luminoso e conosciuto, familiare. Odore di passato e presente.
L'ombra sul terreno, immobile, silenziosa, oscura e sconosciuta, misteriosa. Odore di presente e futuro.
Il profumo di quei silenzi attanaglia il cuore e la mente, l'odore di parole non pronunciate inebria i sensi già incapaci di spezzare le catene.
L'odore del silenzio del proprio cuore rende ancora più impossibile la scelta di quale catena spezzare.
Lasciare che l'ombra svanisca al calar della notte e conservar vivo il riflesso nello specchio, o mandare in frantumi quello specchio, lasciando il cuore libero di illuminare quell'ombra?
In ogni caso, qualunque sia la scelta, le conseguenze non sarebbero semplici. Frammenti di quello specchio ferirebbero l'animo più di ogni altra cosa, frammenti di quello specchio si insinuerebbero nell'essere per non abbandonarlo mai più, frammenti di quello specchio lascerebbero cicatrici più visibili e incancellabili più di quelle che il riflesso da solo ha già lasciato sul cuore.
Lasciare che l'ombra si dissolva al calar della notte lascerebbe un vuoto che forse nulla più sarà in grado di riempire, lasciare che l'ombra si dissolva significherebbe non donare a quelle ali tarpate la possibilità di dispiegarsi nuovamente, lasciare che quell'ombra si dissolva sarebbe vincolare il futuro ad un rimorso e ad un dubbio.
Qualunque sia la scelta, l'unica cosa che l'animo percepirebbe sarebbe l'odore dei silenzi, i silenzi lasciati nel cuore dall'ombra o dal riflesso..

venerdì 10 aprile 2009

Pubblicazione temporaneamente sospesa

Interrompo temporaneamente la pubblicazione de "Il passato non narrato".
Sono consapevole di essere un po' in ritardo con questo avviso, dato che l'ultimo capitolo pubblicato risale allo scorso gennaio.
Purtroppo, in questi ultimi mesi, la mia vita ha subito un brusco cambiamento, una tempesta che ha stravolto completamente i miei pensieri e la mia anima.
Conseguenza di questa tempesta, l'impossibilità per me di riuscire a creare dei nuovi capitoli della storia senza che i miei "problemi personali" potessero influenzare la storia e modificarne il senso più profondo.
La storia di Micael merita da parte mia la stessa attenzione profusa per quella di Uriel, ragion per cui, per il momento preferisco evitare di scrivere.
Non so se sarete ancora disposti a leggere la continuazione della storia, un giorno, nè se sarete tanto caparbi da controllare di tanto in tanto se il Nico che conoscete è tornto all'opera.
Se doveste farlo, un giorno non molto lontano potrete assistere alla mia rinascita e con essa la rinascita della storia di Micael.
Se non doveste frlo, vi ringrazio in ogni caso per la pazienza, l'affetto e l'apprezzamento dimostrato al mio lavoro e alle mie storie.
Un abbraccio immenso.
A presto, con il nuovo me stesso.

mercoledì 7 gennaio 2009

L'ottavo frammento - Frammenti di cuore, come spine nell'anima

Non capii subito quello che stava succedendo, non potevo assolutamente immaginarlo. Sentii solo il mio respiro fermarsi, per un attimo che sembrò eterno e il cuore che iniziò a battere all'impazzata, quasi volesse saltare fuori dalla mia bocca. Sentii le mani di Micael che stringevano forte le mie spalle, scuotendo tutto il mio essere, chiamando il mio nome. Spalancai gli occhi, cercando di aprirli più di quanto mi fosse concesso, ma non riuscivo a scacciare dal mio campo visivo quelle immagini. Un caleidoscopico tornado di immagini pervase il mio intero essere, fluendo da chissà dove per colmare ogni anfratto libero del mio cuore.
Tristezza, amore, gioia, dolore, morte, vita, paura, angoscia, libertà, prigionia dell'essere.
Uomini, persone, donne, cose, animali, corpi, essenze, anime.
Dio, angeli, cielo, terra.
Vita. Morte.
Di nuovo vita.

Un eterno secondo in cui tutte quelle sensazioni, trasformate in immagini simili a fotografie sbiadite, mi travolsero. Micael. Non avevo più bisogno di chiedergli chi fosse. Non avevo più nulla da chiedergli. Dopo quel bacio sapevo tutto di lui, letteralmente. Non avevo più la necessità di conoscere il suo passato. Il suo passato, i suoi passati erano in quel momento proprio davanti i miei occhi.
Non ricordo quanto tempo trascorse dal momento in cui le sue labbra sfiorarono le mie al momento in cui ripresi pienamente coscenza del mio essere. Un secondo,un minuto, un'ora o un giorno. Ricordo solo il suo volto spaventato e pietrificato dinanzi a me, quando le immagini della sua eternità iniziarono a sbiadire da davanti ai miei occhi.
"Sophia... Sophia, cosa c'è?" sentivo la sua voce lontana, quasi provenisse da un sogno.
Portai la mano al viso e mi sfiorai la guancia, poichè sentivo qualcosa di caldo e umido scendere lentamente dai miei occhi. Stavo piangendo. Forse ciò che avevo appena vissuto era troppo per il mio cuore. La verità. La verità di tutte le verità era alla mia portata, proprio vicino a me. Mi scuoteva le spalle, cercando di riportarmi alla realtà.
Nel momento in cui presi pienamente coscenza di me decisi di tacere. Avrei dovuto dirgli quello che avevo visto? E se avessi avuto una lunghissima e stranissima allucinazione? E se anche ciò che avevo visto era la verità, una volta che glielo avessi detto, nel momento in cui avessi confidato lui di essere a conoscenza del suo segreto lui sarebbe rimasto con me? E se fosse scappato via? No, non potevo permetterlo.
Io amavo quell'uomo, per qualche oscura ragione il mio essere era legato al suo in maniera imprescindibile. Non potevo permettere alla mia anima di perderlo, dopo che finalmente lo aveva trovato.
"Micael..." sussurrai.
"Oh Sophia, grazie al cielo. Cosa ti è successo?" mi chiese. La voce rotta dall'ansia e dalla preoccupazione.
"Non so. Forse una carenza d'ossigeno, o di zuccheri... per un attimo ho perduto conoscenza." mentii, cercando di non dargli modo di capire.
"Sei sicura? Eri come pietrificata e...e il tuo respiro..." la sua voce si faceva più sicura e calma. Questo mi rassicurò.
"Si Micael, davvero. Tutto bene. Adesso inizio a sentire freddo, puoi riaccompagnarmi a casa?" chiesi. Avevo bisogno di metabolizzare l'accaduto, avevo bisogno del mio letto, avevo bisogno di piangere.
"Certo. Vieni, ti faccio strada." disse, prendendo la mia mano. Quel contatto mi sembrò avere un valore diverso dopo ciò che era successo.
La luce della luna cercava di filtrare attraverso la fitta rete di rami che si districava sopra di noi. Ogni tanto un raggio di quella flebile luce illuminava la sua schiena. In quegli attimi fugaci mi sembrò di vederle. Le sue ali.

Micael mi riaccompagnò a casa e mi diede un bacio sulla fronte per augurarmi la buona notte. Ricambiai con un sorriso, stringendo forte la sua mano. Nel chiudere la porta, scrutando l'immagine di quell'uomo che non aveva più misteri per me, mi sembrò di notare nuovamente la colomba bianca appollaiata sullo steccato del recinto di casa. Cercai di non dar peso alla cosa e corsi di volata in camera mia, dove finalmente potei scoppiare in lacrime. Tastando il buio, con il viso sommerso dal pianto, arrivai al letto e lì mi accasciai. Cercai di fare ordine nella mia testa, spostando i pezzi del puzzle che avevo involontariamente e inconsciamente ricevuto da Micael, provando ad incastrarli al meglio. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Non piangevo per paura, non piangevo per i segreti di Micael, non piangevo perchè mi aveva nascosto quelle cose, non piangevo per me. Piangevo per la tristezza con cui erano intrise quelle immagini, per la solitudine che avevo sentito sulla pelle, per l'amarezza di alcune di quelle memorie. Si, memorie. Quelli dovevano essere i suoi ricordi. E se ciò che avevo visto era vero, non dovevo nemmeno chiedermi il motivo per cui avevo potuto vederli.
In un solo istante tutto ciò che conoscevo era cambiato, tutto ciò che credevo di sapere era diverso, nuovo, sorprendente e spaventoso allo stesso tempo, per un misero essere umano quale io ero. Il velo di Maya. Caduto. Un bacio soltanto e il velo che mi nascondeva il mondo e la sua vera essenza era andato in frantumi, sbriciolato dai ricordi di Micael. Cosa mi restava da fare? Cosa avrei dovuto fare, da quel momento in avanti? Forse avrei dovuto chinare il capo e silenziosamente tentare di ricostruire la barriera che divideva me e la vera essenza delle cose. Avrei dovuto raccogliere uno ad uno i frammenti del mio velo distrutto cercando di non dimenticarne nessuno, cercando di non tagliarmi.
Non potevo farlo.
Ero abbastanza forte e caparbia per continuare la mia esistenza con la consapevolezza della realtà.
Asciugai gli occhi e sospirai, fissando la parete della mia stanza. Poi, con naturalezza, parlai al silenzio che mi sovrastava.
"So che ci sei. So che sei qui accanto a me e che non è la prima volta. Non posso vederti, forse non potrò mai farlo. Non conosco neppure il tuo nome, ma vorrei ringraziarti per tutto ciò che fai e che hai fatto per me. Grazie, mio custode." non mi sentii una stupida, mentre dicevo quelle cose. Avevo la certezza che qualcuno mi ascoltasse. Avevo la certezza che il mio guardiano, custode, angelo o qualunque cosa fosse, in quel momento mi stesse ascoltando. Sentii un brivido lungo la schiena. Poi un nome sfiorò il mio cuore, come una piuma che si posa leggera sul manto innevato di una collina.
Arel.
Quella notte mi addormentai subito. Forse per le troppe lacrime versate, forse per la pesantezza della giornata, forse per la grandezza delle cose che avevo scoperto involontariamente; i miei occhi si chiusero e si riaprirono il mattino seguente, gonfi e arrossati. Anche mia madre lo notò, dato il modo in cui mi fissava a tavola durante la colazione, ma ovviamente non mi chiese nulla; si limitò a scuotere la testa con disapprovazione e continuò a bere il suo caffèlatte senza preoccuparsi minimamente di me e del motivo per cui i miei occhi erano in quello stato.
Ben altra fu la reazione di mio padre alla vista del mio viso.
"Sophia, tesoro, cos'hai? Cosa ti è successo?"
"Nulla papà, non preoccuparti. Ho solo dormito poco, tutto qui." risposi, continuando a fissare il capo chino di mia madre.
"A me quelli sembrano gli occhi di una ragazza che ha passato tutta la notte a piangere, anzichè dormire." incalzò.
"Davvero papà, non è nulla. Ero solo un po' triste quando sono andata a dormire. Tutto qui." gli sorrisi.
Nel guardare il suo viso preoccupato e impaziente di conoscere le motivazioni che mi avevano resa triste, iniziai a pensare a lui e a mia madre. E ai loro rispettivi guardiani. Che aspetto potevano avere? Che tipo di esseri proteggevano l'anima dei miei genitori? Sicuramente il guardiano di mio padre doveva essere dolce, gentile, affabile e generoso. Quello di mia madre con tutta probabilità era identico a lei: scontroso, gelido e incapace di comunicare con gli altri.
"No, i guardiani non sono lo specchio di coloro che proteggono... deve essersi rassegnato anche lui" bisbigliai con la tazza del caffè vicino le labbra. Mio padre mi sentì, ma fece finta di non averlo fatto. Con tutta probabilità aveva capito che mi riferivo a mia madre e preferì non commentare.
Terminata la colazione mi alzai e mi recai all'ingresso. Quella mattina sarei tornata nella radura a dipingere; era la mia cura contro la tristezza.
Mio padre mi seguì silenziosamente e mi prese la mano sinistra che stava per aprire la porta.
"Sophia, cosa ti è successo?" chise di nuovo.
"Nulla papà, credimi." gli sorrisi di nuovo. Da bambina mi diceva sempre che il mio sorriso era il rimedio migliore alla tristezza e al dolore del mondo. Inconsciamente assunsi un certo senso di responsabilità nei confronti di quell'affermazione affettuosa e da allora ogni volta che mio padre era triste, imbronciato, dispiaciuto, prontamente sul mio viso scattava un sorriso. "adesso vado a dipingere nella radura. Sarò di ritorno prima di pranzo."
"Se avessi litigato con tua madre me lo diresti, vero?" inarcò le sopracciglia e avvicinò il suo viso al mio.
Non risposi. Lo baciai sulla fronte e gli sorrisi di nuovo.
"Ci vediamo dopo, tesoro." mi urlò dal pianerottolo mentre mi avviavo a passi svelti verso la bicicletta. Quella mattina ero certa che avrei rivisto Micael.
Non sapevo come avrei reagito vedendolo, non ero sicura di fingere abbastanza bene, ma avevo la piena certezza che volevo vederlo a tutti i costi. E se lui era davvero ciò che avevo avuto modo di vedere, il mio desiderio sarebbe stato accontentato.
"Arcangelo... da non credersi..." sussurrai, prima di iniziare a pedalare a tutta forza in direzione della radura.

lunedì 5 gennaio 2009

Il settimo frammento - Aria

Più ci addentravamo nel boschetto di aceri, più sentivo il mio cuore battere all'impazzata. Lui non proferiva parola, camminava silenziosamente senza lasciar mai la mia mano neppure per un secondo. La sua stretta era calda, morbida e la sua pelle era liscia come quella di un bambino. Ogni tanto si voltava verso di me elargendo quel dolcissimo sorriso che aveva lo strano potere di rendermi tranquilla e serena.
Mano a mano che ci allontanavamo dalla piazzetta e ci avvicinavamo al centro del boschetto sentivo il vociare della gente diventare più ovattato, come se tutto intorno a noi fosse avvolto dalla bambagia; il venticello serale tra i rami degli alberi e una civetta logorroica prendevano il predominio nell'aria.Fissavo la sua schiena, persa nei miei pensieri su di lui, e notai il suo abbigliamento per la prima volta. Difatti, nei nostri precedenti incontri, non mi ero mai soffermata a osservare gli abiti che indossava, quasi non ci fossero. Indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta nera che gli aderiva sul torace. Null'altro. Sarebbe stato simile ad un'ombra, se non avesse avuto quel viso meraviglioso e quello sguardo penetrante.D'un tratto si fermò buscamente, senza lasciarmi il tempo di capire; mi ritrovai letteralmente sulla sua schiena col viso."Scusami, non mi ero resa conto che ti eri fermato." dissi gesticolando senza senso, quasi a voler giustificare un gesto imbarazzante."Non devi scusarti, Sophia. E' colpa mia, mi sono fermato troppo bruscamente." sorrise. Mi tranquillizzai subito.Mi guardai intorno e finalmente mi accorsi di quale meraviglioso spettacolo poteva essere il boschetto di aceri a quell'ora di sera.Riportai il mio sguardo su Micael e lo vidi immobile, con gli occhi chiusi; aveva le braccia allargate a mezz'aria e inspirava a pieni polmoni. Era una scena bellissima che aveva un quacosa di misterioso e magico. Guardando più attentamente notai intorno a lui una leggera sfocatura dell'immagine, quasi come se stessi guardando attraverso il fuoco."Respira, Sophia. Assapora con tutto il tuo essere." mi disse, senza aprire gli occhi.Continuavo a fissarlo, stupita dei suoi gesti e delle sue parole. Cos'era che avrei dovuto assaporare? Non mi azzardai a chiedergli però spiegazioni, non avrei mai voluto rovinargli quel momento che sembrava tanto importante.Povai a fare ciò che mi aveva detto e chiusi gli occhi a mia volta, allargando le braccia come se avessi voluto stringere a me una sequoia gigante. Dopo aver fatto piccoli respiri per preparare i miei polmoni all'abbuffata successiva, inspirai il più profondamente possibile.Nulla.Espirai il più possibile, cercando di non lasciare tracce d'aria nel mio corpo, ed inspirai di nuovo.Spalancai gli occhi per la meraviglia. Micael mi guardava, sorridendomi soddisfatto."Allora, Sophia, cosa senti?" chiese curioso, anche se sapevo perfettamente che era già a conoscenza della risposta che gli avrei dato."Aria... per la prima volta in vita mia riesco a sentirla davvero." risposi."E dimmi, Sophia, com'è?" chiese.Non riuscivo a trovare le parole per descrivere ciò che sentivo, era una cosa completamente nuova, completamente sconosciuta. Ed era assurdo, era davvero una cosa assurda. Come poteva essere possibile? In fondo, in quel boschetto ci ero stata svariate volte e non avevo mai provato quello che stavo vivendo in quel momento."Non so spiegarmelo... non riesco a capire. Non mi ero mi resa conto di quanto l'aria potesse essere... vitale." chiusi gli occhi e inspirai di nuovo, più profondamente di poco prima. "E' come se fosse viva, dentro di me. Pervade ogni angolo del mio corpo, quasi non passasse dai polmoni. E? bellissimo." quella sensazione era meravigliosa.
"E ti piace, Sophia?" mi guardava con compiacimento e soddisfazione, quasi mi avesse spalancato le porte per un nuovo mondo a me fino ad allora sconosciuto.
"Si" risposi, senza aggiungere altro. Continuavo a fissarlo negli occhi, perdendomi dentro di loro, cullata da quell'aria così magica che prima di allora non avevo mai respirato.
Lui sedette a terra e iniziò ad accarezzare il suolo, dolcemente, come se volesse trasmettergli una quantità immensa di amore. Lentamente, continuando a respirare profondamente, mi avvicinai a lui e indicai il suolo accanto a lui. Mi sorrise, acconsentendo alla mia muta richiesta. Trattenni il vestito e mi accomodai accanto a lui, silenziosamente,senza mai staccare gli occhi dal suo viso.
I rumori della notte erano un dolcissimo sottofondo musicale, per quel momento. Il vento, leggero, parlava agli alberi soffiando tra i loro rami.
"Allora, Sophia, cosa vuoi sapere?" mi chiese d'un tratto, prendendomi alla sprovvista.
"Come fai a sapere che ho delle domande da porti?" risposi, cercando di prendere tempo.
"Chiunque ne avrebbe, Sophia. Quello che sta succedendo tra noi è strano, inaspettato anche per me, quindi presumo che chiunque al tuo posto avrebbe domande da porre allo sconosciuto di cui si è innamorata." sorrise. Mi sciolsi, letteralmente.
"E tu, Micael? Non hai domande da pormi?"
"Quello che conosco mi basta." rispose, secco ma dolce.
"Allora basta anche a me."
"No, non ti basta. O almeno, non basterà a coloro che ti porranno delle domande su di me nell'immediato futuro. Quindi, chiedi pure. Risponderò a tutto ciò che mi chiederai."
In effetti, quello che mi diceva aveva un senso. Anche quella stessa sera non ero riuscita a rispondere alle domande di Marie, che figura avrei fatto agli occhi di mio padre se fosse stato lui a pormi delle domande su Micael.
Ovviamente non mi preoccupavo di mia madre, lei non mi avrebbe mai fatto delle domande su di lui, per nessuna ragione al mondo si sarebbe interessata alla mia vita sentimentale.
"Bene, mi hai convinta. Allora, vediamo... dove vivi?"
Mi guardò sospettosamente, prima di rispondere. "Diciamo che mi sposto molto, non amo fermarmi a lungo nello stesso luogo."
"Vuoi dire che un giorno o l'altro potresti andar via anche da qui?" chiesi timorosamente.
"Voglio dire che, come già ti ho detto tempo fa, io sono ovunque. Non ho bisogno di un luogo preciso in cui stare."
"Stai eludendo la mia domanda, Micael."
"In che senso?""Scusa, ma una casa dovrai pure averla, no?" incalzai.
"Per il momento vivo da Gabriel. In futuro, chissà."
"E dove vive Gabriel?" continuai.
"Fuori paese. Ha una piccola villetta vicino al fiume." rispose convinto.
La risposta fu sufficiente per poter passare alla domanda successiva, ma non ci fu bisogno di chiedere nulla, poichè fu lui stesso ad un tratto ad iniziare a parlare.
"Se la prossima domanda è relativa al mio lavoro, diciamo che aiuto gli altri."
"Sei un medico?" in che altro senso poteva aiutrare gli altri, se non curando le persone.
"Non curo mali fisici." disse. Alzò una mano e indicò prima il mio cuore e poi la mia fronte. "Io dono sollievo qui e qui."
Era vero. Quello che diceva era vero. Lo aveva fatto anche con me, quella mattina in piazza. Inoltre, ogni volta che ero con lui mi sentivo bene, serena, tranquilla, come se nulla al mondo potesse scalfire la mia persona.
"Come mai sei interessato a me?" chiesi, prendendolo visibilmente alla sprovvista.
"PErchè mi poni questa domanda?"
"Perchè non riesco a credere che uno come te possa essere interessato a me. Tutto qui."
"Sophia, io non sono interessato a te. Io sono innamorato di te." inspirò profondamente. "Sai, io non ho mai avuto modo di innamorarmi di nessuno. A dir la verità, non ho mai potuto permettere al mio cuore di battere per una sola persona. Eppure..."
"Eppure?" chiesi ansiosa di conoscere il resto della risposta. Lui si alzò in piedi e si avvicinò ad un albero poco distante, alzando lo sguardo verso il cielo attraverso i rami.
"Eppure tu mi hai rapito. Forse non dovrei dirtelo, anzi sicuramente non dovrei farlo, ma... ti ho osservata a lungo, prima di presentarmi a te quel giorno nella radura. La prima volta che ti vidi eri assorta nei tuoi pensieri, mentre passeggiavi in paese. Mi colpì il modo in cui, pur essendo completamente persa nel tuo modo, sorridevi ai passanti, accarezzavi gli animali, osservavi la natura che ti circondava. Non avrei mai voluto seguirti, ma inconsapevolmente mi ritrovai a passeggiare silenziosamente dietro di te. Poi, d'un tratto, una voce nella mia mente ha esclamato - è lei - e da allora non ho fatto altro che osservare ogni tuo giorno con discrezione. Non avrei mai dovuto permettermi di rivolgerti la parola, quel giorno, ma ormai non si torna indietro." sospirò.
Il suo racconto mi aveva rapita completamente, mentre parlava, mentre descriveva quelle immagini, vedevo il suo racconto scorrere davanti ai miei occhi come delle fotografie.
"Sei arrabbiata, Sophia?" chiese preoccupato. Era affascinante il modo in cui le sue emozioni dipingessero con chiarezza il suo volto. Era come se per lui fosse impossibile mascherare i propri sentimenti.
"No, nella maniera più assoluta. Solo che continuo a non capire cosa di me ti possa interessare."
"Mettiamola così, Sophia. E' il destino. A quello nessuno può sfuggire, non credi?" sorrise. E di nuovo, mi sciolsi.
"Va bene, mettiamola così." risposi, anche se qualcosa in quel momento mi disse che la risposta mi era stata sottratta con una dolcissima forza.
Lui si riavvicinò a me e riprese il suo posto a terra, delicatamente. Altrettanto delicatamente chinò il capo di lato e lo avvicinò alla mia spalla. Sollevando gli occhi mi chiese il permesso di poter poggiare su di essa la testa e sorridendo acconsentii.
Da quella distanza sentivo chiaramente il suo respiro. Lento. Regolare. Sembrava un canto silenzioso dal quale mi lasciai cullare, chiudendo gli occhi.
"E' la prima volta, dacchè ho memoria, che provo sensazioni così forti Sophia." sussurrò.
"E ti spaventa?" chiesi, diretta.
"No. Non mi spaventa. Ma so che non dovrei lasciare che queste prendano possesso di me." il modo in cui pronunciò quelle parole mi mise in guardia.
"Perchè?"
"Questo, purtroppo, non posso dirtelo." tacqui. Se non poteva farlo, non volevo metterlo in condizione di doverlo fare. Quindi decisi di fingere che l'ultima parte della nostra conversazione non avesse mai avuto luogo. Non volevo che dei segreti rovinassero la storia che stava per nascere, ma non volevo metterlo in difficoltà. Qundi fingere era un compromesso decisamente conveniente. Ma lui continuò.
"A volte, il destino, gioca brutti scherzi. Non credi?" perchè continuava a fare il misterioso? A quel punto pensai che volesse essere spronato a parlare, ma decisi di mantenere la linea che mi ero prefissata di seguire, quindi non risposi. Ancora con gli occhi chiusi, sentii la sua testa che si sollevava dalla mia spalla. Mi voltai e vidi che mi stava osservando.
Una forza invisibile mi spinse a fare ciò che mai mi sarei aspettata da me stessa.
Sollevai la mano destra e gli accarezzai il viso, morbido, liscio, caldissimo. Avvicinai il mio viso al suo, lentamente, temendo una sua reazione. Inumidii le mie labbra con la lingua e poi le socchiusi, pronta ad accogliere le sue sul mio viso. Chiusi gli occhi e feci l'ultimo passo, portando la mano dietro la sua nuca e spingendolo dolcemente verso di me. Lui lasciò che lo facessi. Sentii il suo respiro sul mio viso. Sentii la sua mano che prese posto dietro la mia nuca, scostando i capelli. Sentii l'aria intorno a noi che si levò forte, d'un tratto, tramutandosi in una raffica di vento. Sentii le sue labbra che sfioravano le mie, con dolcezza. Sentii il suo bacio che iniziò a pervadere il mio corpo, come una scarica elettrica.
E vidi.

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...