martedì 21 luglio 2009

Il terzo sole - Ombra silenziosa

Ogni giorno, appena finito di lavorare, salgo in macchina e guido verso quella che è stata per 2 anni la nostra casa. Supero l'ultimo semaforo, faccio un lungo respiro e imbocco il viottolo che mi conduce sotto la palazzina di mattoni rossi a vista. Parcheggio con precisione all'interno delle linee bianche, tiro su i finestrini, spengo lo stereo e il motore. Apro la portiera, lentamente, scendo dalla macchina e levo lo sguardo verso il balcone al terzo piano, quello che più che un balcone ormai è una giungla fatta di fiorellini e piantine varie tutte ben curate. E amate. A volte avevo l'impressione che amasse più quelle piante di quanto amasse me. Ero geloso di loro. Un po' come della nostra gattina rossa. Le attenzioni che aveva per loro erano superiori a quelle che aveva nei miei confronti. E la cosa buffa è che pur io odiandole, continuavo a regalargliene. Ogni tanto una nuova piantina da coccolare, almeno una volta a settimana una nuova rosa da seccare e da aggiungere al grande vaso colmo di fiori secchi posto in cima al mobile della sala; in sei anni ne aveva accumulate una quantità spaventosa. Ma continuava a seccarle, una dopo l'altra.
Dopo aver fissato per qualche secondo il balcone, torno in macchina e riaccendo il motore. Esco dal parcheggio e mi riimmetto in strada per tornare a quella che adesso è la mia casa.
Anche oggi sto per fare la stessa cosa. E' una specie di rito, una routine che non riesco ad abbandonare. Così facendo ho sempre l'impressione di far ritorno a casa
e la cosa mi fa sentire bene.
So che dovrei smetterla, sono perfettmente coscente che la cosa non giova affatto al mio labile status psichico, ma non riesco a farne a meno. E' un palliativo. Un triste, dolcissimo e malinconico palliativo.

La strada è completamente deserta, sembra che il caldo torrido abbia iniziato a mietere le prime vittime, e io amo la città deserta. Non posso fare a meno di amarla. Fermo al semaforo ascolto la mia canzone preferita, senza cantarla; ho smesso di cantare da un po' di tempo. A pensarci bene ho smesso di cantare continuamente, se non in rare occasioni, da quando Zoe non faceva che prendermi in giro per la mia s da serpente. Fisso la luce rossa, perdendomi tra un pensiero e un altro, ma una voce dentro di me mi chiede di distogliere per un attimo lo sguardo dal semaforo e di voltarmi a destra ; sotto un albero, all'ombra, una ragazza sta leggendo un libro. Una scena comune, normalissima, eppure così insolita. Ciò che ho dinanzi agli occhi ricorda vagamente un quadro di Monet; mancano solo gli abiti vistosi e il cappello altrettanto vistoso. Sono rapito, completamente, tanto da non sentire neppure gli automobilisti dietro di me, i loro clacson e i loro insulti. E' verde, cavoli. Avanzo di qualche metro e accosto appena mi è possibile. Non so perchè ma voglio vedere quella ragazza da vicino. Spero solo non mi prenda per un maniaco stupratore; di questi tempi, poi. Silenziosamente mi avvicino all'albero, da dietro, cercando di non farmi notare troppo. Il telefonino inizia a squillare, ovviamente. Tra l'altro la suoneria del mio cartone animato preferito non passa certo inosservata, rumorosa com'è.
La ragazza si è voltata e mi sta fissando. Sono impietrito.
Cavoli, dì qualcosa idiota che non sei altro.
"Il cellulare" mi dice indicando la mia tasca.
"No, non è il mio." che razza di cretino sono? No, non è mio? Certe volte dovrei cucirmi la bocca o mordere un limone prima di dire certe stupidaggini.
Il telefono smette di squillare, finalmente. Lei continua a fissarmi senza dire nulla, facendo in modo che il mio imbarazzo cresca ogni secondo di più.
"Scusami, non volevo disturbarti... da lontano non vedo molto bene e credevo fossi una persona che conosco" che cazzata. Ma almeno mi sono deciso a parlare.
"Figurati. Mi spiace averti deluso." risponde gentilmente per poi tornare al suo libro.
Resto immobile a fissarla, non riesco ad andare via. Non capisco perchè ma sento di voler conoscere questa ragazza, c'è qualcosa che mi spinge incontrollabilmente verso di lei.
"Posso chiederti cosa leggi?" ovviamente è la domanda più banale per attaccar bottone con una persona.
"L'Alchimista. Lo conosci?" risponde sorridendo.
"Si, ne ho sentito parlare ma non l'ho mai letto."
"Beh, dovresti farlo. Credo sia indicato al tuo attuale stato." sogghigna.
"Quale stato scusa?" non credevo di essere un persona così trasparente anche con gli estranei.
"I tuoi occhi. Te lo si legge negli occhi che stai soffrendo. Rossi, gonfi, semichiusi e spenti." chiude il libro, mettendo tra le pagine una foglia raccolta da terra e si volta verso di me.
"No, quello è perchè sono miope e non porto gli occhiali." fingo di sorridere.
"Dici? Sarà... in ogni caso ti consiglio di leggerlo." fa una piccola pausa e sospira. "Tu sei?"
"Io? Mi chiamo Samuel."
"Che bel nome."
"Beh, in realtà sarebbe Samuele, ma tutti hanno sempre eliminato la e finale."
"Io sono Serena, piacere Samuel, senza la e finale." ecco, il suo nome descrive perfettamente la sensazione che provo in questo momento. Dopo tanto tempo la serenità è riuscita a fare breccia nella coltre di fumo che mi circonda l'animo, silenzosamente, senza che io potessi accorgermene. Con la mano destra dà due colpetti sul terreno, accanto a lei, invitandomi a sederle accanto. Ovviamente non me lo lascio ripetere e sorridendole mi accomodo sul terreno secco e arido.
"Allora, Samuel. Cosa fai di bello nella vita?"
"Io?... nulla di che. Lavoro come commesso in un negozio di abbigliamento in centro e intanto cerco il lavoro della mia vita."
"Ah si? E cosa vorresti fare?" la sua voce è molto dolce, calda, suadente. Mentre mi pone le sue domande di routine piega la testa prima a destra e poi a sinistra, socchiudendo lievemente gli occhi per la troppa luce.
"Se te lo dico, prometti di non ridere?"
"E perchè dovrei ridere?" ride.
"Vorrei diventare scrittore. Scrivo molto, scrivo storie.. come dire... particolari."
"Ah si? Perchè particolari?"
"Perchè il mio modo di scrivere non è molto... canonico... amo descrivere emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d'animo... tralasciando tutto il resto. Per farlo mi avvalgo di personaggi un po' particolari, come angeli, creature sovrannaturali e piume, tante piume... Ma un tipo di scrittura così, il tipo di storie che scrivo non è molto commerciale, quindi non credo che riuscirò mai a sfondare davvero."
"Mi piacerebbe leggere un tuo libro... mi incuriosisce quello che hai detto. Descrivere emozioni, deve essere bello. E dimmi, la ragazza ce l'hai?"
Zoe. Oddio, che sto facendo qui? Per qualche attimo mi ero quasi... no, non posso dirlo, non posso essermi dimenticato di lei. Devo andare via. Devo andarmene subito. Non posso minimamente pensare di parlare con una ragazza, adesso. Io amo Zoe.
"Scusami Serena, devo andare." mi alzo di scatto, quasi mi avesse punto un insetto, quasi come se avessi preso una scossa elettrica sul fondoschiena.
"Ho detto qualcosa di male? Mi dispiace." si alza e mi prende per un braccio. "Davvero Samuel, mi dispiace tanto."
"No, non preoccuparti, non hai detto nulla. E' solo che si è fatto tardi e io devo andare a casa. La mia cagnetta starà per scoppiare... devo portarla a fare pipì..." è una scusa, vero, ma è anche una mezza verità. Hikari sarà in trepidante attesa, poverina. A meno che non mi abbia già inondato casa.
"Hai una cagnetta? Come si chiama?"
"Hikari, si chiama Hikari."
"Che nome carino. E' giapponese? Il nome, intendo."
"Si, giapponese. Significa Luce, più o meno."
"Luce... e come mai, questo nome? Se posso chiederlo ovviamente."
"Perchè... perchè quando è arrivata nella mia vita... intorno a me c'era solo buio. Solo buio. E io avevo bisogno di qualcosa che tornasse ad illuminare il mio mondo. Hikari è la mia stella." oddio, la vista mi si sta appannando. Non vorrò mica piangere adesso? Devo andare.
"Adesso vado... scusami ancora. Mi ha fatto piacere conoscerti."
Mi incammino verso la macchina, cercando di non voltarmi indietro. Sento il suo sguardo sulla schiena. Pesa come un macigno, rallenta i miei movimenti. Smettila di guardarmi, ti prego. No, non è il suo sguardo che pesa, è il senso di colpa. Mi sento in colpa. Mi sento un traditore, un meschino traditore. La sola idea di voler conoscere quella ragazza mi ha reso un traditore nei confronti di Zoe, nei confronti dell'amore che provo per lei.
"Samuel!!!" mi sta chiamando. Cosa vuole? Cosa vuoi?
"Samuel, aspetta." sento i suoi passi sull'erba. Sta correndo verso di me. Mi volto lentamente ed è piegata in due dall'affanno. Senza accorgermene mi sono allontanato tantissimo. Ed ora è dietro di me, come un ombra silenziosa è arrivata dietro di me. Come un ombra silenziosa ho permesso che potesse toccare la mia vita devastata. Oddio, forse sto correndo troppo. Come al solito sto melodrammaticizzando tutto. In fondo è solo una ragazza con cui ho scambiato due parole. Una bellissima ragazza, una dolcissima ragazza, una misteriosa e affascinante ombra silenziosa.
"Dimmi Serena."
"Vorrei conoscere il tuo cane. Ti scoccia?" cosa? vuol conoscere Hikari?
"no, assolutamente..."
"Dammi la mano." mi porge la sua.
"La mia mano? Perchè?"
"Dammela." allungo verso di lei la mia mano destra e la fisso con sospetto. Estrae una penna dalla sua borsetta firmata e scrive qualcosa sul palmo della mia mano.
"Mandami un messaggio, quando avrai voglia di farmi conoscere la tua cagnolina."
Sorride e scappa nella direzione opposta alla mia. Non mi lascia neppure il tempo di risponderle. Fisso la mia mano, fisso i numeri scritti sul mio palmo, a caratteri grandi, aggraziati... e un cuoricino al posto dello zero. Non posso fare a meno di sorridere.
Torno alla macchina fissando il numero di telefono, convinto che non invierò mai quel messaggio.
Non sono andato sotto casa sua, sotto casa nostra. Ho deciso di tornare subito a casa mia e di Hikari. Ho perso troppo tempo a chiaccherare con Serena e non potevo fare aspettare ancora la Bestia. Anche se avrei potuto farlo in tutta tranquillità, dato che come mi aspettavo la mia piccolina non è riuscita a trattenere i suoi bisogni. E' lì, accucciata in un angolino, con lo sguardo colpevole e le orecchie basse. Non riesce comunque a contenere la gioia di vedermi; sbatte lentamente la coda sul pavimento in attesa di un mio segnale positivo. Le sorrido.
"Scema... vieni qui." non se lo lascia ripetere una seconda volta e nella frazione di un istante è in braccio a me che mi lecca il viso. Fisso la piccola pozzanghera sul pavimento con aria rassegnata. Il mio pensiero vola verso Zoe, mentre osservo il riflesso del lampadario sullo specchio giallognolo di pipì. E poi, inaspettatamente, la mia mente si separa e lascia che una parte del mio pensiero ricrei l'immagine di quell'ombra silenziosa dinanzi a me. Un riflesso conosciuto e un ombra silenziosa.
Zoe e Serena.
"No, non se ne parla. Io amo Zoe." ripeto tra me e me. Hikari smette di leccarmi il viso e scende dalle mie braccia. Mi fissa, come se volesse entrarmi dentro, come se volesse comprendere i miei pensieri.
"Non preoccuparti, Bestia. Papà sta bene, è solo un po' pensieroso. Ha solo avuto un attimo di debolezza."
Abbassa le orecchie e la sua coda smette di muoversi.
Devo pulire il pavimento.




venerdì 10 luglio 2009

La seconda luna - Fumo negli occhi

Il bar è pieno di gente. Non vorrei mai essere nei panni del barista, in momenti come questo. Voci che si sovrappongono mani che si intrecciano sul bancone mescita spalle che spingono altre spalle tazze e tazzine che tintinnano sui piattini caffè caffè macchiato caffè basso caffè alto cappuccino cappuccino chiaro caffè d'orzo... c'è da impazzire. Ivan è seduto al tavolino nell'angolo ad aspettarmi. Ha l'aria preoccupata, spero non sia successo nulla di grave. Cerco di farmi spazio tra la gente assetata di caffeina e carboidrati e faccio un cenno di saluto a quel povero barista rintronato dalle mille richieste in contemporanea.
"Ohi, Ivan. Scusa il ritardo. Traffico immane." mi giustifico immediatamente, ancor prima di dargli il consueto bacio sulla guancia e sedermi.
"Potevi tranquillamente dirmi che stavi ancora dormendo, Samuel. Non ti avrei fatto venir fin qui." la sua voce riesce sempre a scaldarmi il cuore. Anche ora, quel piccolo pezzo rimasto a battere nel mio petto ne è completamente avvolto.
"Cosa succede, cucciolotto? C'è qualche problema?" gli chiedo cercando di cambiar discorso per non farlo sentire in colpa per avermi svegliato. Dacchè lo conosco l'ho sempre chiamato con vezzeggiativi e nomignoli affettuosi, quasi fosse il mio ragazzo. In realtà la sua importanza nella mia vita è pari se non superiore a quella di un compagno. Lui è il mio punto fermo, la mia ancora, il mio porto sicuro, la colonna portante della mia esistenza. Insieme a Zoe. E dire che ci conosciamo da relativamente poco tempo.
"No Samuelino." anche lui usa vezzeggiativi con me "cosa succede a te?" il suo sguardo da preoccupato diventa serio. Mi ammonisce con gli occhi. Non riesco a dire nulla.
"Allora? Sono due settimane che non ti fai sentire, non rispondi ai messaggi, non rispondi al citofono. Almeno a lavoro ci stai andando?" non mi piace quando mi parla così. Sopratutto perchè so che ha ragione.
"Si. A lavoro ci vado." abbasso lo sguardo e inizio a giocherellare con l'accendino.
"Mi sono stupito, sinceramente, che tu mi abbia risposto stamattina. Cos'è? Ti ho preso alla sprovvista e siccome eri ancora addormentato non ci hai pensato?" in effetti è così, ma meglio tacere.
"Senti Ivan, mi dispiace. Sono stato un po' incasinato."
"Va bene. Allora, come stai?" la domanda è ovviamente retorica. La risposta deve essere altrettanto.
"Tutto bene. Alti e bassi, ma tutto bene." perchè mi fissa in quel modo strano?
"Cos'hai fatto all'occhio?".
"Nulla, perchè?" cos'avrà mai che non va il mio occhio? Istintivamente porto la mano al volto. Il bar si è improvvisamente svuotato.
"Samuel, hai la palpebra gonfia e arrossata. Che hai combinato?" Hikari! Giocando con lei mi sono fatto male. Ma stavo solo sognando.
"Non preoccuparti. E' stata la Bestia in un momento di svago. Avevo dimenticato la regola fondamentale dei nostri attimi di gioco e lei mi ha lasciato un ricordino." questa cosa mi lascia davvero perplesso. Ma forse è meglio non far trasparire nulla, non vorrei che lui si preoccupasse troppo e iniziasse a pensare che io sia pazzo. Così come lo penso io.
"Gabry è a lavoro?" chiedo per cambiare discorso cercando di non far apparire la cosa troppo forzata.
"Si. Ti saluta. E' preoccupata, Samuel. Come me. E come tutti gli altri." alza la mano e fa segno al barista di portare due caffè.
"Come mai il caffè? Di solito prendi il succo di pesca." a lui non piace il caffè.
"Stanotte non ho dormito molto. Mi sono svegliato verso le tre e non sono più riuscito a prender sonno." se queste parole fossero uscite dalla bocca di qualcun'altro avrei detto che a non farlo dormire potrebbe essere stata la paura del fatidico giorno del matrimonio. Ma non per Ivan. Lui non vede l'ora che arrivi quel giorno. "Non cambiare discorso però. Voglio sapere davvero come stai. Non puoi continuare a nasconderti alle persone che ti vogliono bene." la sua voce, pacata, tranquilla, dolce, mi avvolge completamente e non riesco a tacere.
"Non bene. Anzi, affatto bene. Continuo a rialzarmi e a cadere e poi a rialzarmi e poi a cadere di nuovo. Non riesco a trovare una ragione che mi spinga ad andare avanti." il barista ci porta i caffè al tavolino e accenna un sorriso. Ivan ricambia la cortesia e torna a fissarmi imperterrito e preoccupato.
"Ho iniziato a sognarla tutte le notti. E i sogni sono così reali che quando mi sveglio faccio fatica a riprendermi. Non so come fare. Vorrei soltanto tornare indietro, al momento in cui il nostro rapporto si è incrinato. Ma non capisco quando è successo, per me era tutto perfetto. Se potessi tornare a quel momento e cambiare le cose, adesso lei sarebbe ancora con me." inizio a balbettare e singhiozzare. Ecco, adesso ho raggiunto il massimo dell'umiliazione. Piangere in un bar pieno di gente.
"Perchè devi pensare a queste cose, Samuel? Ormai non puoi tornare indietro, puoi solo andare avanti." mi stringe la mano destra. Soffre per me, con me. "Quello che vorrei io è riavere il mio amico, vorrei tornare a parlare allegramente con lui, vorrei vederlo di nuovo sorridere. Se non riesci a star bene per te stesso, prova a farlo per me, per Gabry e per le persone che ti vogliono bene."
Ormai la vista è completamente annebbiata. Sento il viso bagnato dalle lacrime. Ivan si alza e si appresta a pagare i caffè. Quando torna al tavolo sono ormai in uno stato di disperazione totale. Non riesco a controllarmi, quando inizio a parlare di lei, di noi e della nostra rottura. O meglio, della sua rottura. Io non avrei mai spezzato nulla, non avrei mai potuto lasciarla. perchè mai sarei dovuto scappare dal paradiso una volta raggiunto?
"Vieni, andiamo a fare due passi così ti fumi una sigaretta e ti calmi un po'." dice dolcemente, mentre mi accarezza una spalla.
"No Ivan, grazie. Vai a fare i tuoi giri, io torno a casa. Preferisco star da solo." il suo sguardo si fa severo.
"No, tu oggi stai con me. E' tanto che non stimo un po' insieme. Ti farà bene."
Cos'altro dovrei fare, se non accettare la sua gentile e obbligata offerta?

La giornata di oggi è letteralmente volata via. Era tanto tempo che non stavo così... così serenamente. E' il grande potere che Ivan ha su di me, è l'unica persona al mondo che riesce a rasserenarmi e tranquillizzarmi senza neppure provarci, gli viene naturale. Abbiamo parlato anche dei miei sogni, in maniera più approfondita dell'accenno che gli avevo fatto questa mattina al bar. Secondo lui non devo darci peso, perchè conoscendomi finirei per considerarli una specie di segno premonitore o roba del genere e inizierei ad illudermi inutilmente. Già, illudermi. Sento continuamente persone che mi dicono che ormai è il momento di voltare pagina.
Questa però è una cosa che fa male come poche altre. Sentirmi dire che "ormai" non c'è più speranza, che "ormai" lei ha deciso, che "ormai" non tornerà indietro... la parola "ormai" è diventata per me fonte di malessere. Un malessere che sento crescere dentro ogni volta che ci penso.
Verso della Sambuca in un bicchierino di plastica, pensando che forse è arrivato il momento di comprarne qualcuno in vetro, e la bevo tutta d'un fiato. Hikari è acciambellata sulla poltrona che dorme della grossa. La invidio, vorrei riuscire a dormire così profondamente anche io. Uno strano rumore richiama la mia attenzione; proviene dall'ingresso e Hikari non può essere perchè è qui davanti a me. Vado a controllare. Nulla. Immaginazione. Il fumo della sigretta che ho in bocca mi entra negli occhi. Dio, bruciore assurdo. Il fumo negli occhi è un cosa terribile per un fumatore.
"Tutto ok, Samuel?" una voce alle mie spalle. Rispondo inconsciamente e senza esitazione.
"Si, si, tranquilla. Solo fumo negli occhi." mi volto con lo sguardo ancora appannato dalla lacrimazione. Le sue labbra sfiorano il mio viso contrito dal bruciore.
Quand'è che mi sono addormentato? O quando mi sono svegliato?
Un bacio sui miei occhi e il bruciore svanisce.
"Va meglio così?" il suo sorriso è magnifico.
Le cingo le braccia intorno alla vita e la stringo al mio corpo.
"Quando sei qui, non c'è nulla che possa andare male." la bacio. Con dolcezza, foga, delicatezza, passione, rabbia, gioia, frustrazione.
Già. Frustrazione. La questione inizia a diventare alquanto frustrante. Non capire quando sono sveglio o quando sto dormendo è terribile. Ma allo stesso tempo, mi dico che è meglio così.
"Che ore sono, Zoe?" le chiedo.
"Quasi mezzogiorno. Perchè?" il suono della sua voce pervade il mio essere intero.
"Ho voglia di andare sulla collina. Cosa ne pensi?" tante volte ci eravamo ripromessi di passare una giornata in collina, solo io e lei, e l'unica volta in cui riuscimmo ad andarci fu quando poi la sera... no, non voglio pensarci. Voglio andare. Porteremo anche Hikari stavolta.

Il sole picchia forte sulle nostre teste. La sua luce colora il paesaggio intorno, gli dona vita, una vita che di onirico ha ben poco. Hikari corre come una forsennata su e giù per la discesa della collinetta sulla quale ci siamo appostati. Lei è seduta, a gambe incrociate, e accarezza e giocherella con i miei capelli. Io ho la testa proprio tra le sue gambe e con una mano le accarezzo il collo, mentre mi perdo completamente nel suo sguardo. A parte la presenza di Hikari, tutto è come quella mattina. Un nodo in gola. Un groppo sul cuore. Una pietra sull'anima. Mi impediscono, o forse mi impedisco io stesso, di sorridere.
"Cosa c'è che non va, Samuel?" le sue dita accarezzano le mie labbra.
"Adesso faremo l'amore?" le chiedo senza mezzi termini. Ma non è una richiesta. E' una domanda, consapevole di quello che succederà tra poco.
"Se ne hai voglia, si." sorride.
"E poi, una volta a casa? mi dirai che non sai più se mi ami?" mi metto a sedere e la fisso. Lei è iimpietrita. Anche Hikari ha smesso di giocare e ci fissa da lontano. Il sole è sparito e sembra che d'un tratto l'atmosfera intorno sia mutata radicalmente. Un vento gelido colpisce i nostri corpi pietrificati e i suoi capelli sembrano impazziti.
"Ma cosa dici?" la sua voce è singhiozzante.
Arretro di due passi continuando a guardarla. Lei avanza di due passi verso di me. Hikari resta immobile a fissare la scena.
"Samuel, vieni qui."
"No Zoe. Non farmi del mle anche qui. Non usare anche questo sogno per distruggere anche la piccola parte che di me è rimasta integra." inizio a piangere. Cazzo. Non riesco a trattenermi.
"Samuel, mi vuoi spiegre cosa ti prende?" la sua voce portata dall vento impazzito di colpo mi trafigge. Schegge melodiose e taglienti feriscono tutto il mio corpo. Sangue. Inizio a sanguinare ma non sento dolore. Adesso lo so, questo è il sogno. Questo purtroppo è solo un sogno. O per fortuna. Chi può dirlo?
"Vattene Zoe."
"Tu non vuoi che io vada via." sul suo viso compaiono delle lacrime lucenti.
"Ti prego Zoe. Vai via. Non farmi più del male."
"io non te ne ho mai ftto, Samuel, e mai te ne frei. lo sai. Vieni qui da me." tende le braccia verso di me e il vento inizia a soffiare con potenza nella sua direzione. Non riesco a restare immobile. Mi sento sospinto verso di lei.
"Vattene!" Urlo più forte che posso. "Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Vattene! Ti amo! Ti amo! Ti amo! Vattene! Vattene! Non andare! Non andare... non andare... ti prego, non lasciarmi anche qui." mi arrendo al mio desiderio più grande. Il vento si calma. Il sangue smette di scendere dalle mie ferite. Il sole torna a picchiare sulle nostre teste.
Hikari è ancora immobile, quasi fosse una statua. Abbasso la testa in segno di resa e lascio cadere le braccia lungo la vita.
"Io ti amo, Zoe. Ti ho sempre amata disperatamente, inevitabilmente, incontrollatamente. Non lasciarmi, ti prego." piango copiosamente. Ma non riesco a capire perchè. I motivi potrebbero essere tanti. I motivi potrebbero non esistere, in questo sogno. I motivi non esistevano neppure nel mondo reale. Perchè mi hai lasciato, Zoe?
Hikari abbaia. Mi volto verso di lei. Le lacrime mi impediscono di vederla chiaramente, ma ho l'impressione che accanto a lei ci sia qualcuno. Non è Zoe. Ma non riesco a vedere nulla. Le lacrime offuscano la mia vista, come fumo negli occhi. Li strofino, per asciugarli. Quando li riapro, ciò che vedo è un soffitto bianco. Ciò che sento è la lingua di Hikari sul mio braccio. Sangue. Sta leccando del sangue dai tagli sul mio avambraccio.
"Cazzo. Sto davvero diventando pazzo."

giovedì 9 luglio 2009

Il secondo sole - Brace ardente

Continuo ad accarezzarle i capelli, quei morbidi e setosi capelli che amo smodatamente. Ogni tanto ha un piccolo sussulto e farfuglia parole senza senso. Poi sorride. Poi stringe i pugni come un neonato tra le braccia della madre.
Hikari esce dal suo nascondiglio, sotto il letto, e mi porta uno dei suoi giocattoli preferiti guardandomi dritto negli occhi con la sua classica espressione tenera e cucciolosa. Vuol giocare. Mi lascio convincere senza sforzo, tanto a quento pare questa notte non riuscirò a dormire. Bacio delicatamente Zoe sul capo, assaporando il profumo dei suoi capelli, e prendo l'osso rosa e peloso della "bestia" dirigendomi in sala. Non posso certo rischiare di svegliare la mia bimba, domattina deve lavorare ed è meglio lasciarla riposare tranquilla.
Hikari mi segue scodinzolando e saltellando come un grillo per tutta la casa, fortunatmente, molto silenziosamente. Mi sento bene, mi sento felice, mi sento stranamente vivo stanotte. L'orologio segna le 2.22. Credevo fosse più tardi.
"Le 2.22. E io gioco col cane." bisbiglio mentre Hikari cerca di strapparmi l'osso peloso dalle mani. Mi siedo sul pavimento per star più comodo. Errore madornale. Mai dimenticare la regola fondamentale quando si gioca con il mio cane: evitare che la tua faccia sia all'altezza delle sue zampe. Lei non controlla l'euforia, piccola cagnetta esagitata, e puntualmente una sua zampa arriva a colpire ora la guancia, ora il naso, ora la bocca e a volte anche gli occhi. E così è anche questa volta. Una sua zampa arriva a colpirmi direttamente l'occhio sinistro. Come se già non fossi abbastanza miope. Mi alzo e vado a controllare in bagno che almeno la pupilla sia rimasta al suo posto. Fisso la mia immagine allo specchio e dietro di me scorgo la sagoma di Zoe.
"Perchè non vieni a dormire?" mi dice, mentre mi cinge la vita.
"Hikari non ha sonno e vuole giocare. E come al solito mi ha fatto male." la sua mano scivola veloce e delicata sul mio viso e accarezzandone la pelle allevia il dolore causato dalla zampata.
"Andiamo a letto. E' tardi." mi bacia la palpebra dell'occhio sinistro e mi dà uno schiaffetto sul fondoschiena, poi torna a dormire.
"Hai sentito Bestia? A dormire, di volata!" è bello constatare che almeno il tuo cane ha paura di te quando fai la voce grossa. Nella mia vita l'unica persona ad aver paura di me sono sempre stato io.
Torno a letto, preceduto da Hikari e dal suo osso rosa peloso. Lei è lì, accoccolata nel suo angolino che è già tornata tra le braccia di Morfeo, l'unico uomo di cui non sono geloso. Anche io adoro stare tra le sue braccia. Un bacio sulle labbra strette in un sorriso di Zoe e chiudo gli occhi.

Mi sveglio di soprassalto. Il suono incessante del telefono mi ha richiamato tra i vivi, brutalmente.
"Pronto?... no, non preoccuparti, ero già sveglio da un pezzo" bugiardo. Sono un bugiardo. Stavo dormendo della grossa, con Zoe accanto e il cane ancora stordito sotto il letto. Almeno loro non li hai svegliati, a quanto pare. "Certo, certo. Dammi solo il tempo di finire una cosa e sono subito da te." Si, finire una cosa. Svegliarmi completamente, lavarrmi e vestirmi.
Poso il telefonino sul comodino e stropiccio gli occhi con le mani ancora intorpidite dal sonno. Mi siedi sul letto in attesa che il mio corpo risponda perfettamente ai comandi che il cervello impartisce.
Vado in bagno, guardo lo specchio e ovviamente penso che vorrei solo tornare a letto, accanto alla persona che amo.
Decido di farlo, soli altri cinque minuti. Torno in camera da letto e mi fermo sulla soglia. Il letto vuoto. Lei non c'è. In quel letto non tornerà più. Perchè così ha scelto. E' stato solo un sogno, ovviamente. Un sogno merviglioso. Un sogno realistico. Un sogno desiderato.
Tutto è cambiato. Tutto cambia. Tutto brucia. In pochi attimi, in poche parole, in un solo respiro la mia vita è cambiata. Di ciò che è stato resta solo cenere, cenere che il vento non può portare via, cenere che alcuni chiamano ricordi, cenere che altri chiamano rimorsi, che altri ancora chiamano rancore. Cenere che per la maggior parte degli individui diventa monito, ammonimento, simulacro di un amore idealizzato e utopico.
Di quella brace ardente resta solo un cumulo di cenere che non si può riaccendere. Che non deve essere riaccesa.
Promesse infrante, sogni offuscati dal fumo di un fuoco che si è spento, tutti i per sempre cancellati con un colpo di dubbi e domande inutili.
E allora siedi accanto a quelle ceneri e con la mano ne sollevi un mucchietto. Fissi la tua mano per lunghi attimi, per interminabili battiti di cuore, quasi nella speranza che il tuo solo sguardo possa ridar vigore a quel mucchietto di polvere grigia.
Poi, senza rendertene conto,inconsciamente, lasci che la polvere ti scivoli dalla mano e resti a guardare senza potere o volere fare nulla.
Hai desiderato di essere migliore, hai desiderato sentirti poco più di uno zero, hai desiderato di riparare agli errori commessi in virtù e in funzione di un sogno d'amore in cui tu eri l'unico a credere. Tutto mentre quella cenere cade via dalla tua mano.
Poi capisci. Capisci che forse non ne vale la pena. Capisci che forse eri l'unico a credere davvero. Capisci che forse ciò che ti veniva detto, che ti veniva mostrato, che ti veniva donato come amore era solo parvenza di questo, mera illusione, soltanto bisogno di amare. Perchè Amore, quello vero, quello assoluto, quello immenso, quello raro, quello in cui tu hai sempre creduto, quello che tu hai provato e che ancora provi mentre fissi quel mucchietto di cenere, non finisce. Non si spegne. Può solo crescere.
Se non lo fa, se si spegne, non era ciò che credevi. Era solo bisogno di questo.
E allora ti alzi in piedi, torni in bagno e ti riguardi allo specchio. Una nuova giornata deve iniziare. Una nuova vita deve continuare.
Ringrazi per ciò che ti è stato dato e per ciò che hai vissuto.
Conserverai quell'Amore nel cuore con la consapevolezza che è vero, che è sempre stato vero, che sarà sempre vero. Quel che si è spento non ti apparteneva, quel che si è spento non era tuo. Perchè ciò che è tuo continua a bruciare dentro, a divampare nell'anima e nel cuore. A volte fa male, altre volte ti spinge ad andare avanti, altre volte ancora ti blocca in ginocchio. Quel che è tuo continua ad essere BRACE ARDENTE, sempre, comunque, dovunque.

O forse è questo il sogno. Forse sto sognando adesso e in realtà lei è andata a lavoro. Si, deve essere così. Perchè stanotte abbiamo fatto l'amore. Stanotte quella brace ha bruciato con violenza, con foga, con passione. E allora cosa devo fare?

Decido di vivere questo sogno, sperando che mi conduca da lei di nuovo. Chiamo Hikari per la passeggiata mattutina, ma lei non vuol saperne di uscir da sotto il letto.
"Tesoro, se non andiamo ora ti toccherà trattenerla fino a quando non ritorno a casa" o fino a quando non mi sarò svegliato, penso. Nulla, non vuole uscire. Beh, mi spiace ma non posso aspettare. Mi hanno cercato. Vado a espletare i miei doveri da amico, anche nel sogno. Ma se questa invece fosse la realtà? Oddio, sto impazzendo. Dovrei cercare prove tangibili del reale, ma ne ho pauraa. Perchè vorrebbe dire che allora, il sogno è stato quello di stanotte.

Lo specchio. Si, lo specchio. Stanotte Hikari mi ha colpito l'occhio, mentre giocavamo. Corro in bagno e fisso la mia immagine. Nulla. Non c'è nulla. Mi rassegno all'idea. Meglio uscire, Ivan mi sta aspettando al bar.

martedì 23 giugno 2009

La prima luna - Sopito

La giornata è trascorsa lenta, oggi. Troppo lenta. Interminabile, estenuante, monotona, monocromatica, vuota. Ci son stati momenti in cui avrei voluto legarmi un cappio al collo e farla finita.
Per fortuna, o per sfortuna dipende dall'angolazione con cui si osserva la faccenda, sono a casa adesso, anche se come al solito, giunto a questo punto della giornata, non so proprio cosa fare.
Potrei chiamare Ivan e Gabry. No, meglio di no, mi hanno sopportato già troppo in questo periodo e preferisco lasciarli liberi di godersi l'intimità di coppia. Già, l'intimità di coppia. Una delle cose che più mi manca di noi, Zoe.
Tornare a casa la sera, infilare la chiave nella serratura e non fare in tempo a girarla che tu avevi già aperto la porta con il tuo merviglioso sorriso stampato sul viso. Oppure con l'espressione crucciata, quella forzatamente infantile e dolce, perchè avevi appena combinato un guaio. Magari in cucina. O magari al computer e non sapevi cosa fare per sistemare la cosa. O magari semplicemente perchè per tutto il pomeriggio non eravamo riusciti a sentirci.
Abbracciarti forte, salutare la piccola Prue e chiederti i miei canonici 10 minuti di solitudine chiuso in bagno. Minuti che tu, ovviamente, non rispettavi mai; dopo nemmeno due minuti eri lì, dietro la porta a grattare come un gatto dispettoso e ansioso di ricevere la sua dose di coccole.
Oh Zoe, quanto mi mancano queste piccolezze, questi attimi di infinita dolcezza.
Ovviamente adesso c'è Hikari qui con me ma, anche se la sua esagitata espressione di affetto mi riempie il cuore e i rientri a casa, non è la stessa cosa.
Eccola che mi guarda incuriosita mentre mi faccio la doccia, mi osserva, mi scruta, presta attenzione ad ogni mio più piccolo movimento dalla sua postazione, proprio sotto il lavabo. Aspetta paziente che le dia da mangiare e stasera è stranamente troppo paziente. Di solito corre per tutta casa disperata, scodinzolando e abbaiando, mentre adesso è insolitamente tranquilla. Chissà, magari ha capito che con il suo modo di fare a volte mi urta non poco.
Esco dalla doccia e mi avvolgo nel morbido accappatoio rosso che lei mi regalò qualche Natale fa e inizio a fissare la mia immagine allo specchio. Le gocce d'acqua scivolano lentamente sul mio viso. Guardo più attentamente. Lacrime.
"No, di nuovo... " ultimamente piango spesso senza rendermene conto. Senza una causa scatenante, senza alcun motivo. Le lacrime scendon giù da sole, come se nulla fosse. Apro il rubinetto e mi lavo la faccia, con foga, con rabbia. Via, via, queste lacrime non le voglio più. Sono stanco di versarle. Ogni lacrima lascia sul vio viso un solco incancellabile. Non è sabbia, il vento non rimetterà tutto a posto, è carne. Il mio viso è carne. E questi solchi fanno male.

Mentre preparo la cena Hikari mantiene ancora una compostezza e una tranquillità a lei di norma sconosciute. Meglio così, riuscirò a dormire un po' meglio stanotte.
Un piatto di pasta, un bicchierino di Sambuca per digerire meglio e conciliare il sonno e passeggiata pre-dormita con la cagnolina stranamente docile e mansueta.
"Cos'hai stasera? non stai bene? Inizio un po' a preoccuparmi... domani se stai ancora così, andiamo di corsa dal veterinario." le dico mentre è intenta ad annusare ogni angolo del vialetto. Ormai le parlo come se fosse una figlia. Se qualcuno mi sentisse mentre lo faccio mi prenderebbe per pazzo.
Entriamo nell'area di sgambo del parco vicino casa, dove a quest'ora non c'è mai nessuno, e la lascio libera di scorazzare dove e come vuole. Un fulmine sull'erba. Corre, salta, si blocca e drizza le orecchie, poi riparte, scatta a destra, a sinistra. Vederla così vitale è una gioia immensa e mi tranquillizza molto. Forse è così mansueta senza una ragione particolare. O forse perchè la mia reazione di stamattina alle parole della vicina l'hanno spaventata. Ah, già, che stupido. Qullo era un sogno. Soltanto un sogno, purtroppo. Eppure era così reale, così tangibile, così... desiderato.
"Ehy, bestia, torniamo a casa." le urlo dolcemente. Bestia. La chiamo così, affettuosamente.
Alle mie parole si ferma di colpo e inizia a fissarmi. La esorto.
"Hikari, dai, è tardi. 'ndiamo!" parte a razzo, verso di me. Una scheggia nell'aria. Le metto il guinzaglio e le dò un leggero strattone. Si torna a casa.

Arrivati a destinazione Hikari corre subito verso le sue ciotole e inizia a bere, ignorando i croccantini che sono nell'altra accanto.
Sistemo il guinzaglio sul mobiletto all'ingresso e mi soffermo dinaanzi al quadro sul cavalletto.
"Devo darci del fissativo, il carboncino stà venendo tutto via." il mio dito indice accarezza i capelli di sanguigna sulla tela, seguendo il movimento che gli ho dato quando l'ho realizzato.
"Avrei dovuto fare in modo che sembrassero più morbidi... lei li ha più morbidi." non mi convince molto, quel quadro. Solitamente, se c'è anche un piccolissimo particolare che stona con l'idea che ho quando lo realizzo lo distruggo. Cutter alla mano e via di tagli sulla tela. Eppure, con questo non sono in grado di farlo, non ci riesco.
"Hikari, andiamo a dormire?"
La mia piccolina mi segue felice in camera e salta sul letto appena mi siedo e mi tolgo le scarpe. Mi spoglio, gettando i vestiti sul cumulo di abiti dall'altra parte della stanza e senza rendermene conto, con Hikari accanto, sono già sopito.

Mi giro e rigiro nel letto, cercando la posiione ideale. Fa caldo. Fa troppo caldo qui. Quasi quasi faccio come Hikari e mi trasferisco sotto il letto, sul pavimento. Almeno starei a contatto con qualcosa di freddo.
"Che c'è? Non riesci a dormire?"
Questa voce. Mi volto e apro gli occhi lentamente, molto lentamente. Il suo sorriso mi travolge come un uragano nel pieno della sua potenza.
"Zoe... " sussurro. "sto sognando, vero?" le chiedo, rassegnato.
"Ma cosa dici?" la sua voce calda riempie le mie vene, come ha sempre fatto. "Vieni qui e abbracciami. Anche se fa caldo." si volta dall'altra parte e mi porge la schiena. Amo quando ci abbracciamo così, accoccolati nel letto, l'uno accanto all'altra, l'uno dentro l'altra.
"Zoe, perchè non torni da me?" le sussurro, scostandole i lunghi e morbidi capelli rossastri dall'orecchio.
"Ma ti senti bene, Sasha?" ribatte con dolcezza. "Io sono qui. Adesso dormi, domani si lavora."
"Voglio fare l'amore, Zoe." la mia mano si allontana lentamente dalla nuca e inizia ad accarezzare i suoi fianchi. Si volta verso di me e fissa i miei occhi increduli.
"Cosa c'è?" mi chiede, accarezzandomi i capelli sulle tempie. "Cosa ti turba?"
"Nulla Zoe. Ti amo immensamente, lo sai vero?"
"Si, lo so. Anche io ti amo immensamente."
"Tanto, troppo, mai abbastanza Zoe."
"Tanto, troppo, mai abbastanza." mi ripete. Entro in lei, dolcemente, e dolcemente vi resto. Mi cullo nel suo calore. Mi lascio trasportare dalle vibrazioni della sua essenza più profonda. E' lei. E' com'è sempre stata.
Hikari, da sotto il letto, emette un gemito. Sta sognando.
E io? Sto sognando?

sabato 6 giugno 2009

Il primo sole - Risveglio

I miei occhi faticano ad aprirsi.
A nulla serve l'incessante e martellante suono della sveglia, i miei occhi non vogliono aprirsi e guardare per il trentesimo giorno quel soffitto bianco, vuoto, sconosciuto.
Hikari continua a leccare il mio braccio emettendo guaiti fastidiosi. Vuole scendere giù, vuole fare i bisogni che ha trattenuto per tutta la notte. Devo ammettere però che la sua lingua calda sul mio braccio è una sensazione piacevole, come poche riesco a provarne ultimamente.
Un mese.
E' trascorso soltanto un mese. O forse dovrei dire che è già trascorso un mese. Dove sei adesso? A cosa stai pensando? Cosa stanno guardando quei tuoi occhi meravigliosamente profondi?
I miei occhi chiusi stanno osservando una nostra foto insieme, ben impressa nella mia anima, scattata l'anno scorso, in montagna. I due uomini delle nevi, come ci avevi definiti tu, vestiti nello stesso identico modo, con lo stesso identico sorriso di chi si ama profondamente, intensamente, incontrollabilmente. Non è il bianco della neve intorno a noi ad illuminare le nostre figure. Non è il sole, forte e deciso sui nostri giubbotti neri e riflesso nei nostri occhiali da sole, a scaldare quell'immagine così bella.
Siamo noi stessi a brillare. Il tuo braccio, saldamente ancorato al mio. La tua spalla destra che sfiora la mia spalla sinistra, quasi a voler ricordare l'appartenenza dell'uno all'altra.
I nostri sorrisi, veri, vitali, innamorati.
I miei occhi chusi stanno osservando quell'immagine nell'enorme bagaglio dei ricordi. I tuoi, invece? Hanno ancora la possibilità di incrociare un nostro abbraccio, in quella che è stata la nostra casa oppure hai già tolto tutto ciò che poteva ritrarre il nostro amore?
E' passato un mese, soltanto un mese, già un mese. E io sono qui a chiedermi perché non abbiamo avuto la forza di ritentare. Perché non hai avuto la forza di ritentare. Perché non hai voluto ritentare.
La risposta, probabilmente, la conosciamo entrambi. La differenza tra noi è che io ho il coraggio di ammetterlo, pur facendomi male, pur causando nel mio animo un dolore difficilmente immaginabile da un essere umano.
Dove sei, amore mio? Cosa stai facendo ora?
E io, dove sono?
Cosa farò ora?
Sarò in grado di riprendere in mano le redini della mia vita?
Sarò in grado di ricostruire pezzo per pezzo il puzzle del mio cuore in frantumi?
Sarò capace di ricominciare da me stesso?
Ci ho provato, ci sto provando. Ho raccolto ogni pezzo di me dal terreno e lo sto pian piano rimettendo al posto che gli compete ma ogni volta sembra che io commetta qualche errore; tutto cade in terra di nuovo.
Apro gli occhi, finalmente, ma solo perché Hikari decide di saltarmi di peso addosso e iniziare a ringhiare. Poverina, non riesce più a trattenersi; la mia apatia non deve assolutamente ripercuotersi su questa cagnetta dolcissima, non sarebbe giusto far pagare a lei la mia totale mancanza di voglia di fare.
“Buongiorno amore di papà” le sussurro accarezzandole il muso. La sua risposta è un balzo sul pavimento e un abbaio di rimprovero. Non posso darle torto.
Mi alzo e infilo i jeans riversi sul pavimento, cerco la maglia che avevo indosso ieri sera ma in tutto questo caos non riesco a raccapezzarmi. Quella rosa, stropicciata e probabilmente sporca, andrà benissimo, dopotutto deevo solo portare il cane giù.
Hikari mi attende paziente alla porta d'ingresso, seduta diligentemente su due zampe e con la coda in costante e regolare movimento. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra, sinistra...
“Andiamo, bestia!”

Nel chiudere dietro di me la porta di casa il mio sguardo cade sull'ultima tela che ho dipinto ancora appoggiata sul cavalletto. Sembra sorridermi. Non posso che ricambiare quel sorriso, anche se il mio sorriso è ormai velato da una profonda tristezza.

Questa passeggiata è durata troppo, forse è meglio tornare in casa e decidere cosa fare della giornata di oggi, la prima giornata libera da un bel po' di tempo. Ovviamente Hikari non vuole saperne di tornare su. Sulla strada del ritorno incontro la mia vicina di casa, gentilissima signora di mezz'età forse eccessivamente accondiscendente e sorridente. Mentre mi parla, non so ben di cosa, i suoi troppi sorrisi mi disturbano non poco ma purtroppo il mio dover essere gentile e cortese con tutti non mi permette di dirle ciò che vorrei. Un momento. Neel fiume di parole appena pronunciate mi è sembrato di sentire qualcosa di strano.

"Mi scusi signora, cosa ha detto?" chiedo garbatamente.

"Nulla, dicevo solo che la tua ragazza stamattina è stata così gentile da aiutarmi a portare su in casa la spesa. E' proprio una persona carina, così a modo. E poi è molto bella sai? Dovresti..." le sue parole non entrano più nelle mie orecchie. Il mio pensiero è fisso sulla frase che ha proninciato pochi secondi prima. La mia ragazza?

"Mi scusi signora, è sicura che sia stata proprio la mia ragazza?" le chiedo. Magari si sbglia.

"Certo che ne sono sicura. La conosco bene, io. Vivete qui da un mese ormai. E poi vi vedo sempre insieme!" ma cosa sta dicendo questa donna? Io vivo da solo, da un mese. O forse... forse è stato solo un incubo. Forse questo ultimo mese è stato solo frutto della mia immaginazione e adesso lei è lì, a casa che mi aspetta.

"Mi scusi signora, adesso devo scappare. Ci vediamo presto, intesi?" non le lascio il tempo di rispondere. Sono già di corsa, con Hikari al seguito, verso casa. Mi sembra di volare, la sensazione è quella di non toccare affatto l'asfalto. Lei è lì, lei è a casa. Le immagini di ciò che è intorno a me si distorgono, passano veloci nel mio campo visivo, nulla è nitido tranne che la mia meta. Casa. Salgo le scale in tutta fretta, la povera Hikari mi segue sfinita su per le rampe e senza emettere un solo gemito. Ha capito perchè corro, ha capito perchè ho tanta fretta, forse è felice anche lei.

"Zoe" urlo il suo nome mentre spalanco la porta di casa. Una luce accecante mi costringe a chiudere gli occhi. Li riapro subito, un solo istante. Quello che vedo è un soffitto bianco, asettico, ancora sconosciuto. Quello che sento è il suono incessante della sveglia. La lingua calda e umida di Hikari sul braccio. Una lacrima sulla mia guancia.

Risveglio.

giovedì 28 maggio 2009

Prologo - L'odore dei silenzi

Risollevarsi. Stringere i denti e andare avanti. Mai lasciare che qualcosa possa sconfiggere il proprio ego. Non permettere a nessun dolore di abbattere i propri sogni, i propri desideri. Fare in modo che la tristezza e la disperazione diventino ciò che fortificherà il proprio animo.
Perchè tutto passa. Il dolore, la tristezza, la disperazione, la desolazione, l'angoscia, la paura, le incertezze.Già, tutto passa e lascia nell'animo cicatrici incancellabili. Marchi di fuoco sul cuore. Catene indistruttibili sui sogni.
Quel che si dice non è quel di cui si ha bisogno, a volte.
Perchè tutto è diverso per ognuno. Perchè ogni emozione non è mai uguale per tutti. Perchè ogni dolore possiede intensità differenti per ogni essere umano.
Dipende tutto da quel che si è puntato su qualcosa, dipende tutto da ciò che si è sognato e dalla forza con cui lo si è fatto. Dipende tutto da ciò che si è vissuto.
Perchè quando le proprie ali finalmente si spiegano, difficilmente torneranno a farlo se vengono tarpate di netto, incatenate alla schiena dall'incertezza e dal dubbio.
Sono piume legate in eterno, sono piume che non si ha il coraggio di accarezzare più.
Piume perdute, piume perdute per sempre.
Perchè se è vero che non c'è nulla che amore non può fare, è altrettanto vero che nessuno può ferire tanto profondamente come coloro che si amano più della propria vita.
Dicono di non piangere, dicono di guardare avanti, dicono di non cedere, dicono di non mollare.
Quel che si dice, a volte, non serve.
Quel che si dice, a volte, fa soltanto più male.
Perchè quel che si dice non può restituire quello che si è perso, non può far tornare indietro, non può cambiare le cose. Ed è solo questo ciò che si vorrebbe, a volte.

E poi ci si trova dinanzi ad una scelta, nel momento in cui non ce lo si aspetta, nel momento in cui tutto perde un senso, nel momento in cui null'altro si vede se non la propria vita spezzata ...ed è un riflesso... e poi vi è un'ombra... un riflesso nello specchio e un'ombra che si staglia alle spalle... silenziosamente, entrambi attendono qualcosa che non riesce a giungere, qualcosa che è inerme dinanzi alla scelta.
Paura, rabbia, impazienza, amarezza, testardaggine, filosofia dell'amore e del sacrificio di questo, idealismo stupido e caparbio, voglia di fare, voglia di pensare, voglia di sentire nuovamente qualcosa, voglia di sentire qualcosa di nuovo.
La catena che lega le mani impedisce di mandare in frantumi lo specchio, la catena che cinge il capo impedisce di voltare lo sguardo.

Due catene.
Due possibilità.
Due facce di una medaglia che l'animo credeva di aver gettato via.
Due scelte tanto simili eppure tanto diverse.
Il riflesso nello specchio, immobile, silenzioso, luminoso e conosciuto, familiare. Odore di passato e presente.
L'ombra sul terreno, immobile, silenziosa, oscura e sconosciuta, misteriosa. Odore di presente e futuro.
Il profumo di quei silenzi attanaglia il cuore e la mente, l'odore di parole non pronunciate inebria i sensi già incapaci di spezzare le catene.
L'odore del silenzio del proprio cuore rende ancora più impossibile la scelta di quale catena spezzare.
Lasciare che l'ombra svanisca al calar della notte e conservar vivo il riflesso nello specchio, o mandare in frantumi quello specchio, lasciando il cuore libero di illuminare quell'ombra?
In ogni caso, qualunque sia la scelta, le conseguenze non sarebbero semplici. Frammenti di quello specchio ferirebbero l'animo più di ogni altra cosa, frammenti di quello specchio si insinuerebbero nell'essere per non abbandonarlo mai più, frammenti di quello specchio lascerebbero cicatrici più visibili e incancellabili più di quelle che il riflesso da solo ha già lasciato sul cuore.
Lasciare che l'ombra si dissolva al calar della notte lascerebbe un vuoto che forse nulla più sarà in grado di riempire, lasciare che l'ombra si dissolva significherebbe non donare a quelle ali tarpate la possibilità di dispiegarsi nuovamente, lasciare che quell'ombra si dissolva sarebbe vincolare il futuro ad un rimorso e ad un dubbio.
Qualunque sia la scelta, l'unica cosa che l'animo percepirebbe sarebbe l'odore dei silenzi, i silenzi lasciati nel cuore dall'ombra o dal riflesso..

venerdì 10 aprile 2009

Pubblicazione temporaneamente sospesa

Interrompo temporaneamente la pubblicazione de "Il passato non narrato".
Sono consapevole di essere un po' in ritardo con questo avviso, dato che l'ultimo capitolo pubblicato risale allo scorso gennaio.
Purtroppo, in questi ultimi mesi, la mia vita ha subito un brusco cambiamento, una tempesta che ha stravolto completamente i miei pensieri e la mia anima.
Conseguenza di questa tempesta, l'impossibilità per me di riuscire a creare dei nuovi capitoli della storia senza che i miei "problemi personali" potessero influenzare la storia e modificarne il senso più profondo.
La storia di Micael merita da parte mia la stessa attenzione profusa per quella di Uriel, ragion per cui, per il momento preferisco evitare di scrivere.
Non so se sarete ancora disposti a leggere la continuazione della storia, un giorno, nè se sarete tanto caparbi da controllare di tanto in tanto se il Nico che conoscete è tornto all'opera.
Se doveste farlo, un giorno non molto lontano potrete assistere alla mia rinascita e con essa la rinascita della storia di Micael.
Se non doveste frlo, vi ringrazio in ogni caso per la pazienza, l'affetto e l'apprezzamento dimostrato al mio lavoro e alle mie storie.
Un abbraccio immenso.
A presto, con il nuovo me stesso.

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...nulla è inutile. Ogni essere ha la propria ragione d'esistere...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

...e il riflesso nello specchio sarà ciò che l'individuo desidera...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...

... non si può ignorare l'inevitabilità degli eventi...