venerdì 12 marzo 2010

La quarta luna - Bianco

Sono rientrato in casa da più di due ore e non riesco a distogliere lo sguardo dallo specchio. Ho gettato la camicia nella spazzatura, mi sono lavato via il sangue dal petto. La ferita è completamente chiusa. Sembra una vecchia cicatrice. Non riesco a capacitarmi della cosa, fino a due ore fa sanguinava copiosamente.
Dal riflesso nello specchio vedo Hikari che si è appisolata sul divano circondata dai cuscini e con il musetto appoggiato sul mio peluches di Stitch. Lo adora quanto me, è uno dei pochi peluches che non ha mai tentato di distruggere o divorare.
Ogni tanto solleva le orecchie, disturbata dai rumori di sottofondo, poi le riabbassa e torna a sonnecchiare. La sua tranquillità di solito è contagiosa per me, oggi non mi fa effetto. Non riesco a non pensare a quello che è successo oggi pomeriggio. Il punto interrogativo dipinto sul viso di Serena, l'aria sconvolta alla vista di tutto quel sangue. Bel primo appuntamento. Evidentemente era destino.
Il cellulare continua a squillare imperterrito. Non riesco a muovermi, l'immagine allo specchio mi incatena.
Accarezzo il vetro, all'altezza del riflesso della cicatrice.
"Ma che cosa mi sta succedendo? Forse sono diventato sonnambulo e mi faccio del male da solo di notte. Come la spiego una cosa del genere agli altri? Come potrei spiegarla a Serena?"
Finalmente il cellulare ha smesso di cantare e il silenzio è tornato a farla da padrone in casa. Dalla finestra aperta sulla strada si sente la voce di qualche passante, qualche automobile che sfreccia; il rumore della sera che scende sulla città prende poco a poco possesso dell'identità asettica e vuota della mia casa. Ho provato a dar libero sfogo alla mia creatività in questo appartamento, a renderlo confortevole e carino alla vista. Ma quello che vedo resta sempre e comunque un bilocale non mio, un appoggio temporaneo in attesa di ritrovare quei frammenti di me che ho perso per strada dopo quello che è accaduto.
Già una volta mi sono sentito in questo modo, a pensarci bene: quando morì mia nonna.
ero profondamente legato a quella donna, così come lo era lei a me. Sono cresciuto con lei, in ogni senso. Non che avessi una madre assente, anzi. Ma ero "costretto" a dividerla con mio fratello e mia sorella e in un certo senso la volevo solo per me. E così credo di essermi attaccato smodatamente e morbosamente a mia nonna. Passavo tutti i giorni con lei; io seduto al tavolino della cucina a fare i miei compiti di scuola, lei a sonnecchiare sul divano con la tv accesa su qualche telenovelas brasiliana o argentina. Mi divertiva ascoltare gli insulti che lanciava contro la sgualdrina di turno nello sceneggiato sullo schermo. Sembrava che stesse guardando scene di vita reale.
Quando morì, un pezzo di me la seguì senza pronunciar parola e lasciandomi dentro un vuoto incolmabile. Oltre a lasciarmi il senso di colpa per averla abbandonata nella fase della crescita, quando subentrano nella tua vita amici nuovi, interessi nuovi, quando perdi la voglia di passare i tuoi pomeriggi ad ascoltare le parole di una donna che fino a qualche attimo prima erano canti soavi e che qualche istante dopo, per qualche oscura ragione diventano noiose parole messe a caso nell'aria, per colmare i vuoti della solitudine che gli anni ti lasciano cadere sulle spalle.
Mi sento così anche adesso. Guardo questa cicatrice strana sul petto e non riesco a non pensare a tutte le volte in cui Zoe mi parlava e io avevo la testa altrove, a tutte le volte in cui mentre lei cucinava per me io giocavo ai videogiochi invece di osservare lei alle prese con i fornelli. A tutte le volte in cui, mentre facevamo l'amore io non riuscivo a non pensare a tutti i problemi che avevo sul lavoro invece di concentrarmi su tutto l'amore che provavo per lei.
Questa cicatrice è qui perchè adesso lei vuole che io mi ricordi di lei, sempre. O forse è qui solo perchè è un monito a tutto il dolore che mi ha causato con la sua menzognera scelta di ritrovare le nostre strade.
La mia strada era accanto a te, Zoe. E tu hai voluto proseguire da sola con accanto un altro uomo.
Il telefono riprende a squillare, forse dovrei rispondere.
"Pronto?"
"Samuel. Stai bene?" Arianna. Che piacere sentirla. La sua voce è preoccupata.
"Certo Ary, è tutto a posto. Perchè?"
"Non lo so. Sensazione strana. Poi non rispondevi al telefono prima e mi sono preoccupata, ma se mi dici che è tutto ok mi fido. Allora, com'è andata con Serena oggi?"
"Con Serena? Mmmmh... bene dai, ma non credo che ci rivedremo. In fondo voleva conoscere solo Hikari."
"Certo che sei proprio tonto, sai? Ma secondo te, cosa può interessarle di un cane se non le interessasse anche il proprietario del cane in questione?"
"Dici? No, non credo. In ogni caso non ci rivedremo comunque. Non devo averle fatto una buona impressione."
Parlare con Arianna è la cosa che più riesce a tranquillizzare il mio animo stanco e devastato a volte. La sua voce, il suo tono, le sue parole esprimono senza mezzi termini la meraviglia che quella ragazza è ingrado di donare senza neppure accorgersene.
E inoltre, pur conoscendola da relativamente poco tempo ho con lei un legame speciale. Qualcosa che supera le barriere e lo spazio tempo. Non credo esistano parole per definire quello che sento per lei. A volte mi sento insignificante dinanzi alla grandezza e all'imponenza del suo essere così rara e preziosa per il mondo. Per la mia vita.
Qualcuno suona al citofono, con insistenza anche.
"Suonano da te?" mi chiede Arianna "Chissà chissà chi sarà alla porta a quest'ora..." la sento sorridere al di là del telefono.
"Scema" le dico, mentre alzo il ricevitore del telefono "Chi è?"
Non risponde nessuno. Sento in sottofondo solo il rumore delle auto.
"Chi è?" ripeto. Al secondo silenzio, decido di riagganciare.
"Samuel, sono io." Serena. La sua voce risuona nel ricevitore e nel mio cervello. Fitta al petto. Stavolta però niente sangue.
"Serena, che ci fai qui? Aspetta lì, scendo giù."
"No, fammi salire" Ah, vuole salire.
"Ok." poso il ricevitore e apro il portone. Stranamente Hikari non si eè spostata di un centimetro al suono del citofono, quasi non lo avesse neppure sentito. "Ary, devo metter giù. C'è Serena."
"Ok, passa una buona serata. Domani voglio i dettagli, ok?"
"Buonanotte tesoro."
"Buonanotte a te." poso il cellulare sul ripiano all'ingresso e mi volto verso lo specchio. Sono ancora a petto nudo, forse è meglio che vada a metere qualcosa addosso prima che arrivi su lei.
Corro in camera e metto una camicia pulita ma non stirata. E' tutta stropicciata, ma tanto lei non si formalizzerà di certo. Mi ha visto tutto sporco di sangue, figuriamoci se le darà fastidio una camicia stropicciata.
Quest'ansia che mi pervade è insopportabile. Vorrà delle spiegazioni, è giusto che le voglia. Ma in fondo, perchè dovrei darle delle spiegazioni. non sono nessuno per lei. Non è nessuno per me. Siamo solo due persone che si sono conosciute per caso.
"Bugiardo. Tu l'hai voluta conoscere!" la mia coscienza è sempre presente e fastidiosamente sincera.
"Permesso?" eccola. Entra con imbarazzo appoggiando entrambe le mani sulla porta per spingerla. E' bellissima.
Mi avvicino e le faccio cenno di entrare in casa. Chiudo la porta dietro di me e cerco di non guardarla negli occhi.
"Scusami se son venuta fin dentro casa tua ma ero preoccupata." alzo lo sguardo e non posso fare a meno di notare che anche lei sta guardando altrove per non incrociare i miei occhi.
"Come facevio a sapere dove abito?" io non glielo ho detto. Come faceva a saperlo.
"Ti ho seguito quando sei andato via. Ho cercato di stare a debita distanza da te ma non me la sentivo di non seguirti. Sembravi sconvolto."
"Serena, sono tornato a casa più di tre ore fa. Sei stata tre ore qui sotto?"
Non risponde ma abbassa ancora di più la testa. I capelli lunghi cadono in avanti, dalle spalle.
"Vieni, ti faccio un caffè." le cingo le spalle con un braccio e la spingo in cucina. Hikari si alza dal divano e con dolcezza le si avvicina iniziando a leccarle le mani con cui stringe con forza la borsetta.
Si siede sul divano e Hikari torna tra i cuscini, accanto a lei. Non parla, sembra quasi non respirare. E dire che dovrei essere io quello sconvolto.
Preparo la moka e sistemo le tazzine e lo zucchero sul tavolino.
"Non ti offenderai se non ho piattini per le tazzine, vero?"
Scuote la testa. Ma non la alza. Perchè non mi guarda negli occhi. Mi sento in imbarazzo totale. Fino a poco prima non riuscivo a sollevare lo sguardo e adesso non desidero altro che mi guardi dritto in viso.
"Serena, io..."
"Ti fai del male da solo, Samuel?"
"No."
"Ok. Ti credo allora."
"E non vuoi sapere come mai ho quel taglio?"
"Se non me lo dici avrai le tue ragioni."
"E allora perchè sei qui?"
"Non lo so."
"Non lo sai."
"tu sapevi perchè avevi voglia di conoscermi l'altro giorno, mentre leggevo sotto quell'albero?"
"No"
"Bene."
Siamo rimasti in silenzio per dieci minuti credo. Lo so perchè più o meno è il tempo che, con la fiamma del fornello bassa, ci impiega il caffè a venir su. Sento il rumore della moka. Sento l'odore del caffè. Si mescola all'odore del silenzio che cìè nella stanza. Sostituisce l'odore della sera. Ma non copre il suo odore.
Odore di buono. Odore di donna. Odore di desiderio. Odore di imbarazzo.
"Samuel."
"Si?"
"Il caffè... credo sia pronto."
Mi alzo di scatto dalla sedia e vado in cucina a prender la moka.
Lei mi segue e mi cinge le braccia intorno al busto, da dietro. Appoggia la testa sulle mie spalle e si stringe al mio corpo. Sento il suo seno premere sulla mia schiena. Sento il suo respiro. Sento il suo cuore che batte all'impazzata. E sento le sue lacrime che bagnano la camicia.
"Serena..."
"Scusami, avevo voglia di abbracciarti."
"E perchè stai piangendo?"
"Perchè avevo voglia di farlo. Perchè sento il tuo dolore. Perchè sento dietro quel muro stai sbattendo forte i pugni in attesa di qualcuno che possa sentire le tue urla. Perchè ho bisogno di sentire le tue urla. Mi sento simile a te. Mi sento dannatamente simile a te."
Non so cosa rispondere, non ho la più pallida idea di cosa dirle.
Di nuovo dolore al petto.
"Lascia che prenda il caffè." le dico, sciogliendomi dalla sua presa. Il dolore al petto è lancinante.
"Scusami Samuel"
"No, tranquilla. Hai detto quello che pensavi, va bene così. Ma io..."
"Lo so, non devi giustificarti. Permettimi però di essere qui adesso."
"Va bene. Ti permetto di essere qui adesso."
Verso il caffè nelle tazzine e lo beviamo in silenzio, senza incrociare gli sguardi neppure una volta.
Mezzanotte.
Forse è il caso che la riaccompagni a casa.
"Posso restare a dormire qui, stanotte?"
"Cosa?"
"Voglio starti accanto stanotte. Posso restare a dormire qui?"
Guardo Hikari in cerca di un suo segno, qualcosa che mi faccia capire come devo comportarmi in questo momento. Non so cosa fare. Non so cosa dire. L'unica cosa che mi viene naturale fare, stranamente, è sorriderle.
E' strano dormire con lei accanto. O meglio, è strano stare in un letto con una donna accanto che non sia Zoe. Odori diversi. Movimenti diversi. Forme diverse. Diverso anche il respiro e il pulsare del cuore nell'aria. Non riesco a chiudere occhio. E non riesco neppure agirarmi dall'altro lato per vedere se lei stia dormendo. Se non stesse dormendo? Se avesse gli occhi spalancati a fissare la mia schiena?
Diamine, ho anche un caldo terribile con questi pantaloncini e questa maglietta. Sono abituato a dormire in mutande ma non mi sembrava il caso di farlo anche stanotte.
Che faccio, mi giro?
"Posso chiederlo ora?" Ah, allora non sta dormendo. "Quella ferita... quando l'ho vista pensavo te la fossi procurata volutamente. Come i segni che hai sulle braccia. Perdonami, io ti credo quando dici che non sei tu a farteli, ma ci sono... ci sono e io non riesco a trovare una spiegazione plausibile e non so cosa pensare perchè mi fa male l'idea che tu possa farti del male ma allo stesso tempo ti capirei e..." una cascata di parole. Mi stai inondando Serena. Dammi respiro.
"Non li faccio io. Non mi crederesti se te lo dicessi."
"Tu prova. Ma non voglio saperlo perchè sono un'impicciona... voglio saperlo perchè vorrei sapere tutto di te. A cominciare da quei segni."
Prendo un respiro. Poi un altro. Poi un altro ancora. Il battito del mio cuore piano piano rallenta. Apro gli occhi e guardando il muro bianco davanti a me immagino di scrivere un nome in modo che lei possa vederlo senza che io debba dirle nulla. Prima la zeta. Affusolata, senza spezzare i tre tratti che la compongono, quasi fosse una esse. Poi la o. Un cerchio perfetto, ma più piccolo della zeta. Molto più piccolo. Poi la e. E allungo la sua punta. E disegno un ricciolino... e poi un altro... e poi un altro... chiudo gli occhi e pronuncio quel nome.
"Zoe... è stata lei." apro gli occhi e sul muro bianco vedo di nuovo il nome che ho appena immaginato di scrivervi su.
"No Samuel. Sei stato tu..." mi volto di scatto, facendo cadere il cuscino a terra e dando uno strattone al lenzuolo.
"Zoe."
"Sei stato tu, non accusare me." mi sorride dolcemente.
"Ma sei stata tu, non io... io non..."
"Tu hai voluto che tornassimo a casa presto e tu hai voluto far l'amore. Quindi prenditi le tue responsabilità." continua a sorridermi.
"Ma di cosa stai parlando, Zoe? Io mi riferisco a questo taglio che..." mi guardo il petto. Non c'è nulla. Assolutamente nulla.
"Mi riferisco al fatto che abbiamo lasciato il compleanno di Ivan prima del tempo solo perchè tu avevi voglia di fare l'amore con me. Di quale taglio stai parlando?"
Rido. Scoppio a ridere, non riesco a trattenermi in alcun modo.
"Cos'hai da ridere Samuel?"
"Nulla. Non so se sono felice o se sono semplicemente pazzo"
"Certo che sei pazzo. Sei pazzo di me." mi dice tirandomi verso di lei con uno strattone. Il mio volto finisce tra i suoi seni. Sento le saue mani che mi accarezzano la nuca. Poi scendono sulle spalle. delicate corrono sulla mia pelle, le sue dita calde. Inarca la schiena e mi sento sprofondare nel suo corpo.
Una musica inizia a risuonare nell'aria, e ho come la sensazione di non essere noi le sole due persone presenti nella stanza.
Scosto la testa e guardo verso la porta. Hikari ci sta fissando. Dietro di lei ci sono due bambini. Anche loro ci osservano ma la loro espressione è vuota, assente.
"Zoe... c'è qualcuno qui con noi."
"Lo so." continua a muovere lentamente il suo corpo e io mi sento sprofondare sempre di più dentro di lei. Il respiro. Inizia a mancarmi il respiro e quei due bambini continuano a fissarci. Uno di loro sono io. Uno di quei bambini sono io.
Con forza mi divincolo dalla sua presa. Salto giù dal letto e mi avvicino alla porta.
"Ciao." il me stesso bambino mi saluta.
"Ciao. Che ci fai qui?"
"Mi sono perduto. Non riesco a ritrovare la strada."
"E lei chi è?"
"Lei è una mia amichetta ma non ricordo come si chiama. Anche lei ha perso la strada."
Zoe mi chiama dal letto.
"Samuel, torna qui e mettiamoci a dormire. Ho sonno."
"Arrivo."
Parlare con questo bambino non è+ certamente più strano di tutto quello che mi è successo fino ad oggi. Eppure c'è qualcosa che mi sfugge in tutto questo. Cosa c'entra il me stesso bambino con Zoe? Perchè è nel sogno che ci riguarda? fino ad ora ho sognato ricordi di me e lei, perchè ora ci sono anche io?
"A tutto c'è una spiegazione più o meno logica, Samuel. Il segreto però sta nel non domandarsi perchè una cosa avviene..." il me stesso bambino mi parla come un adulto. E quello che ha appena detto è una delle frasi ricorrenti dell'ultimo libro che ho scritto.
"Samuel, vieni a letto dai! Lo sai che non iresco a dormire se tu non sei accanto a me sotto le coperte." insiste Zoe. Torno a letto, cercando di non distogliere lo sguardo dalla porta della stanza. Lei si avvicina a me e mi abbraccia.
"Buonanotte" mi sussurra, accarezzandomi il petto proprio dove poco prima c'era la cicatrice.
"Ti fa male?"
"Cosa?"
"Qui" dice, continuando ad accarezzare il petto.
"No Zoe, quando sono con te non mi fa male."
"Bene. Allora resta con me." Lo vorrei Zoe, vorrei solo poter dormire per sempre, non svegliarmi più. Lo vorrei davvero.
Chiudo gli occhi e il suo odore cambia. Il suo odore è diverso. Il suo abbraccio è diverso.
Apro gli occhi e mi trovo nudo, avvinghiato a Serena.
Ho un erezione in corso.
Un preservativo usato è riverso sul pavimento.
Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Non è possibile. Ho fatto sesso con lei e non lo ricordo.
Mi volto dall'altra parte. Il muro non è più bianco.
Sul muro c'è una scritta. La stessa che ho scritto col pensiero. La stessa che c'era nel mio sogno.
"Oddio. Che qualcuno mi aiuti." penso, cercando di non svegliare Serena che dorme profondamente.
Il muro bianco alla luce del giorno mette ancora più in risalto quella scritta.
Zoe.

giovedì 11 marzo 2010

Il quarto sole - Rosso

Due occhi curiosi e affamati di vita. Guardare Hikari mentre passeggia felice per le strade della città mi rende davvero felice. E' una di quelle poche cose che riesce a farmi completamente dimenticare per un po' tutti i pensieri aridi e sterili che affollano la mia mente in questi ultimi mesi.
Postura fiera e goffa allo stesso tempo, zampette veloci e elegantemente ridicole, coda folta e scodinzolante. E due occhi enormi e profondi. La mia bimba è meravigliosa.
E stronza come poche.
Ogni gatto, ogni cane, ogni singolo piccione che osi tagliarle la strada diventa preda a cui abbaiare con forza e ostinazione. E i bambini. I bambini proprio non riesce a digerirli. Sarà il loro modo di fare invasivo e poco delicato, saranno le loro vocine stridule e a volte fastidiose... sarà che ultimamente la penso come lei.
E dire che ho sempre pensato di essere nato padre. Ho sempre desiderato avere dei figli, prima di quanto di solito un uomo possa desiderare legare la propria vita definitivamente ad un altro essere. Da quando Zoe mi ha lasciato è cambiato anche questo, anche se non so darne una motivazione precisa.
Arianna e Gabry dicono che secondo loro è un rigetto a tutti quelli che erano i miei desideri con Zoe... forse hanno ragione, forse no. Sono poche le cose di cui ho certezza, oramai.
Guardo l'orologio con la coda dell'occhio mentre cerco di non distogliere l'attenzione da Hikari che ha deciso di fare pipì proprio al centro della strada.
“Perchè devi scegliere sempre i posti più assurdi per liberarti? Bestia tonta... muoviti che siamo in ritardo” il suo sguardo colpevole, quando fa i bisogni, è una cosa che mi scioglie letteralmente il cuore.
In effetti siamo in ritardo di 5 minuti e io odio non essere puntuale, soprattutto se l'incontro in questione mi imbarazza già a priori.
Sono proprio stupido, non dovevo farmi convincere dai ragazzi a incontrare Serena. Non credo di essere pronto. Tra l'altro ho il terrore della reazione di Hikari all'incontro. E' gelosissima di me e quando non conosce qualcuno diventa una specie di demonio.
Carmen, la mia amica che è anche educatrice cinofila, dice che è così perchè soffre della sindrome dell'abbandono e per questo ha sviluppato un forte attaccamento nei miei confronti. Sarà... secondo me è solo perchè è femmina. E molto stronza.
Ma io l'amo da morire.
Oddio. Eccola lì. Seduta su quella panchina, con quell'aria assente e quel libro in mano, è proprio bella. E io mi sento ancora più stupido. Una come lei non potrebbe mai davvero interessarsi a uno come me. Adesso poi, dopo quello che ho passato. Ho smesso anche di curare il mio aspetto, oltre che il mio animo. Sono trasandato e sembro un barbone. E pensare che fino a qualche mese fa curavo ogni più piccolo dettaglio, dalla cintura alle mutande abbinate alla cravatta. Ma dove sono finito? Dov'è finita quella parte di me?
Ecco, mi ha visto. E Hikari ha visto lei. Dio ti prego fa che non abbai. Non abbaiare, non abbaiare. E tu non chiamarmi, aspetta che mi avvicini io,
“Ehi, stavo per perdere le speranze!” ecco, l'ha fatto, ha parlato per prima. Ma come, la bestia non dice nulla? Si limita a guardarla.
Porto le mani al petto senza rendermene conto. Una fitta. Sarà un dolore intercostale.
“Ciao Serena, scusami. Sai com'è, bisognini impellenti. E poi bisogna correre dietro ogni farfalla o mosca che passa.” mi avvicino lentamente e lascio a Hikari il tempo di capire che quella che ha davanti è una persona che conosco e di cui non deve avere paura. Anche se sembra eccessivamente tranquilla. Forse mi sono preoccupato inutilmente.
“E così lei è la bestiolina?!” No, non farlo. Si è gettata letteralmente addosso alla bestia stranamente calma. Eh?! Si sta facendo accarezzare senza problemi. Assurdo.
“Ma è dolcissima. Oh mio Dio è davvero bella” il suo sorriso è penetrante. Arrogante. Amabile. Un sorriso arrogante e amabile, che connubio insolitamente bello.
“Mi fa specie il suo comportamento, sai? Di solito con chi non conosce è aggressiva, inizialmente.”
“Beh, io sono l'eccezione che conferma la regola. Mi adora direi.” già, a vederla, la adora. Nemmeno con me Hikari ha avuto questo atteggiamento appena ci siamo conosciuti. Meglio così.
“Allora, dove vuoi andare?” le chiedo. Spero solo non voglia andare in n posto dove ci sia troppa gente, Hikari abbaierebbe tutto il tempo.
“Voglio fare il percorso che fate insieme di solito, non voglio deviare la vostra passeggiata.” ma perchè è così gentile con me? Mi spaventa quasi questo suo modo di fare.
“Ok, allora andiamo. Lasciamo che vada avanti la bestia, conosce la strada.” le porgo il guinzaglio “vuoi tenerlo tu?”
Dalla sua espressione sembra quasi che le abbia appena regalato un diamante. Le si sono illuminati gli occhi e tutto il volto di riflesso.
Prende la cima del guinzaglio con la mano destra e infila il braccio sinistro sotto il mio braccio.
Questo gesto mi lascia perplesso ma mi fa sorridere sotto i baffi e sospirare. Spero solo non se ne sia accorta, non vorrei pensasse che io la stia prendendo in giro.
Di nuovo la fitta al petto. Forse devo smettere di fumare.
“Ehi… la tua camicia!” esclama lei con gli occhi sgranati.
“Cos’ha? Non ti piace?” abbasso lo sguardo e non credo a quello che vedo. Una macchia rossa proprio al centro del petto. Sangue. Ma come diavolo…? La mia mentre ritorna alla sera prima e al sogno e alla festa delle streghe e al volto di Zoe e al risveglio. E al sangue.
Un dolore fortissimo mi costringe a piegarmi sulle ginocchia.
“Oddio. Cos’hai? Stai bene?” Serena si piega verso di me con uno scatto repentino e mi cinge le spalle.
“Si, si, tranquilla. Tutto ok. Mi sono solo spaventato per la macchia.” Hikari inizia a leccarmi il volto, preoccupata quanto Serena.
“Ma cos’è quella macchia? Sangue?” Leggo ansia nei suoi occhi.
“No, no. Ma che sangue. Deve essere il succo di frutta che ho bevuto prima al bar.” Ma sono idiota o cosa? Una bugia migliore non sapevo trovarla?
“Succo di frutta?” ripete lei incredula.
“Succo di frutta.” Le ripeto “Arancia rossa. Buonissimo, è il mio preferito” Mi rialzo e tiro fuori dalla borsa un fazzoletto di carta. Lo sistemo a mo’di bavaglino e sorrido a Serena.
“Ecco, così non si vede nulla. Anche se sono alquanto ridicolo.” Cerco di sdrammatizzare e fare l’idiota, magari la sua attenzione cadrà dal mio petto alla mia stupidaggine.
Lei sorride forzatamente e riprende a camminare. Io continuo a sentire male. Hikari continua a curiosare allegramente anche se ogni tanto si volta verso di me per vedere se sono ancora dietro di lei.

Silenziosamente siamo arrivati al parco e sempre silenziosamente abbiamo sciolto la bestia dalla sua “catena” per lasciarla correre felice. Non ci siamo scambiati neppure una parola dal momento in cui ha visto la macchia di sangue sulla mia camicia e io non me la sono sentita di intraprendere un qualsiasi discorso. Non so spiegarmene il motivo. E’ come quando, dopo un litigio con qualcuno, pur essendo io nella ragione non riesco a guardare l’altra persona negli occhi. Per imbarazzo, per orgoglio, per timidezza. Non saprei spiegare. Forse non mi piaccio quando litigo e discuto perché mi rendo conto di non essere molto in grado di controllare la rabbia e le parole in certi ambiti. O forse è semplicemente perché so di aver ferito, seppur in maniera marginale e involontaria, la persona con cui ho discusso. Fatto sta che la sensazione che provo in questo momento è proprio uguale al disagio post litigio.
Seduti a cavalcioni di una panchina non riusciamo a fare altro che fissare il silenzio negli occhi senza riuscire a buttarlo giù dal nostro incontro.
Lei giocherella con un rametto colto da terra e ogni tanto butta lo sguardo sulle mie mani che giocherellano con il guinzaglio della bimba.
“Perché non mi hai detto la verità prima?” per fortuna interrompe lei questo silenzio insopportabile, anche se lo fa con una domanda non propriamente semplice.
“Ma ti ho detto la verità. Cosa dovrei nasconderti?” non riesco a guardarla negli occhi. E’ troppo bella. E’ troppo dolce. E’ troppo incuriosita dal mio petto. “Piuttosto, cambiamo argomento. Parlami un po’ di te.” Ti prego, cambia argomento e smetti di tenermi il broncio.
“Parlarti di me. Cosa vuoi sapere, di me? Sono figlia unica, i miei genitori vivono fuori città e io sono qui per studio. Studio Discipline dello spettacolo e adoro il teatro. Mi piacciono le lunghe passeggiate all’aperto, adoro prendere il sole in una giornata di pioggia…” la sua ultima affermazione mi fa sorridere. Il sole in un giorno di pioggia.
“Perdonami, non volevo deriderti. E’ che non ha molto senso quello che dici… in merito al sole intendo.” Meglio scusarmi, altrimenti penserà che sono un grandissimo cafone.
Hikari torna come un razzo verso di noi e ci salta addosso prima di riprendere la sua corsa spericolata.
“E dire che mi sarei aspettata che uno scrittore potesse capire il senso di quello che ho detto.” Mi sfida sorridendo.
In effetti è una affermazione molto poetica, anche se non riesco comunque a trovare il senso della frase.
“Vedi… tutte le mattine mi alzo, apro la finestra e guardo il cielo. E guardo il cielo sorridendo. Anche se piove. E ripeto a me stessa: oggi è una bellissima giornata. E se sono in strada mi soffermo per lunghi attimi sotto la pioggia scrosciante e prendo il sole. Perché anche se piove, c’è. E’ lì, sopra le nuvole. E sopra quelle nuvole grigie, oscure, cariche di lacrime è davvero una bellissima giornata. Quindi cerco di catturare per me quel sole, noncurante del muro grigio che si frappone tra lui e me. E mi sembra di sentirlo sulla pelle, insieme alle gocce di pioggia. Anzi, sembra quasi che quelle gocce di pioggia siano cariche dei raggi del sole. Capisci ora quello che intendo?” mi guarda con un sorriso splendente. E mi sento completamente travolto dalle sue parole. Non avevo mai pensato prima a questa cosa. Non mi ero mai soffermato prima a pensare che in effetti, per quanto grigia possa essere una giornata, il sole è sempre lì. Dietro la coltre di nubi. Dietro la nebbia. Dietro i problemi. Dietro i pensieri negativi. Il sole è sempre lì.
“E’ davvero molto bello quello che dici. Ti ringrazio, mi hai fatto riflettere.” Le sussurro a bassa voce, quasi mi vergognassi di quello che sto dicendo.
“Sono contenta.” Si sporge verso di me e posa le sue labbra sulle mie, con delicatezza. Sento il suo bacio. Una piuma sulla pelle. Si scosta di poco, quel tanto che basta per sentire il suo respiro sul mio viso.
“Scusami, desideravo farlo da quando mi hai abbordata l’altro giorno.” Sussurra.
“No… figurati. Mi hai solo colto alla sprovvista.” Oddio, mi ha baciato. Volto di poco lo sguardo per cercare Hikari con la coda dell’occhio. E’ lì, immobile e ci fissa come fossimo due prede da studiare.
Dolore. Intenso dolore. Lacerante dolore. E questa volta parte dal petto per espandersi in tutto il corpo. Diamine. Non posso fare a meno di piegarmi di nuovo.
“Samuel!” cado dalla panchina e sento le zampe di Hikari correre verso di me. Cerco di rialzarmi di scatto. Barcollo un po’. Sono di nuovo in piedi. Lei strappa via il fazzoletto che ho ben bene sistemato sulla camicia. La macchia si è allargata.
“Samuel…” dice a bassa voce. “Che cosa…?” non riesce a terminare la frase. E anche se so cosa vuole sapere sto zitto. Cosa dovrei risponderle? Sai Serena, faccio dei sogni strani in cui la mia ex ha deciso di procurarmi ferite che per qualche strano motivo mi ritrovo anche dopo che mi sono svegliato? No, sarebbe assurda come cosa.
“Perché lo fai, Samuel?” mi fissa impietrita e vedo due lacrime solcarle il volto.
Perché lo faccio? Faccio cosa? Guardo di nuovo la camicia e poi guardo lei. E di nuovo la camicia e poi di nuovo lei. Cosa devo dirle? ODDIO. Forse crede che io mi faccia del male volontariamente.
“No, Serena. Non è come credi.” Cerco una plausibile spiegazione a quello che sta succedendo. Ma che spiegazione plausibile potrei mai darle? Cazzo, la mia camicia è inzuppata di sangue e io non riesco a fermarlo in nessun modo. Potrei dirle qualcosa di blasfemo, tipo che ho le stigmate. Dubito crederebbe.
“Samuel…” cazzo, smettila di ripetere il mio nome con quell’espressione e quel tono di voce. Non riesco a ragionare. Devo andare. Devo andare via.
“Hikari, vieni qui.” Rimetto il guinzaglio alla bimba e mi avvio verso l’uscita del parco. Alzo la mano senza voltarmi indietro, in segno di saluto.
L’ho spaventata, ovvio. Cosa vuoi che faccia adesso? Scapperà via e io non la rivedrò mai più. Meglio così. Un problema e un pensiero in meno. Più mi allontano e più il dolore diminuisce.
“Ho capito Zoe, ho capito.” Ripeto a voce bassa mentre continuo a camminare.
Sono segnato. E sono legato. E ho paura che non sarò mai in grado di strappare questo velo sottile che mi tiene ancorato al passato. Questo velo che mi tiene ancorato a Zoe. Scosto la camicia dal petto e guardo la ferita. E’ gonfia. E’ sporca di sangue. Il mio petto è tutto rosso. La mia camicia è tutta rossa.
Ovviamente, senza fazzoletto, la gente non fa che fissarmi. Corriamo Hikari. Corriamo più veloce che possiamo e torniamocene a casa.
Ho voglia di piangere.

mercoledì 19 agosto 2009

La terza luna - L'immagine allo specchio

Non riesco a scrivere nulla. Le parole non prendono forma nella mia mente e di conseguenza la schermata del mio portatile resta bianca. Oramai sono settimane che non scrivo una frase, fosse pure una semplice e banale. Sono davvero privo di ispirazione e questa cosa mi sta lacerando. Ho anche provato a buttarmi sulla pittura, di solito quando non riesco a scrivere riesco a disegnare; ma niente. Anche la tela resta bianca. Oramai l'asetticità e la desolazione dei fogli bianchi riempie la mia vita.
Già, perchè è questo quello che è la mia vita adesso: un foglio bianco. Potrei guardare la cosa dal lato positivo e immaginare le mille cose che potrei scrivervi su, le mille immagini che potrei dipingervi ma non riesco ad osservare la cosa da questo punto di vista, non ci riesco proprio. Quello che vedo è un foglio completamente vuoto che ha preso il posto di un caleidoscopico turbinio di immagini e desideri e sogni e aspettative e amore e amore e amore e amore.

Ormai sono le otto passate, Ivan, Gabry, Giorgio e Arianna dovrebbero arrivare a momenti; la cena è pronta, la tavola è imbandita e Hikari è di là che sonnecchia ma pronta a diventare una furia di coccole e feste non appena i ragazzi varcheranno la soglia di casa.
Mi alzo dalla poltrona e vado a mescolare il sugo per la pasta che è rimasto a cuocere tutto il pomeriggio a fuoco lento, nella pentola di terracotta secondo le direttive di mia madre. Capisco che i ragazzi sono arrivati perchè Hikari si è svegliata ed è sotto la finestra aperta con le orecchie e la coda dritta; riconosce le voci delle persone anche a grandi distanze. Mi guardo intorno un ultima volta prima che siano dentro casa, devo evitare che si accorgano della sua presenza. Mi ucciderebbero.
Il campanello suona e Hikari inizia ad abbaiare come una forsennata.
"Zitta! Vai in camera e aspetta lì, Bestia!" le urlo indicando la camera da letto. La piccola abbassa le orecchie e la coda e sconsolata si dirige nel luogo da me indicatole. Sarà anche una cagnetta esagitata e iperattiva, ma non si può assolutamente dire che non sia obbediente.
Eccoli, bussano alla porta.
Apro con circospezione, controllando nuovamente che sia tutto a posto.
"Ciaoooo, da quanto tempo!" la prima a salutare è Arianna, con la sua solita dolcezza.
"Ciao tesoro. Entra pure." ricambio all'abbraccio con uno altrettanto forte e poi saluto gli altri.
"Ciao Samuel."
"Ciao Giorgio." altro abbraccio, stavolta più forte di quello precedente data la prestanza fisica di Giorgio. "Ciao patatini!" mi rivolgo a Ivan e Gabry come mio solito.
"Sei uno scemo di guerra" esordisce Gabry, prima di abbracciarmi e darmi un bacio. "Volevo proprio vedere quanto tempo ancora avresti aspettato prima di farti vivo."
"Ma se ho visto Ivan proprio l'altro giorno!"
"Si, perchè lui ha insistito e tu ti sei preoccupato, altrimenti?"
"Ha ragione stavolta, Samuelino, ti tocca star zitto e subire." Ivan mi dà una pacca sulla spalla e si dirige in saletta a cercare un bicchiere d'acqua.
La voce di Arianna richiama la nostra attenzione. "Ehy, ma dov'è la piccolina?" a quelle parole un guaito e un abbaio richiamano la nostra attenzione; la bimba aspetta che io le dica che può uscire.
"Dai, vieni." e prima ancora di terminare la seconda parola lei è già lì dai ragazzi che salta e abbaia come una pazza vogliosa di coccole.
Durante la cena parliamo del più e del meno e noto con piacere che tutti cercano con attenzione di evitare l'argomento Zoe, forse per non turbarmi troppo o forse perchè sono loro a temere le mie risposte. In ogni caso, il tempo vola senza che nessuno se ne accorga e anche Hikari, dopo l'esaltazione iniziale, è adesso tranquilla sotto la mia sedia nella speranza che qualcosa mi cada dal piatto.
"Posso andare in bagno?" mi chiede Giorgio educatamente.
"Scusa, ma me lo devi anche chiedere?"
Si alza da tavola e io ne approfitto per alzarmi con lui e fumare una sigaretta alla finestra.
"Allora Samuel? come va con il libro?"
"Benissimo Ary" bugiardo "procede benissimo. Scrivo una media di un capitolo al giorno. Ho ripreso a scrivere a pieno ritmo." mi rendo conto che a volte riesco a mentire molto bene e riesco ad essere più che convincente.
"Bene, allora presto me lo farai leggere. E' il seguito del primo libro che hai scritto, vero?"
"Si, più o meno. Diciamo che per metà è il prologo di quello e per metà è il seguito." mentre pronucio quelle parole Giorgio urla il mio nome dal bagno. Colpito in pieno.
Cazzo, ho controllato ovunque tranne che in bagno. Ivan e Gabry si voltano a guardarmi con aria di rimprovero, avendo capito anche loro le ragioni dell'urlo di Giorgio.
"Samuel, ti avevamo detto di togliere tutto!" Gabry si alza e raggiunge Giorgio in bagno. Ivan resta a fissarmi per qualche secondo per poi abbassare lo sguardo e scuotere la testa.
Hanno pienamente ragione ad arrabbiarsi, ma non è semplice per me eliminare dalla mia vista ogni piccolo particolare che mi possa ricordare Zoe.
"Che succede?" Arianna si è persa parte della scena dato che era impegnata a coccolare la Bestia sotto il tavolo.
"Samuel non ha tolto di mezzo le foto di Zoe." urla Giorgio mentre esce dal bagno sventolando un primo piano della mia ex ragazza. "Anche in bagno le tieni?" Colpito di nuovo.
"Solo in bagno!" cerco di sorridere e mantenere un espressione dignitosa, anche se colpevole. "Nel resto della casa non c'è nulla."
"Perchè le hai nascoste da qualche parte in vista del nostro arrivo" bisbiglia Ivan pacatamente mentre sbuccia una pesca per la sua futura moglie. Colpito e affondato.
Giorgio si avvicina furioso e sapendo cosa mi aspetta una vlta trovatomelo dinanzi decido di cambiare discorso prima che sia tardi.
"Ho conosciuto una ragazza oggi. Si chiama Serena." silenzio. Sento i loro sguardi addosso. Aspettano che io prosegua il racconto. "Mi ha lasciato il suo numero di telefono, vuole conoscere Hikari." Ancora silenzio. Perchè non parlano? Inizio a sentirmi in imbarazzo.
Fortunatamente Gabry si fa avanti dopo qualche secondo.
"E tu cosa hai intenzione di fare?" conosco quell'aria provocatoria. Gabry è bravissima a provocare le persone, sopratutto quelle permalose e suscettibili come me.
"io... non lo so." abbasso lo sguardo in attesa di un pugno sulla spalla da parte di Giorgio o di un rimprovero da parte degli altri. Nulla. Rialzo la testa e sono ancora lì che mi fissano, tutti e quattro. Anzi, tutti e cinque. Anche Hikari sembra rapita dalla situazione e per solidarietà nei confronti degli altri ha iniziato a fissarmi anche lei.
Arianna mi cinge le spalle e mi guarda dritto negli occhi. Sorride.
"Samuel, è ora di riprendere in mano la tua vita, non credi?" Faccio spallucce.
"Senti, se non la chiami tu lo faccio io per te. E' carina?" Giorgio inizia ad indagare.
"Si, molto carina. Ma non so, non sembra essere il mio tipo. E poi lo sapete, Zoe..."
Ivan si alza e sposta Arianna prendendo il suo posto. Leva lo sguardo verso il mio e sospira. "Senti, noi siamo stanchi di vederti così. Con questa ragazza non ti ci devi sposare e non hai bisogno di sentirti in colpa nei confronti di Zoe. Esci con lei, conoscila, distraiti un po'." "E vacci a letto" si intromette Giorgio sorridendo. "puoi anche non andarci a letto" continua Ivan "ma non precluderti nulla. E poi che ne sai, magari vuole davvero solo conoscere Hikari. Quindi prendi il telefono, chiamala, mandale un messaggio, fai quello che vuoi ma domani sera esci con lei." mi abbraccia forte. Dalle sue spalle faccio il giro degli altri con lo sguardo. Mi fissano tutti. E sorridono, quasi tutti. Gabry continua ad avere sul viso una piccola espressione di rimprovero.
So bene perchè e non posso biasimarla. Io e lei siamo due persone completamente diverse, viviamo le cose in modo opposto e lei non riesce a capire come io possa essere ancora così preso da Zoe dopo tutto quello che è successo. Le sorrido. Ricambia e si volta dall'altra parte. Colpito, affondato e ripescato dal fondo dell'oceano. Per poter essere colpito un altra volta.
La serata è volata via. Sistemerò domattina, tanto è domenica e non si lavora; adesso non ne ho nessuna voglia. Fisso il cellulare e cerco di trovare il coraggio o la voglia o il desiderio o un motivo reale per inviare un messaggo a Serena. Hikari è accucciata accanto al letto, sul tappeto, ma non dorme. Ogni tanto sbadiglia, bofonchia qualcosa, si rigira, cerca una posizione migliore.
"Che palle..." lancio il cellulare sul letto e decido di fumare una sigaretta. Una volta in cucina mi accorgo che c'è qualcosa che non quadra appieno. Il lavello è sgombero e sul tavolino in sala non vi è più nulla, se non il centro tavola delle tre scimmiette "non vedo non sento non parlo" che mi ha regalato Zoe. E lei è lì, affacciata alla finestra che si accarezza i capelli.
"Amore, ho lavato io i piatti." mi dice voltandosi verso di me. "E' andata bene la cena, era tutto buonissimo" si avvicina a me e mi stringe forte "Che bello avere il moroso così bravo in cucina."
"Zoe..." bisbiglio, in un misto di felicità e rassegnazione. Hikari è sulla porta della camera che assiste alla scena, immobile.
"Dimmi cucciolo."
"Io... devo portare Hikari giù a fare i bisogni." la scosto dal mio petto e mi dirigo verso l'uscio di casa.
"Vengo con te."
"Davvero? Strano... prima non lo avresti mai fatto." le sorrido, sapendo perfettamente che farà finta di non capire quello che voglio dire. Infilo la pettorina alla Bestia e le ordino di sedersi prima di aprire la porta. "Allora? Vieni o no?" la esorto scherzosamente.
Un sorriso come risposta ed è già avvinghiata al mio braccio destro. "andiamo, andiamo, andiamo, andiamo?" ripete.
"Si, andiamo, noi tre." chiudo la porta dietro di me, nella speranza e nel terrore che chiudendo quella porta io possa svegliarmi.
Nulla. Siamo già nell'area di sgambo ad osservare Hikari che vola sull'erba del prato.
La brezza che si è levata è piacevole sulla pelle e rende il sogno più reale di quanto già non sia. Il cielo è limpido e stellato e la luna crescente è meravigliosa. Un'infinità di lucciole rendono l'atmosfera magica e surreale e in sottofondo inizio a sentire una musica dolce e melodiosa.
"Non ci credo... anche la musica." sussurro ridendo tra me e me.
"Viene dal parco, c'è una festa stasera. Vogliamo andarci?" mi domanda.
"Ci sono le bancarelle?" chiedo senza pensarci.
"Si! Si! Si! E sono piene di cosine sbrilluccicose!" è proprio la Zoe di cui sono innamorato da tanto, anche se so che in realtà non è lei.
"E allora andiamoci. Però prima riportiamo a casa la bimba."
"La bimba è appena tornata a casa, era stanca. Su, andiamo alla festa al parco." e in un battito di ciglia siamo nel bel mezzo della festa. La stessa festa a cui eravamo stati tempo prima con degli amici, la festa delle streghe che aveva tanto desiderato vedere, la festa delle streghe alla quale le avevo comperato il ciondolo di ametista che non si toglieva più di dosso.
La musica risuona nell'aria. Solo la musica. Il vociare delle persone che avevo sentito appena "arrivati" è scomparso, come sono scomparse le persone che lo provocavano. Gli strumenti del complesso musicale sono riposti con attenzione e delicatezza sul palcoscenico vuoto. Ma la musica continua a risuonare nell'aria.
Le luci sono fioche, deboli, ma illuminano quel tanto che basta da rendere l'atmosfera "magica e stregata" come ben si addice alla festa delle streghe.
"Andiamo lì, andiamo lì." mi trascina per un braccio; sembra una bambina alla sua prima volta in un parco giochi. Arriviamo ad una bancarella piena di pendagli e amuleti e ciondoli e bracciali ed anelli e orecchini, tutti rigorosamente di minerali. E' quella bancarella, la bancarella dell'altra volta.
Fisso i suoi occhi luccicanti e gioiosi. Se ne accorge.
"Che c'è? Lo sai che mi piacciono i banchetti." si volta dall'altra parte con fare imbarazzato ma al contempo felice.
"Tu vuoi questo." sollevo il ciondolo di ametista e glielo porgo. I riflessi violacei si infrangono sul suo bellissimo viso. Il suo sguardo stupito per qualche istante stupisce anche me.
"Come fai a saperlo?" lo prende dalle mie mani e lo mette al collo. Mi sorride.
"Perchè ti amo. Perchè ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Perchè ti amo oltre ogni immaginazione. Perchè ti amo come non credo sia possibile amare. Ti amo tanto, ti amo troppo... ma forse non ti ho amata abbastanza" le rispondo.
Mi si getta al collo e mi bacia. Il suo bacio mi scioglie. Il suo bacio mi annulla. Voglio restare qui, in questo sogno. Non voglio svegliarmi. Mai.
"Ti amo anch'io." sussurra sulle mie labbra socchiuse e umide del suo bacio.
Le luci intorno per qualche eterno attimo aumentano di intensità, lo stesso fa la musica. Intorno a noi sono riapparse le persone, non curanti di me, di lei, del nostro amore, dell'essere all'interno del mio sogno. Tutto è così reale. Tutto è eccessivamente reale.
"Torniamo a casa?" le chiedo.
"Si... voglio fare l'amore con te." nei suoi occhi si riflette la mia immagine e per un breve istante mi sembra di scorgere il volto di Serena.
"No" sussulto.
"Che c'è? Non vuoi fare l'amore con me?" certo che voglio, certo che voglio.
"Certo che voglio Zoe. Andiamo a casa." perchè ho visto quel volto? E' il senso di colpa?
"No Samuel, non è il senso di colpa. Te l'ho mostrato io." mi dice, seria. Mi ha letto nel pensiero. O forse l'ho detto a voce alta? O forse... ah, già, questo è un sogno. Devo smettere di crederlo reale.
"Ah si, Zoe? E perchè lo avresti fatto?"
"Perchè lei non sarà mai me. Tu lo sai. Tu sei mio. E io sono tua. Ricordalo sempre." mi sorride. Ma il suo sorriso stavolta ha qualcosa di sinistro. In tema con la festa delle streghe.
"Samuel, io sono il tuo riflesso. Quando ti guardi allo specchio, tu vedi me. Siamo una cosa sola, ormai, e lo sai bene. Io sono il tuo riflesso." mi abbraccia. Sento un dolore al petto. Una fitta. Allontano Zoe e sbottono la camicia bianca che è macciata di sangue. Il suo ciondolo mi ha ferito. Non so come, ma quel ciondolo di ametista mi ha lasciato un taglio sul petto.
"Adesso, guardandoti allo specchio, quando vedrai quel taglio ti ricorderai sempre a chi appartieni." mi fa paura. Ma allo stesso tempo non riesco a smettere di pensare a quanto io l'ami. In fondo, questo è solo un sogno e pur di averla, mi va bene anche così.
"Si Zoe, io ti appartengo." un abbaio. Hikari mi sta chiamando.
Apro gli occhi e stringo la maglietta all'altezza del petto con la mano destra. Le luci della casa sono tutte accese, devo essermi addromentato senza accorgermene. Lascio andare la maglietta e osservo il palmo della mia mano. Sangue.
"Si Zoe, ti appartengo." il mio sguardo cade sul cellulare ai piedi del letto. Lo prendo in mano. Mi è arrivato un messaggio di testo.
"Va bene per domani sera allora. Non vedo l'ora di conoscere Hikari. E di passare un altro po' di tempo insieme a te. Serena"
"Oh cazzo, le ho mandato un messaggio." una fitta al petto. Chiudo gli occhi e mi riaddormento, sperando di non svegliarmi più e di restare in quel sogno, alla festa delle streghe.

martedì 21 luglio 2009

Il terzo sole - Ombra silenziosa

Ogni giorno, appena finito di lavorare, salgo in macchina e guido verso quella che è stata per 2 anni la nostra casa. Supero l'ultimo semaforo, faccio un lungo respiro e imbocco il viottolo che mi conduce sotto la palazzina di mattoni rossi a vista. Parcheggio con precisione all'interno delle linee bianche, tiro su i finestrini, spengo lo stereo e il motore. Apro la portiera, lentamente, scendo dalla macchina e levo lo sguardo verso il balcone al terzo piano, quello che più che un balcone ormai è una giungla fatta di fiorellini e piantine varie tutte ben curate. E amate. A volte avevo l'impressione che amasse più quelle piante di quanto amasse me. Ero geloso di loro. Un po' come della nostra gattina rossa. Le attenzioni che aveva per loro erano superiori a quelle che aveva nei miei confronti. E la cosa buffa è che pur io odiandole, continuavo a regalargliene. Ogni tanto una nuova piantina da coccolare, almeno una volta a settimana una nuova rosa da seccare e da aggiungere al grande vaso colmo di fiori secchi posto in cima al mobile della sala; in sei anni ne aveva accumulate una quantità spaventosa. Ma continuava a seccarle, una dopo l'altra.
Dopo aver fissato per qualche secondo il balcone, torno in macchina e riaccendo il motore. Esco dal parcheggio e mi riimmetto in strada per tornare a quella che adesso è la mia casa.
Anche oggi sto per fare la stessa cosa. E' una specie di rito, una routine che non riesco ad abbandonare. Così facendo ho sempre l'impressione di far ritorno a casa
e la cosa mi fa sentire bene.
So che dovrei smetterla, sono perfettmente coscente che la cosa non giova affatto al mio labile status psichico, ma non riesco a farne a meno. E' un palliativo. Un triste, dolcissimo e malinconico palliativo.

La strada è completamente deserta, sembra che il caldo torrido abbia iniziato a mietere le prime vittime, e io amo la città deserta. Non posso fare a meno di amarla. Fermo al semaforo ascolto la mia canzone preferita, senza cantarla; ho smesso di cantare da un po' di tempo. A pensarci bene ho smesso di cantare continuamente, se non in rare occasioni, da quando Zoe non faceva che prendermi in giro per la mia s da serpente. Fisso la luce rossa, perdendomi tra un pensiero e un altro, ma una voce dentro di me mi chiede di distogliere per un attimo lo sguardo dal semaforo e di voltarmi a destra ; sotto un albero, all'ombra, una ragazza sta leggendo un libro. Una scena comune, normalissima, eppure così insolita. Ciò che ho dinanzi agli occhi ricorda vagamente un quadro di Monet; mancano solo gli abiti vistosi e il cappello altrettanto vistoso. Sono rapito, completamente, tanto da non sentire neppure gli automobilisti dietro di me, i loro clacson e i loro insulti. E' verde, cavoli. Avanzo di qualche metro e accosto appena mi è possibile. Non so perchè ma voglio vedere quella ragazza da vicino. Spero solo non mi prenda per un maniaco stupratore; di questi tempi, poi. Silenziosamente mi avvicino all'albero, da dietro, cercando di non farmi notare troppo. Il telefonino inizia a squillare, ovviamente. Tra l'altro la suoneria del mio cartone animato preferito non passa certo inosservata, rumorosa com'è.
La ragazza si è voltata e mi sta fissando. Sono impietrito.
Cavoli, dì qualcosa idiota che non sei altro.
"Il cellulare" mi dice indicando la mia tasca.
"No, non è il mio." che razza di cretino sono? No, non è mio? Certe volte dovrei cucirmi la bocca o mordere un limone prima di dire certe stupidaggini.
Il telefono smette di squillare, finalmente. Lei continua a fissarmi senza dire nulla, facendo in modo che il mio imbarazzo cresca ogni secondo di più.
"Scusami, non volevo disturbarti... da lontano non vedo molto bene e credevo fossi una persona che conosco" che cazzata. Ma almeno mi sono deciso a parlare.
"Figurati. Mi spiace averti deluso." risponde gentilmente per poi tornare al suo libro.
Resto immobile a fissarla, non riesco ad andare via. Non capisco perchè ma sento di voler conoscere questa ragazza, c'è qualcosa che mi spinge incontrollabilmente verso di lei.
"Posso chiederti cosa leggi?" ovviamente è la domanda più banale per attaccar bottone con una persona.
"L'Alchimista. Lo conosci?" risponde sorridendo.
"Si, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai letto."
"Beh, dovresti farlo. Credo sia indicato al tuo attuale stato." sogghigna.
"Quale stato scusa?" non credevo di essere un persona così trasparente anche con gli estranei.
"I tuoi occhi. Te lo si legge negli occhi che stai soffrendo. Rossi, gonfi, semichiusi e spenti." chiude il libro, mettendo tra le pagine una foglia raccolta da terra e si volta verso di me.
"No, quello è perchè sono miope e non porto gli occhiali." fingo di sorridere.
"Dici? Sarà... in ogni caso ti consiglio di leggerlo." fa una piccola pausa e sospira. "Tu sei?"
"Io? Mi chiamo Samuel."
"Che bel nome."
"Beh, in realtà sarebbe Samuele, ma tutti hanno sempre eliminato la e finale."
"Io sono Serena, piacere Samuel, senza la e finale." ecco, il suo nome descrive perfettamente la sensazione che provo in questo momento. Dopo tanto tempo la serenità è riuscita a fare breccia nella coltre di fumo che mi circonda l'animo, silenzosamente, senza che io potessi accorgermene. Con la mano destra dà due colpetti sul terreno, accanto a lei, invitandomi a sederle accanto. Ovviamente non me lo lascio ripetere e sorridendole mi accomodo sul terreno secco e arido.
"Allora, Samuel. Cosa fai di bello nella vita?"
"Io?... nulla di che. Lavoro come commesso in un negozio di abbigliamento in centro e intanto cerco il lavoro della mia vita."
"Ah si? E cosa vorresti fare?" la sua voce è molto dolce, calda, suadente. Mentre mi pone le sue domande di routine piega la testa prima a destra e poi a sinistra, socchiudendo lievemente gli occhi per la troppa luce.
"Se te lo dico, prometti di non ridere?"
"E perchè dovrei ridere?" ride.
"Vorrei diventare scrittore. Scrivo molto, scrivo storie.. come dire... particolari."
"Ah si? Perchè particolari?"
"Perchè il mio modo di scrivere non è molto... canonico... amo descrivere emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d'animo... tralasciando tutto il resto. Per farlo mi avvalgo di personaggi un po' particolari, come angeli, creature sovrannaturali e piume, tante piume... Ma un tipo di scrittura così, il tipo di storie che scrivo non è molto commerciale, quindi non credo che riuscirò mai a sfondare davvero."
"Mi piacerebbe leggere un tuo libro... mi incuriosisce quello che hai detto. Descrivere emozioni, deve essere bello. E dimmi, la ragazza ce l'hai?"
Zoe. Oddio, che sto facendo qui? Per qualche attimo mi ero quasi... no, non posso dirlo, non posso essermi dimenticato di lei. Devo andare via. Devo andarmene subito. Non posso minimamente pensare di parlare con una ragazza, adesso. Io amo Zoe.
"Scusami Serena, devo andare." mi alzo di scatto, quasi mi avesse punto un insetto, quasi come se avessi preso una scossa elettrica sul fondoschiena.
"Ho detto qualcosa di male? Mi dispiace." si alza e mi prende per un braccio. "Davvero Samuel, mi dispiace tanto."
"No, non preoccuparti, non hai detto nulla. E' solo che si è fatto tardi e io devo andare a casa. La mia cagnetta starà per scoppiare... devo portarla a fare pipì..." è una scusa, vero, ma è anche una mezza verità. Hikari sarà in trepidante attesa, poverina. A meno che non mi abbia già inondato casa.
"Hai una cagnetta? Come si chiama?"
"Hikari, si chiama Hikari."
"Che nome carino. E' giapponese? Il nome, intendo."
"Si, giapponese. Significa Luce, più o meno."
"Luce... e come mai, questo nome? Se posso chiederlo ovviamente."
"Perchè... perchè quando è arrivata nella mia vita... intorno a me c'era solo buio. Solo buio. E io avevo bisogno di qualcosa che tornasse ad illuminare il mio mondo. Hikari è la mia stella." oddio, la vista mi si sta appannando. Non vorrò mica piangere adesso? Devo andare.
"Adesso vado... scusami ancora. Mi ha fatto piacere conoscerti."
Mi incammino verso la macchina, cercando di non voltarmi indietro. Sento il suo sguardo sulla schiena. Pesa come un macigno, rallenta i miei movimenti. Smettila di guardarmi, ti prego. No, non è il suo sguardo che pesa, è il senso di colpa. Mi sento in colpa. Mi sento un traditore, un meschino traditore. La sola idea di voler conoscere quella ragazza mi ha reso un traditore nei confronti di Zoe, nei confronti dell'amore che provo per lei.
"Samuel!!!" mi sta chiamando. Cosa vuole? Cosa vuoi?
"Samuel, aspetta." sento i suoi passi sull'erba. Sta correndo verso di me. Mi volto lentamente ed è piegata in due dall'affanno. Senza accorgermene mi sono allontanato tantissimo. Ed ora è dietro di me, come un ombra silenziosa è arrivata dietro di me. Come un ombra silenziosa ho permesso che potesse toccare la mia vita devastata. Oddio, forse sto correndo troppo. Come al solito sto melodrammaticizzando tutto. In fondo è solo una ragazza con cui ho scambiato due parole. Una bellissima ragazza, una dolcissima ragazza, una misteriosa e affascinante ombra silenziosa.
"Dimmi Serena."
"Vorrei conoscere il tuo cane. Ti scoccia?" cosa? vuol conoscere Hikari?
"no, assolutamente..."
"Dammi la mano." mi porge la sua.
"La mia mano? Perchè?"
"Dammela." allungo verso di lei la mia mano destra e la fisso con sospetto. Estrae una penna dalla sua borsetta firmata e scrive qualcosa sul palmo della mia mano.
"Mandami un messaggio, quando avrai voglia di farmi conoscere la tua cagnolina."
Sorride e scappa nella direzione opposta alla mia. Non mi lascia neppure il tempo di risponderle. Fisso la mia mano, fisso i numeri scritti sul mio palmo, a caratteri grandi, aggraziati... e un cuoricino al posto dello zero. Non posso fare a meno di sorridere.
Torno alla macchina fissando il numero di telefono, convinto che non invierò mai quel messaggio.
Non sono andato sotto casa sua, sotto casa nostra. Ho deciso di tornare subito a casa mia e di Hikari. Ho perso troppo tempo a chiaccherare con Serena e non potevo fare aspettare ancora la Bestia. Anche se avrei potuto farlo in tutta tranquillità, dato che come mi aspettavo la mia piccolina non è riuscita a trattenere i suoi bisogni. E' lì, accucciata in un angolino, con lo sguardo colpevole e le orecchie basse. Non riesce comunque a contenere la gioia di vedermi; sbatte lentamente la coda sul pavimento in attesa di un mio segnale positivo. Le sorrido.
"Scema... vieni qui." non se lo lascia ripetere una seconda volta e nella frazione di un istante è in braccio a me che mi lecca il viso. Fisso la piccola pozzanghera sul pavimento con aria rassegnata. Il mio pensiero vola verso Zoe, mentre osservo il riflesso del lampadario sullo specchio giallognolo di pipì. E poi, inaspettatamente, la mia mente si separa e lascia che una parte del mio pensiero ricrei l'immagine di quell'ombra silenziosa dinanzi a me. Un riflesso conosciuto e un ombra silenziosa.
Zoe e Serena.
"No, non se ne parla. Io amo Zoe." ripeto tra me e me. Hikari smette di leccarmi il viso e scende dalle mie braccia. Mi fissa, come se volesse entrarmi dentro, come se volesse comprendere i miei pensieri.
"Non preoccuparti, Bestia. Papà sta bene, è solo un po' pensieroso. Ha solo avuto un attimo di debolezza."
Abbassa le orecchie e la sua coda smette di muoversi.
Devo pulire il pavimento.




venerdì 10 luglio 2009

La seconda luna - Fumo negli occhi

Il bar è pieno di gente. Non vorrei mai essere nei panni del barista, in momenti come questo. Voci che si sovrappongono mani che si intrecciano sul bancone mescita spalle che spingono altre spalle tazze e tazzine che tintinnano sui piattini caffè caffè macchiato caffè basso caffè alto cappuccino cappuccino chiaro caffè d'orzo... c'è da impazzire. Ivan è seduto al tavolino nell'angolo ad aspettarmi. Ha l'aria preoccupata, spero non sia successo nulla di grave. Cerco di farmi spazio tra la gente assetata di caffeina e carboidrati e faccio un cenno di saluto a quel povero barista rintronato dalle mille richieste in contemporanea.
"Ohi, Ivan. Scusa il ritardo. Traffico immane." mi giustifico immediatamente, ancor prima di dargli il consueto bacio sulla guancia e sedermi.
"Potevi tranquillamente dirmi che stavi ancora dormendo, Samuel. Non ti avrei fatto venir fin qui." la sua voce riesce sempre a scaldarmi il cuore. Anche ora, quel piccolo pezzo rimasto a battere nel mio petto ne è completamente avvolto.
"Cosa succede, cucciolotto? C'è qualche problema?" gli chiedo cercando di cambiar discorso per non farlo sentire in colpa per avermi svegliato. Dacchè lo conosco l'ho sempre chiamato con vezzeggiativi e nomignoli affettuosi, quasi fosse il mio ragazzo. In realtà la sua importanza nella mia vita è pari se non superiore a quella di un compagno. Lui è il mio punto fermo, la mia ancora, il mio porto sicuro, la colonna portante della mia esistenza. Insieme a Zoe. E dire che ci conosciamo da relativamente poco tempo.
"No Samuelino." anche lui usa vezzeggiativi con me "cosa succede a te?" il suo sguardo da preoccupato diventa serio. Mi ammonisce con gli occhi. Non riesco a dire nulla.
"Allora? Sono due settimane che non ti fai sentire, non rispondi ai messaggi, non rispondi al citofono. Almeno a lavoro ci stai andando?" non mi piace quando mi parla così. Sopratutto perchè so che ha ragione.
"Si. A lavoro ci vado." abbasso lo sguardo e inizio a giocherellare con l'accendino.
"Mi sono stupito, sinceramente, che tu mi abbia risposto stamattina. Cos'è? Ti ho preso alla sprovvista e siccome eri ancora addormentato non ci hai pensato?" in effetti è così, ma meglio tacere.
"Senti Ivan, mi dispiace. Sono stato un po' incasinato."
"Va bene. Allora, come stai?" la domanda è ovviamente retorica. La risposta deve essere altrettanto.
"Tutto bene. Alti e bassi, ma tutto bene." perchè mi fissa in quel modo strano?
"Cos'hai fatto all'occhio?".
"Nulla, perchè?" cos'avrà mai che non va il mio occhio? Istintivamente porto la mano al volto. Il bar si è improvvisamente svuotato.
"Samuel, hai la palpebra gonfia e arrossata. Che hai combinato?" Hikari! Giocando con lei mi sono fatto male. Ma stavo solo sognando.
"Non preoccuparti. E' stata la Bestia in un momento di svago. Avevo dimenticato la regola fondamentale dei nostri attimi di gioco e lei mi ha lasciato un ricordino." questa cosa mi lascia davvero perplesso. Ma forse è meglio non far trasparire nulla, non vorrei che lui si preoccupasse troppo e iniziasse a pensare che io sia pazzo. Così come lo penso io.
"Gabry è a lavoro?" chiedo per cambiare discorso cercando di non far apparire la cosa troppo forzata.
"Si. Ti saluta. E' preoccupata, Samuel. Come me. E come tutti gli altri." alza la mano e fa segno al barista di portare due caffè.
"Come mai il caffè? Di solito prendi il succo di pesca." a lui non piace il caffè.
"Stanotte non ho dormito molto. Mi sono svegliato verso le tre e non sono più riuscito a prender sonno." se queste parole fossero uscite dalla bocca di qualcun'altro avrei detto che a non farlo dormire potrebbe essere stata la paura del fatidico giorno del matrimonio. Ma non per Ivan. Lui non vede l'ora che arrivi quel giorno. "Non cambiare discorso però. Voglio sapere davvero come stai. Non puoi continuare a nasconderti alle persone che ti vogliono bene." la sua voce, pacata, tranquilla, dolce, mi avvolge completamente e non riesco a tacere.
"Non bene. Anzi, affatto bene. Continuo a rialzarmi e a cadere e poi a rialzarmi e poi a cadere di nuovo. Non riesco a trovare una ragione che mi spinga ad andare avanti." il barista ci porta i caffè al tavolino e accenna un sorriso. Ivan ricambia la cortesia e torna a fissarmi imperterrito e preoccupato.
"Ho iniziato a sognarla tutte le notti. E i sogni sono così reali che quando mi sveglio faccio fatica a riprendermi. Non so come fare. Vorrei soltanto tornare indietro, al momento in cui il nostro rapporto si è incrinato. Ma non capisco quando è successo, per me era tutto perfetto. Se potessi tornare a quel momento e cambiare le cose, adesso lei sarebbe ancora con me." inizio a balbettare e singhiozzare. Ecco, adesso ho raggiunto il massimo dell'umiliazione. Piangere in un bar pieno di gente.
"Perchè devi pensare a queste cose, Samuel? Ormai non puoi tornare indietro, puoi solo andare avanti." mi stringe la mano destra. Soffre per me, con me. "Quello che vorrei io è riavere il mio amico, vorrei tornare a parlare allegramente con lui, vorrei vederlo di nuovo sorridere. Se non riesci a star bene per te stesso, prova a farlo per me, per Gabry e per le persone che ti vogliono bene."
Ormai la vista è completamente annebbiata. Sento il viso bagnato dalle lacrime. Ivan si alza e si appresta a pagare i caffè. Quando torna al tavolo sono ormai in uno stato di disperazione totale. Non riesco a controllarmi, quando inizio a parlare di lei, di noi e della nostra rottura. O meglio, della sua rottura. Io non avrei mai spezzato nulla, non avrei mai potuto lasciarla. perchè mai sarei dovuto scappare dal paradiso una volta raggiunto?
"Vieni, andiamo a fare due passi così ti fumi una sigaretta e ti calmi un po'." dice dolcemente, mentre mi accarezza una spalla.
"No Ivan, grazie. Vai a fare i tuoi giri, io torno a casa. Preferisco star da solo." il suo sguardo si fa severo.
"No, tu oggi stai con me. E' tanto che non stimo un po' insieme. Ti farà bene."
Cos'altro dovrei fare, se non accettare la sua gentile e obbligata offerta?

La giornata di oggi è letteralmente volata via. Era tanto tempo che non stavo così... così serenamente. E' il grande potere che Ivan ha su di me, è l'unica persona al mondo che riesce a rasserenarmi e tranquillizzarmi senza neppure provarci, gli viene naturale. Abbiamo parlato anche dei miei sogni, in maniera più approfondita dell'accenno che gli avevo fatto questa mattina al bar. Secondo lui non devo darci peso, perchè conoscendomi finirei per considerarli una specie di segno premonitore o roba del genere e inizierei ad illudermi inutilmente. Già, illudermi. Sento continuamente persone che mi dicono che ormai è il momento di voltare pagina.
Questa però è una cosa che fa male come poche altre. Sentirmi dire che "ormai" non c'è più speranza, che "ormai" lei ha deciso, che "ormai" non tornerà indietro... la parola "ormai" è diventata per me fonte di malessere. Un malessere che sento crescere dentro ogni volta che ci penso.
Verso della Sambuca in un bicchierino di plastica, pensando che forse è arrivato il momento di comprarne qualcuno in vetro, e la bevo tutta d'un fiato. Hikari è acciambellata sulla poltrona che dorme della grossa. La invidio, vorrei riuscire a dormire così profondamente anche io. Uno strano rumore richiama la mia attenzione; proviene dall'ingresso e Hikari non può essere perchè è qui davanti a me. Vado a controllare. Nulla. Immaginazione. Il fumo della sigretta che ho in bocca mi entra negli occhi. Dio, bruciore assurdo. Il fumo negli occhi è un cosa terribile per un fumatore.
"Tutto ok, Samuel?" una voce alle mie spalle. Rispondo inconsciamente e senza esitazione.
"Si, si, tranquilla. Solo fumo negli occhi." mi volto con lo sguardo ancora appannato dalla lacrimazione. Le sue labbra sfiorano il mio viso contrito dal bruciore.
Quand'è che mi sono addormentato? O quando mi sono svegliato?
Un bacio sui miei occhi e il bruciore svanisce.
"Va meglio così?" il suo sorriso è magnifico.
Le cingo le braccia intorno alla vita e la stringo al mio corpo.
"Quando sei qui, non c'è nulla che possa andare male." la bacio. Con dolcezza, foga, delicatezza, passione, rabbia, gioia, frustrazione.
Già. Frustrazione. La questione inizia a diventare alquanto frustrante. Non capire quando sono sveglio o quando sto dormendo è terribile. Ma allo stesso tempo, mi dico che è meglio così.
"Che ore sono, Zoe?" le chiedo.
"Quasi mezzogiorno. Perchè?" il suono della sua voce pervade il mio essere intero.
"Ho voglia di andare sulla collina. Cosa ne pensi?" tante volte ci eravamo ripromessi di passare una giornata in collina, solo io e lei, e l'unica volta in cui riuscimmo ad andarci fu quando poi la sera... no, non voglio pensarci. Voglio andare. Porteremo anche Hikari stavolta.

Il sole picchia forte sulle nostre teste. La sua luce colora il paesaggio intorno, gli dona vita, una vita che di onirico ha ben poco. Hikari corre come una forsennata su e giù per la discesa della collinetta sulla quale ci siamo appostati. Lei è seduta, a gambe incrociate, e accarezza e giocherella con i miei capelli. Io ho la testa proprio tra le sue gambe e con una mano le accarezzo il collo, mentre mi perdo completamente nel suo sguardo. A parte la presenza di Hikari, tutto è come quella mattina. Un nodo in gola. Un groppo sul cuore. Una pietra sull'anima. Mi impediscono, o forse mi impedisco io stesso, di sorridere.
"Cosa c'è che non va, Samuel?" le sue dita accarezzano le mie labbra.
"Adesso faremo l'amore?" le chiedo senza mezzi termini. Ma non è una richiesta. E' una domanda, consapevole di quello che succederà tra poco.
"Se ne hai voglia, si." sorride.
"E poi, una volta a casa? mi dirai che non sai più se mi ami?" mi metto a sedere e la fisso. Lei è iimpietrita. Anche Hikari ha smesso di giocare e ci fissa da lontano. Il sole è sparito e sembra che d'un tratto l'atmosfera intorno sia mutata radicalmente. Un vento gelido colpisce i nostri corpi pietrificati e i suoi capelli sembrano impazziti.
"Ma cosa dici?" la sua voce è singhiozzante.
Arretro di due passi continuando a guardarla. Lei avanza di due passi verso di me. Hikari resta immobile a fissare la scena.
"Samuel, vieni qui."
"No Zoe. Non farmi del mle anche qui. Non usare anche questo sogno per distruggere anche la piccola parte che di me è rimasta integra." inizio a piangere. Cazzo. Non riesco a trattenermi.
"Samuel, mi vuoi spiegre cosa ti prende?" la sua voce portata dall vento impazzito di colpo mi trafigge. Schegge melodiose e taglienti feriscono tutto il mio corpo. Sangue. Inizio a sanguinare ma non sento dolore. Adesso lo so, questo è il sogno. Questo purtroppo è solo un sogno. O per fortuna. Chi può dirlo?
"Vattene Zoe."
"Tu non vuoi che io vada via." sul suo viso compaiono delle lacrime lucenti.
"Ti prego Zoe. Vai via. Non farmi più del male."
"io non te ne ho mai ftto, Samuel, e mai te ne frei. lo sai. Vieni qui da me." tende le braccia verso di me e il vento inizia a soffiare con potenza nella sua direzione. Non riesco a restare immobile. Mi sento sospinto verso di lei.
"Vattene!" Urlo più forte che posso. "Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Ti amo! Ti amo! Ti amo! Vattene! Vattene! Non andare! Non andare... non andare... ti prego, non lasciarmi anche qui." mi arrendo al mio desiderio più grande. Il vento si calma. Il sangue smette di scendere dalle mie ferite. Il sole torna a picchiare sulle nostre teste.
Hikari è ancora immobile, quasi fosse una statua. Abbasso la testa in segno di resa e lascio cadere le braccia lungo la vita.
"Io ti amo, Zoe. Ti ho sempre amata disperatamente, inevitabilmente, incontrollatamente. Non lasciarmi, ti prego." piango copiosamente. Ma non riesco a capire perchè. I motivi potrebbero essere tanti. I motivi potrebbero non esistere, in questo sogno. I motivi non esistevano neppure nel mondo reale. Perchè mi hai lasciato, Zoe?
Hikari abbaia. Mi volto verso di lei. Le lacrime mi impediscono di vederla chiaramente, ma ho l'impressione che accanto a lei ci sia qualcuno. Non è Zoe. Ma non riesco a vedere nulla. Le lacrime offuscano la mia vista, come fumo negli occhi. Li strofino, per asciugarli. Quando li riapro, ciò che vedo è un soffitto bianco. Ciò che sento è la lingua di Hikari sul mio braccio. Sangue. Sta leccando del sangue dai tagli sul mio avambraccio.
"Cazzo. Sto davvero diventando pazzo."

giovedì 9 luglio 2009

Il secondo sole - Brace ardente

Continuo ad accarezzarle i capelli, quei morbidi e setosi capelli che amo smodatamente. Ogni tanto ha un piccolo sussulto e farfuglia parole senza senso. Poi sorride. Poi stringe i pugni come un neonato tra le braccia della madre.
Hikari esce dal suo nascondiglio, sotto il letto, e mi porta uno dei suoi giocattoli preferiti guardandomi dritto negli occhi con la sua classica espressione tenera e cucciolosa. Vuol giocare. Mi lascio convincere senza sforzo, tanto a quento pare questa notte non riuscirò a dormire. Bacio delicatamente Zoe sul capo, assaporando il profumo dei suoi capelli, e prendo l'osso rosa e peloso della "bestia" dirigendomi in sala. Non posso certo rischiare di svegliare la mia bimba, domattina deve lavorare ed è meglio lasciarla riposare tranquilla.
Hikari mi segue scodinzolando e saltellando come un grillo per tutta la casa, fortunatmente, molto silenziosamente. Mi sento bene, mi sento felice, mi sento stranamente vivo stanotte. L'orologio segna le 2.22. Credevo fosse più tardi.
"Le 2.22. E io gioco col cane." bisbiglio mentre Hikari cerca di strapparmi l'osso peloso dalle mani. Mi siedo sul pavimento per star più comodo. Errore madornale. Mai dimenticare la regola fondamentale quando si gioca con il mio cane: evitare che la tua faccia sia all'altezza delle sue zampe. Lei non controlla l'euforia, piccola cagnetta esagitata, e puntualmente una sua zampa arriva a colpire ora la guancia, ora il naso, ora la bocca e a volte anche gli occhi. E così è anche questa volta. Una sua zampa arriva a colpirmi direttamente l'occhio sinistro. Come se già non fossi abbastanza miope. Mi alzo e vado a controllare in bagno che almeno la pupilla sia rimasta al suo posto. Fisso la mia immagine allo specchio e dietro di me scorgo la sagoma di Zoe.
"Perchè non vieni a dormire?" mi dice, mentre mi cinge la vita.
"Hikari non ha sonno e vuole giocare. E come al solito mi ha fatto male." la sua mano scivola veloce e delicata sul mio viso e accarezzandone la pelle allevia il dolore causato dalla zampata.
"Andiamo a letto. E' tardi." mi bacia la palpebra dell'occhio sinistro e mi dà uno schiaffetto sul fondoschiena, poi torna a dormire.
"Hai sentito Bestia? A dormire, di volata!" è bello constatare che almeno il tuo cane ha paura di te quando fai la voce grossa. Nella mia vita l'unica persona ad aver paura di me sono sempre stato io.
Torno a letto, preceduto da Hikari e dal suo osso rosa peloso. Lei è lì, accoccolata nel suo angolino che è già tornata tra le braccia di Morfeo, l'unico uomo di cui non sono geloso. Anche io adoro stare tra le sue braccia. Un bacio sulle labbra strette in un sorriso di Zoe e chiudo gli occhi.

Mi sveglio di soprassalto. Il suono incessante del telefono mi ha richiamato tra i vivi, brutalmente.
"Pronto?... no, non preoccuparti, ero già sveglio da un pezzo" bugiardo. Sono un bugiardo. Stavo dormendo della grossa, con Zoe accanto e il cane ancora stordito sotto il letto. Almeno loro non li hai svegliati, a quanto pare. "Certo, certo. Dammi solo il tempo di finire una cosa e sono subito da te." Si, finire una cosa. Svegliarmi completamente, lavarrmi e vestirmi.
Poso il telefonino sul comodino e stropiccio gli occhi con le mani ancora intorpidite dal sonno. Mi siedi sul letto in attesa che il mio corpo risponda perfettamente ai comandi che il cervello impartisce.
Vado in bagno, guardo lo specchio e ovviamente penso che vorrei solo tornare a letto, accanto alla persona che amo.
Decido di farlo, soli altri cinque minuti. Torno in camera da letto e mi fermo sulla soglia. Il letto vuoto. Lei non c'è. In quel letto non tornerà più. Perchè così ha scelto. E' stato solo un sogno, ovviamente. Un sogno merviglioso. Un sogno realistico. Un sogno desiderato.
Tutto è cambiato. Tutto cambia. Tutto brucia. In pochi attimi, in poche parole, in un solo respiro la mia vita è cambiata. Di ciò che è stato resta solo cenere, cenere che il vento non può portare via, cenere che alcuni chiamano ricordi, cenere che altri chiamano rimorsi, che altri ancora chiamano rancore. Cenere che per la maggior parte degli individui diventa monito, ammonimento, simulacro di un amore idealizzato e utopico.
Di quella brace ardente resta solo un cumulo di cenere che non si può riaccendere. Che non deve essere riaccesa.
Promesse infrante, sogni offuscati dal fumo di un fuoco che si è spento, tutti i per sempre cancellati con un colpo di dubbi e domande inutili.
E allora siedi accanto a quelle ceneri e con la mano ne sollevi un mucchietto. Fissi la tua mano per lunghi attimi, per interminabili battiti di cuore, quasi nella speranza che il tuo solo sguardo possa ridar vigore a quel mucchietto di polvere grigia.
Poi, senza rendertene conto,inconsciamente, lasci che la polvere ti scivoli dalla mano e resti a guardare senza potere o volere fare nulla.
Hai desiderato di essere migliore, hai desiderato sentirti poco più di uno zero, hai desiderato di riparare agli errori commessi in virtù e in funzione di un sogno d'amore in cui tu eri l'unico a credere. Tutto mentre quella cenere cade via dalla tua mano.
Poi capisci. Capisci che forse non ne vale la pena. Capisci che forse eri l'unico a credere davvero. Capisci che forse ciò che ti veniva detto, che ti veniva mostrato, che ti veniva donato come amore era solo parvenza di questo, mera illusione, soltanto bisogno di amare. Perchè Amore, quello vero, quello assoluto, quello immenso, quello raro, quello in cui tu hai sempre creduto, quello che tu hai provato e che ancora provi mentre fissi quel mucchietto di cenere, non finisce. Non si spegne. Può solo crescere.
Se non lo fa, se si spegne, non era ciò che credevi. Era solo bisogno di questo.
E allora ti alzi in piedi, torni in bagno e ti riguardi allo specchio. Una nuova giornata deve iniziare. Una nuova vita deve continuare.
Ringrazi per ciò che ti è stato dato e per ciò che hai vissuto.
Conserverai quell'Amore nel cuore con la consapevolezza che è vero, che è sempre stato vero, che sarà sempre vero. Quel che si è spento non ti apparteneva, quel che si è spento non era tuo. Perchè ciò che è tuo continua a bruciare dentro, a divampare nell'anima e nel cuore. A volte fa male, altre volte ti spinge ad andare avanti, altre volte ancora ti blocca in ginocchio. Quel che è tuo continua ad essere BRACE ARDENTE, sempre, comunque, dovunque.

O forse è questo il sogno. Forse sto sognando adesso e in realtà lei è andata a lavoro. Si, deve essere così. Perchè stanotte abbiamo fatto l'amore. Stanotte quella brace ha bruciato con violenza, con foga, con passione. E allora cosa devo fare?

Decido di vivere questo sogno, sperando che mi conduca da lei di nuovo. Chiamo Hikari per la passeggiata mattutina, ma lei non vuol saperne di uscir da sotto il letto.
"Tesoro, se non andiamo ora ti toccherà trattenerla fino a quando non ritorno a casa" o fino a quando non mi sarò svegliato, penso. Nulla, non vuole uscire. Beh, mi spiace ma non posso aspettare. Mi hanno cercato. Vado a espletare i miei doveri da amico, anche nel sogno. Ma se questa invece fosse la realtà? Oddio, sto impazzendo. Dovrei cercare prove tangibili del reale, ma ne ho pauraa. Perchè vorrebbe dire che allora, il sogno è stato quello di stanotte.

Lo specchio. Si, lo specchio. Stanotte Hikari mi ha colpito l'occhio, mentre giocavamo. Corro in bagno e fisso la mia immagine. Nulla. Non c'è nulla. Mi rassegno all'idea. Meglio uscire, Ivan mi sta aspettando al bar.

martedì 23 giugno 2009

La prima luna - Sopito

La giornata è trascorsa lenta, oggi. Troppo lenta. Interminabile, estenuante, monotona, monocromatica, vuota. Ci son stati momenti in cui avrei voluto legarmi un cappio al collo e farla finita.
Per fortuna, o per sfortuna dipende dall'angolazione con cui si osserva la faccenda, sono a casa adesso, anche se come al solito, giunto a questo punto della giornata, non so proprio cosa fare.
Potrei chiamare Ivan e Gabry. No, meglio di no, mi hanno sopportato già troppo in questo periodo e preferisco lasciarli liberi di godersi l'intimità di coppia. Già, l'intimità di coppia. Una delle cose che più mi manca di noi, Zoe.
Tornare a casa la sera, infilare la chiave nella serratura e non fare in tempo a girarla che tu avevi già aperto la porta con il tuo merviglioso sorriso stampato sul viso. Oppure con l'espressione crucciata, quella forzatamente infantile e dolce, perchè avevi appena combinato un guaio. Magari in cucina. O magari al computer e non sapevi cosa fare per sistemare la cosa. O magari semplicemente perchè per tutto il pomeriggio non eravamo riusciti a sentirci.
Abbracciarti forte, salutare la piccola Prue e chiederti i miei canonici 10 minuti di solitudine chiuso in bagno. Minuti che tu, ovviamente, non rispettavi mai; dopo nemmeno due minuti eri lì, dietro la porta a grattare come un gatto dispettoso e ansioso di ricevere la sua dose di coccole.
Oh Zoe, quanto mi mancano queste piccolezze, questi attimi di infinita dolcezza.
Ovviamente adesso c'è Hikari qui con me ma, anche se la sua esagitata espressione di affetto mi riempie il cuore e i rientri a casa, non è la stessa cosa.
Eccola che mi guarda incuriosita mentre mi faccio la doccia, mi osserva, mi scruta, presta attenzione ad ogni mio più piccolo movimento dalla sua postazione, proprio sotto il lavabo. Aspetta paziente che le dia da mangiare e stasera è stranamente troppo paziente. Di solito corre per tutta casa disperata, scodinzolando e abbaiando, mentre adesso è insolitamente tranquilla. Chissà, magari ha capito che con il suo modo di fare a volte mi urta non poco.
Esco dalla doccia e mi avvolgo nel morbido accappatoio rosso che lei mi regalò qualche Natale fa e inizio a fissare la mia immagine allo specchio. Le gocce d'acqua scivolano lentamente sul mio viso. Guardo più attentamente. Lacrime.
"No, di nuovo... " ultimamente piango spesso senza rendermene conto. Senza una causa scatenante, senza alcun motivo. Le lacrime scendon giù da sole, come se nulla fosse. Apro il rubinetto e mi lavo la faccia, con foga, con rabbia. Via, via, queste lacrime non le voglio più. Sono stanco di versarle. Ogni lacrima lascia sul vio viso un solco incancellabile. Non è sabbia, il vento non rimetterà tutto a posto, è carne. Il mio viso è carne. E questi solchi fanno male.

Mentre preparo la cena Hikari mantiene ancora una compostezza e una tranquillità a lei di norma sconosciute. Meglio così, riuscirò a dormire un po' meglio stanotte.
Un piatto di pasta, un bicchierino di Sambuca per digerire meglio e conciliare il sonno e passeggiata pre-dormita con la cagnolina stranamente docile e mansueta.
"Cos'hai stasera? non stai bene? Inizio un po' a preoccuparmi... domani se stai ancora così, andiamo di corsa dal veterinario." le dico mentre è intenta ad annusare ogni angolo del vialetto. Ormai le parlo come se fosse una figlia. Se qualcuno mi sentisse mentre lo faccio mi prenderebbe per pazzo.
Entriamo nell'area di sgambo del parco vicino casa, dove a quest'ora non c'è mai nessuno, e la lascio libera di scorazzare dove e come vuole. Un fulmine sull'erba. Corre, salta, si blocca e drizza le orecchie, poi riparte, scatta a destra, a sinistra. Vederla così vitale è una gioia immensa e mi tranquillizza molto. Forse è così mansueta senza una ragione particolare. O forse perchè la mia reazione di stamattina alle parole della vicina l'hanno spaventata. Ah, già, che stupido. Qullo era un sogno. Soltanto un sogno, purtroppo. Eppure era così reale, così tangibile, così... desiderato.
"Ehy, bestia, torniamo a casa." le urlo dolcemente. Bestia. La chiamo così, affettuosamente.
Alle mie parole si ferma di colpo e inizia a fissarmi. La esorto.
"Hikari, dai, è tardi. 'ndiamo!" parte a razzo, verso di me. Una scheggia nell'aria. Le metto il guinzaglio e le dò un leggero strattone. Si torna a casa.

Arrivati a destinazione Hikari corre subito verso le sue ciotole e inizia a bere, ignorando i croccantini che sono nell'altra accanto.
Sistemo il guinzaglio sul mobiletto all'ingresso e mi soffermo dinaanzi al quadro sul cavalletto.
"Devo darci del fissativo, il carboncino stà venendo tutto via." il mio dito indice accarezza i capelli di sanguigna sulla tela, seguendo il movimento che gli ho dato quando l'ho realizzato.
"Avrei dovuto fare in modo che sembrassero più morbidi... lei li ha più morbidi." non mi convince molto, quel quadro. Solitamente, se c'è anche un piccolissimo particolare che stona con l'idea che ho quando lo realizzo lo distruggo. Cutter alla mano e via di tagli sulla tela. Eppure, con questo non sono in grado di farlo, non ci riesco.
"Hikari, andiamo a dormire?"
La mia piccolina mi segue felice in camera e salta sul letto appena mi siedo e mi tolgo le scarpe. Mi spoglio, gettando i vestiti sul cumulo di abiti dall'altra parte della stanza e senza rendermene conto, con Hikari accanto, sono già sopito.

Mi giro e rigiro nel letto, cercando la posiione ideale. Fa caldo. Fa troppo caldo qui. Quasi quasi faccio come Hikari e mi trasferisco sotto il letto, sul pavimento. Almeno starei a contatto con qualcosa di freddo.
"Che c'è? Non riesci a dormire?"
Questa voce. Mi volto e apro gli occhi lentamente, molto lentamente. Il suo sorriso mi travolge come un uragano nel pieno della sua potenza.
"Zoe... " sussurro. "sto sognando, vero?" le chiedo, rassegnato.
"Ma cosa dici?" la sua voce calda riempie le mie vene, come ha sempre fatto. "Vieni qui e abbracciami. Anche se fa caldo." si volta dall'altra parte e mi porge la schiena. Amo quando ci abbracciamo così, accoccolati nel letto, l'uno accanto all'altra, l'uno dentro l'altra.
"Zoe, perchè non torni da me?" le sussurro, scostandole i lunghi e morbidi capelli rossastri dall'orecchio.
"Ma ti senti bene, Sasha?" ribatte con dolcezza. "Io sono qui. Adesso dormi, domani si lavora."
"Voglio fare l'amore, Zoe." la mia mano si allontana lentamente dalla nuca e inizia ad accarezzare i suoi fianchi. Si volta verso di me e fissa i miei occhi increduli.
"Cosa c'è?" mi chiede, accarezzandomi i capelli sulle tempie. "Cosa ti turba?"
"Nulla Zoe. Ti amo immensamente, lo sai vero?"
"Si, lo so. Anche io ti amo immensamente."
"Tanto, troppo, mai abbastanza Zoe."
"Tanto, troppo, mai abbastanza." mi ripete. Entro in lei, dolcemente, e dolcemente vi resto. Mi cullo nel suo calore. Mi lascio trasportare dalle vibrazioni della sua essenza più profonda. E' lei. E' com'è sempre stata.
Hikari, da sotto il letto, emette un gemito. Sta sognando.
E io? Sto sognando?

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...