Sono rientrato in casa da più di due ore e non riesco a distogliere lo sguardo dallo specchio. Ho gettato la camicia nella spazzatura, mi sono lavato via il sangue dal petto. La ferita è completamente chiusa. Sembra una vecchia cicatrice. Non riesco a capacitarmi della cosa, fino a due ore fa sanguinava copiosamente.
Dal riflesso nello specchio vedo Hikari che si è appisolata sul divano circondata dai cuscini e con il musetto appoggiato sul mio peluches di Stitch. Lo adora quanto me, è uno dei pochi peluches che non ha mai tentato di distruggere o divorare.
Ogni tanto solleva le orecchie, disturbata dai rumori di sottofondo, poi le riabbassa e torna a sonnecchiare. La sua tranquillità di solito è contagiosa per me, oggi non mi fa effetto. Non riesco a non pensare a quello che è successo oggi pomeriggio. Il punto interrogativo dipinto sul viso di Serena, l'aria sconvolta alla vista di tutto quel sangue. Bel primo appuntamento. Evidentemente era destino.
Il cellulare continua a squillare imperterrito. Non riesco a muovermi, l'immagine allo specchio mi incatena.
Accarezzo il vetro, all'altezza del riflesso della cicatrice.
"Ma che cosa mi sta succedendo? Forse sono diventato sonnambulo e mi faccio del male da solo di notte. Come la spiego una cosa del genere agli altri? Come potrei spiegarla a Serena?"
Finalmente il cellulare ha smesso di cantare e il silenzio è tornato a farla da padrone in casa. Dalla finestra aperta sulla strada si sente la voce di qualche passante, qualche automobile che sfreccia; il rumore della sera che scende sulla città prende poco a poco possesso dell'identità asettica e vuota della mia casa. Ho provato a dar libero sfogo alla mia creatività in questo appartamento, a renderlo confortevole e carino alla vista. Ma quello che vedo resta sempre e comunque un bilocale non mio, un appoggio temporaneo in attesa di ritrovare quei frammenti di me che ho perso per strada dopo quello che è accaduto.
Già una volta mi sono sentito in questo modo, a pensarci bene: quando morì mia nonna.
ero profondamente legato a quella donna, così come lo era lei a me. Sono cresciuto con lei, in ogni senso. Non che avessi una madre assente, anzi. Ma ero "costretto" a dividerla con mio fratello e mia sorella e in un certo senso la volevo solo per me. E così credo di essermi attaccato smodatamente e morbosamente a mia nonna. Passavo tutti i giorni con lei; io seduto al tavolino della cucina a fare i miei compiti di scuola, lei a sonnecchiare sul divano con la tv accesa su qualche telenovelas brasiliana o argentina. Mi divertiva ascoltare gli insulti che lanciava contro la sgualdrina di turno nello sceneggiato sullo schermo. Sembrava che stesse guardando scene di vita reale.
Quando morì, un pezzo di me la seguì senza pronunciar parola e lasciandomi dentro un vuoto incolmabile. Oltre a lasciarmi il senso di colpa per averla abbandonata nella fase della crescita, quando subentrano nella tua vita amici nuovi, interessi nuovi, quando perdi la voglia di passare i tuoi pomeriggi ad ascoltare le parole di una donna che fino a qualche attimo prima erano canti soavi e che qualche istante dopo, per qualche oscura ragione diventano noiose parole messe a caso nell'aria, per colmare i vuoti della solitudine che gli anni ti lasciano cadere sulle spalle.
Mi sento così anche adesso. Guardo questa cicatrice strana sul petto e non riesco a non pensare a tutte le volte in cui Zoe mi parlava e io avevo la testa altrove, a tutte le volte in cui mentre lei cucinava per me io giocavo ai videogiochi invece di osservare lei alle prese con i fornelli. A tutte le volte in cui, mentre facevamo l'amore io non riuscivo a non pensare a tutti i problemi che avevo sul lavoro invece di concentrarmi su tutto l'amore che provavo per lei.
Questa cicatrice è qui perchè adesso lei vuole che io mi ricordi di lei, sempre. O forse è qui solo perchè è un monito a tutto il dolore che mi ha causato con la sua menzognera scelta di ritrovare le nostre strade.
La mia strada era accanto a te, Zoe. E tu hai voluto proseguire da sola con accanto un altro uomo.
Il telefono riprende a squillare, forse dovrei rispondere.
"Pronto?"
"Samuel. Stai bene?" Arianna. Che piacere sentirla. La sua voce è preoccupata.
"Certo Ary, è tutto a posto. Perchè?"
"Non lo so. Sensazione strana. Poi non rispondevi al telefono prima e mi sono preoccupata, ma se mi dici che è tutto ok mi fido. Allora, com'è andata con Serena oggi?"
"Con Serena? Mmmmh... bene dai, ma non credo che ci rivedremo. In fondo voleva conoscere solo Hikari."
"Certo che sei proprio tonto, sai? Ma secondo te, cosa può interessarle di un cane se non le interessasse anche il proprietario del cane in questione?"
"Dici? No, non credo. In ogni caso non ci rivedremo comunque. Non devo averle fatto una buona impressione."
Parlare con Arianna è la cosa che più riesce a tranquillizzare il mio animo stanco e devastato a volte. La sua voce, il suo tono, le sue parole esprimono senza mezzi termini la meraviglia che quella ragazza è ingrado di donare senza neppure accorgersene.
E inoltre, pur conoscendola da relativamente poco tempo ho con lei un legame speciale. Qualcosa che supera le barriere e lo spazio tempo. Non credo esistano parole per definire quello che sento per lei. A volte mi sento insignificante dinanzi alla grandezza e all'imponenza del suo essere così rara e preziosa per il mondo. Per la mia vita.
Qualcuno suona al citofono, con insistenza anche.
"Suonano da te?" mi chiede Arianna "Chissà chissà chi sarà alla porta a quest'ora..." la sento sorridere al di là del telefono.
"Scema" le dico, mentre alzo il ricevitore del telefono "Chi è?"
Non risponde nessuno. Sento in sottofondo solo il rumore delle auto.
"Chi è?" ripeto. Al secondo silenzio, decido di riagganciare.
"Samuel, sono io." Serena. La sua voce risuona nel ricevitore e nel mio cervello. Fitta al petto. Stavolta però niente sangue.
"Serena, che ci fai qui? Aspetta lì, scendo giù."
"No, fammi salire" Ah, vuole salire.
"Ok." poso il ricevitore e apro il portone. Stranamente Hikari non si eè spostata di un centimetro al suono del citofono, quasi non lo avesse neppure sentito. "Ary, devo metter giù. C'è Serena."
"Ok, passa una buona serata. Domani voglio i dettagli, ok?"
"Buonanotte tesoro."
"Buonanotte a te." poso il cellulare sul ripiano all'ingresso e mi volto verso lo specchio. Sono ancora a petto nudo, forse è meglio che vada a metere qualcosa addosso prima che arrivi su lei.
Corro in camera e metto una camicia pulita ma non stirata. E' tutta stropicciata, ma tanto lei non si formalizzerà di certo. Mi ha visto tutto sporco di sangue, figuriamoci se le darà fastidio una camicia stropicciata.
Quest'ansia che mi pervade è insopportabile. Vorrà delle spiegazioni, è giusto che le voglia. Ma in fondo, perchè dovrei darle delle spiegazioni. non sono nessuno per lei. Non è nessuno per me. Siamo solo due persone che si sono conosciute per caso.
"Bugiardo. Tu l'hai voluta conoscere!" la mia coscienza è sempre presente e fastidiosamente sincera.
"Permesso?" eccola. Entra con imbarazzo appoggiando entrambe le mani sulla porta per spingerla. E' bellissima.
Mi avvicino e le faccio cenno di entrare in casa. Chiudo la porta dietro di me e cerco di non guardarla negli occhi.
"Scusami se son venuta fin dentro casa tua ma ero preoccupata." alzo lo sguardo e non posso fare a meno di notare che anche lei sta guardando altrove per non incrociare i miei occhi.
"Come facevio a sapere dove abito?" io non glielo ho detto. Come faceva a saperlo.
"Ti ho seguito quando sei andato via. Ho cercato di stare a debita distanza da te ma non me la sentivo di non seguirti. Sembravi sconvolto."
"Serena, sono tornato a casa più di tre ore fa. Sei stata tre ore qui sotto?"
Non risponde ma abbassa ancora di più la testa. I capelli lunghi cadono in avanti, dalle spalle.
"Vieni, ti faccio un caffè." le cingo le spalle con un braccio e la spingo in cucina. Hikari si alza dal divano e con dolcezza le si avvicina iniziando a leccarle le mani con cui stringe con forza la borsetta.
Si siede sul divano e Hikari torna tra i cuscini, accanto a lei. Non parla, sembra quasi non respirare. E dire che dovrei essere io quello sconvolto.
Preparo la moka e sistemo le tazzine e lo zucchero sul tavolino.
"Non ti offenderai se non ho piattini per le tazzine, vero?"
Scuote la testa. Ma non la alza. Perchè non mi guarda negli occhi. Mi sento in imbarazzo totale. Fino a poco prima non riuscivo a sollevare lo sguardo e adesso non desidero altro che mi guardi dritto in viso.
"Serena, io..."
"Ti fai del male da solo, Samuel?"
"No."
"Ok. Ti credo allora."
"E non vuoi sapere come mai ho quel taglio?"
"Se non me lo dici avrai le tue ragioni."
"E allora perchè sei qui?"
"Non lo so."
"Non lo sai."
"tu sapevi perchè avevi voglia di conoscermi l'altro giorno, mentre leggevo sotto quell'albero?"
"No"
"Bene."
Siamo rimasti in silenzio per dieci minuti credo. Lo so perchè più o meno è il tempo che, con la fiamma del fornello bassa, ci impiega il caffè a venir su. Sento il rumore della moka. Sento l'odore del caffè. Si mescola all'odore del silenzio che cìè nella stanza. Sostituisce l'odore della sera. Ma non copre il suo odore.
Odore di buono. Odore di donna. Odore di desiderio. Odore di imbarazzo.
"Samuel."
"Si?"
"Il caffè... credo sia pronto."
Mi alzo di scatto dalla sedia e vado in cucina a prender la moka.
Lei mi segue e mi cinge le braccia intorno al busto, da dietro. Appoggia la testa sulle mie spalle e si stringe al mio corpo. Sento il suo seno premere sulla mia schiena. Sento il suo respiro. Sento il suo cuore che batte all'impazzata. E sento le sue lacrime che bagnano la camicia.
"Serena..."
"Scusami, avevo voglia di abbracciarti."
"E perchè stai piangendo?"
"Perchè avevo voglia di farlo. Perchè sento il tuo dolore. Perchè sento dietro quel muro stai sbattendo forte i pugni in attesa di qualcuno che possa sentire le tue urla. Perchè ho bisogno di sentire le tue urla. Mi sento simile a te. Mi sento dannatamente simile a te."
Non so cosa rispondere, non ho la più pallida idea di cosa dirle.
Di nuovo dolore al petto.
"Lascia che prenda il caffè." le dico, sciogliendomi dalla sua presa. Il dolore al petto è lancinante.
"Scusami Samuel"
"No, tranquilla. Hai detto quello che pensavi, va bene così. Ma io..."
"Lo so, non devi giustificarti. Permettimi però di essere qui adesso."
"Va bene. Ti permetto di essere qui adesso."
Verso il caffè nelle tazzine e lo beviamo in silenzio, senza incrociare gli sguardi neppure una volta.
Mezzanotte.
Forse è il caso che la riaccompagni a casa.
"Posso restare a dormire qui, stanotte?"
"Cosa?"
"Voglio starti accanto stanotte. Posso restare a dormire qui?"
Guardo Hikari in cerca di un suo segno, qualcosa che mi faccia capire come devo comportarmi in questo momento. Non so cosa fare. Non so cosa dire. L'unica cosa che mi viene naturale fare, stranamente, è sorriderle.
E' strano dormire con lei accanto. O meglio, è strano stare in un letto con una donna accanto che non sia Zoe. Odori diversi. Movimenti diversi. Forme diverse. Diverso anche il respiro e il pulsare del cuore nell'aria. Non riesco a chiudere occhio. E non riesco neppure agirarmi dall'altro lato per vedere se lei stia dormendo. Se non stesse dormendo? Se avesse gli occhi spalancati a fissare la mia schiena?
Diamine, ho anche un caldo terribile con questi pantaloncini e questa maglietta. Sono abituato a dormire in mutande ma non mi sembrava il caso di farlo anche stanotte.
Che faccio, mi giro?
"Posso chiederlo ora?" Ah, allora non sta dormendo. "Quella ferita... quando l'ho vista pensavo te la fossi procurata volutamente. Come i segni che hai sulle braccia. Perdonami, io ti credo quando dici che non sei tu a farteli, ma ci sono... ci sono e io non riesco a trovare una spiegazione plausibile e non so cosa pensare perchè mi fa male l'idea che tu possa farti del male ma allo stesso tempo ti capirei e..." una cascata di parole. Mi stai inondando Serena. Dammi respiro.
"Non li faccio io. Non mi crederesti se te lo dicessi."
"Tu prova. Ma non voglio saperlo perchè sono un'impicciona... voglio saperlo perchè vorrei sapere tutto di te. A cominciare da quei segni."
Prendo un respiro. Poi un altro. Poi un altro ancora. Il battito del mio cuore piano piano rallenta. Apro gli occhi e guardando il muro bianco davanti a me immagino di scrivere un nome in modo che lei possa vederlo senza che io debba dirle nulla. Prima la zeta. Affusolata, senza spezzare i tre tratti che la compongono, quasi fosse una esse. Poi la o. Un cerchio perfetto, ma più piccolo della zeta. Molto più piccolo. Poi la e. E allungo la sua punta. E disegno un ricciolino... e poi un altro... e poi un altro... chiudo gli occhi e pronuncio quel nome.
"Zoe... è stata lei." apro gli occhi e sul muro bianco vedo di nuovo il nome che ho appena immaginato di scrivervi su.
"No Samuel. Sei stato tu..." mi volto di scatto, facendo cadere il cuscino a terra e dando uno strattone al lenzuolo.
"Zoe."
"Sei stato tu, non accusare me." mi sorride dolcemente.
"Ma sei stata tu, non io... io non..."
"Tu hai voluto che tornassimo a casa presto e tu hai voluto far l'amore. Quindi prenditi le tue responsabilità." continua a sorridermi.
"Ma di cosa stai parlando, Zoe? Io mi riferisco a questo taglio che..." mi guardo il petto. Non c'è nulla. Assolutamente nulla.
"Mi riferisco al fatto che abbiamo lasciato il compleanno di Ivan prima del tempo solo perchè tu avevi voglia di fare l'amore con me. Di quale taglio stai parlando?"
Rido. Scoppio a ridere, non riesco a trattenermi in alcun modo.
"Cos'hai da ridere Samuel?"
"Nulla. Non so se sono felice o se sono semplicemente pazzo"
"Certo che sei pazzo. Sei pazzo di me." mi dice tirandomi verso di lei con uno strattone. Il mio volto finisce tra i suoi seni. Sento le saue mani che mi accarezzano la nuca. Poi scendono sulle spalle. delicate corrono sulla mia pelle, le sue dita calde. Inarca la schiena e mi sento sprofondare nel suo corpo.
Una musica inizia a risuonare nell'aria, e ho come la sensazione di non essere noi le sole due persone presenti nella stanza.
Scosto la testa e guardo verso la porta. Hikari ci sta fissando. Dietro di lei ci sono due bambini. Anche loro ci osservano ma la loro espressione è vuota, assente.
"Zoe... c'è qualcuno qui con noi."
"Lo so." continua a muovere lentamente il suo corpo e io mi sento sprofondare sempre di più dentro di lei. Il respiro. Inizia a mancarmi il respiro e quei due bambini continuano a fissarci. Uno di loro sono io. Uno di quei bambini sono io.
Con forza mi divincolo dalla sua presa. Salto giù dal letto e mi avvicino alla porta.
"Ciao." il me stesso bambino mi saluta.
"Ciao. Che ci fai qui?"
"Mi sono perduto. Non riesco a ritrovare la strada."
"E lei chi è?"
"Lei è una mia amichetta ma non ricordo come si chiama. Anche lei ha perso la strada."
Zoe mi chiama dal letto.
"Samuel, torna qui e mettiamoci a dormire. Ho sonno."
"Arrivo."
Parlare con questo bambino non è+ certamente più strano di tutto quello che mi è successo fino ad oggi. Eppure c'è qualcosa che mi sfugge in tutto questo. Cosa c'entra il me stesso bambino con Zoe? Perchè è nel sogno che ci riguarda? fino ad ora ho sognato ricordi di me e lei, perchè ora ci sono anche io?
"A tutto c'è una spiegazione più o meno logica, Samuel. Il segreto però sta nel non domandarsi perchè una cosa avviene..." il me stesso bambino mi parla come un adulto. E quello che ha appena detto è una delle frasi ricorrenti dell'ultimo libro che ho scritto.
"Samuel, vieni a letto dai! Lo sai che non iresco a dormire se tu non sei accanto a me sotto le coperte." insiste Zoe. Torno a letto, cercando di non distogliere lo sguardo dalla porta della stanza. Lei si avvicina a me e mi abbraccia.
"Buonanotte" mi sussurra, accarezzandomi il petto proprio dove poco prima c'era la cicatrice.
"Ti fa male?"
"Cosa?"
"Qui" dice, continuando ad accarezzare il petto.
"No Zoe, quando sono con te non mi fa male."
"Bene. Allora resta con me." Lo vorrei Zoe, vorrei solo poter dormire per sempre, non svegliarmi più. Lo vorrei davvero.
Chiudo gli occhi e il suo odore cambia. Il suo odore è diverso. Il suo abbraccio è diverso.
Apro gli occhi e mi trovo nudo, avvinghiato a Serena.
Ho un erezione in corso.
Un preservativo usato è riverso sul pavimento.
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Non è possibile. Ho fatto sesso con lei e non lo ricordo.
Mi volto dall'altra parte. Il muro non è più bianco.
Sul muro c'è una scritta. La stessa che ho scritto col pensiero. La stessa che c'era nel mio sogno.
"Oddio. Che qualcuno mi aiuti." penso, cercando di non svegliare Serena che dorme profondamente.
Il muro bianco alla luce del giorno mette ancora più in risalto quella scritta.
Zoe.